Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

domenica 30 dicembre 2018

UNA STORIA PER L'ANNO NUOVO

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Il mio augurio: alle bambine e ai bambini auguro sorrisi e gioia da tutti, un po' al giorno... quanto basta!
Ai grandi auguro che il 2019 sia gentile, paziente, ricco di bambini per ritrovarsi, ricco di affetti, di amicizia e di successi, ma quelli veri!


Anno nuovo, asinello nuovo
di Annamaria Gatti
Fonte:  "Città Nuova",  10 gennaio 2013

Nella fattoria  nessuno si sarebbe mai aspettato una novità.

Invece:

“Anno nuovo, vita nuova!” aveva esclamato Mario, il contadino, mentre rovesciava abbondanti razioni di fieno nella mangiatoia dei suoi ruminanti.

Gli occhi gli brillavano, forse perché l’aria apparentemente  immobile dell’inverno, lasciava intorno  uno strano profumo  di muschio e foglie novelle.

“Vuoi vedere…” bonfonchiò il bue Nino, “che la novità è  una stalla nuova?”

“BUM! Questa è  proprio grossa!” sbottò  la mucca Tina.

“Non dimenticare che io sono stato scelto per fare il bue nella santa capanna  del Presepe e sono diventato ancora più importante! Non come quell’asino vagabondo che mi hanno messo vicino… Merito perciò  una nuova stalla” precisò Nino il bue.

“Meno arie, sii realista: Mario non ha  possibilità di costruirci proprio niente. L’asinello invece mi ha fatto tanta pena”.

“Beh, se uno vale poco, è facile che faccia questa fine!”

Tina muggì sdegnata e si voltò verso la greppia, decisa a non ascoltare quel bue superbo, che si era montato la testa!

La notte dell’ultimo giorno dell’anno trascorse lontano da botti e confusione, immersa nel silenzio magico della campagna addormentata.

Ma la mattina seguente accadde “l’irreparabile”.

Un musetto fradicio fece capolino dal vecchio portone della stalla.

“E questo chi è?” chiese Nino allarmato.

“Sono l’asinello del Presepe. Mario mi ha detto che posso vivere con voi.”

Nino restò senza muggiti. Tina invece fece gli onori di… stalla:

“Allora sei tu la novità, vieni avanti, qui starai bene” aggiunse guardando di sottecchi il bue ammutolito.

L’asinello salutò da gran signore:

“Grazie, cari amici, sono proprio onorato di vivere con voi. E’ giunto il momento per me di trovare un rifugio stabile e Mario, il vostro padrone, è proprio una brava persona: mi ha detto che aiuterò il bue Nino.”

Nino fece finta di non aver sentito, ma riprese  a ruminare pensando: anno nuovo, amico nuovo! E si accorse di sentirsi un po’ felice.

pubblicato da Annamaria Gatti
foto da: bambini in fattoria

giovedì 27 dicembre 2018

I compiti per le vacanze natalizie. Fatti?


Oggi il tema compiti a casa imperversa. Non mi addentro nel tema che richiederebbe un trattato. Solo qualche flash.   I docenti devono valutare   con buon senso e professionalità la quantità, ma soprattutto la qualità della proposta di lavoro a casa. A tal proposito consiglio la lettura dell'articolo di Campana Lanfranchi,   "A chi servono i compiti?"  - Psicologia e Scuola - Giunti -  
https://www.giuntiscuola.it/psicologiaescuola/la-rivista-di-carta/psicologia-e-scuola/psicologia-e-scuola-nov-dic-2018-n-2/
Riporto il parere autorevole della professoressa Lucangeli, da tempo in prima linea sul fronte apprendimento.
Il punto non è se assegnare o meno i compiti – sottolinea Daniela Lucangeli, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Padova – ma quali e quanti assegnarne. I compiti non possono infatti sostituire l’apprendimento del tempo scuola, né tanto meno ciò può essere delegato solo alle lezioni assegnate a casa. Che sono un supporto all’ apprendimento, costituiscono una fase di consolidamento e stabilizzazione di quanto si inizia a imparare in classe”. 
Secondo le recenti ricerche in ambito cognitivo perché l’apprendimento sia davvero significativo la fase dell’insegnamento deve garantire l’intero “flusso dell’intelligere”: alla fase in cui si imparano le informazioni nuove deve infatti seguire la rielaborazione attiva dell’allievo. E la seconda fase è la più importante dell’intero processo cognitivo perché l’alunno interiorizza e rende proprie le conoscenze trasmesse dall’ insegnante e dall’ ambiente circostante attraverso una elaborazione personale”. In altri termini, l’allievo diventa capace “di pensare”, arricchito dalle informazioni apprese.
Il problema della scuola italiana, basato in larga parte su lezioni frontali (ndr. più parti si sollecita e si sperimenta l'aggiornamento del metodo di apprendimento), è di esercitare in prevalenza la prima fase dell’apprendimento, cioè l’assimilazione, e di delegare invece il momento più importante di elaborazione ai compiti a casa. Questo rischia di generare un apprendimento passivo e per lo più a breve termine, finalizzato soprattutto alla prestazione. Cosa che invece non accade se il docente accompagna lo studente nella fase della rielaborazione, identificando eventuali errori, anche di ragionamento, e adottando strategie efficaci. 
“Compito del docente deve essere quello di affrontare ogni obiettivo discutendone con i ragazzi, facendoli ragionare, offrendo strategie per apprendere sempre meglio. I metodi sono molti: dalla discussione di gruppo al cooperative learning, fino al tutorato tra pari. I compiti a casa vengono dopo, solo per consolidare quanto già appreso in classe".
E accanto alla qualità dei compiti da dare, è fondamentale calibrarne la quantità. “Un eccesso di carico – spiega Daniela Lucangeli – affatica e rallenta i processi cognitivi, oltre che diminuire la motivazione”. Nei primi due anni delle elementari  il carico di lavoro pomeridiano non dovrebbe superare i 30-45 minuti, che possono arrivare all’ora e mezza negli ultimi tre anni. Alle scuole medie e superiori, invece, non dovrebbero eccedere le due-tre ore, perché lo studente dovrebbe avere anche “tempi di vita sociale”. rielaborazione da Il BoLIve Unipd . a firma di Monica Panetto
Pubblicato da Annamaria Gatti Foto da Erickson 
gatti54@yahoo.it

martedì 25 dicembre 2018

Auguri della notte di Natale

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In questa notte di Natale il cuore di molti è ancora preso da stupore e ansia.  Molti i commenti di questi tempi, di amici e opinionisti vari:  impossibile che Dio continui ad amare l'umanità, che si fa tanto male da sola e che lo rinnega ogni istante, con le sue brutture.

Stasera vorrei che l'augurio di Buon Natale giungesse vero e profondo, là dove si continua a "stare" con la vita, a servirla fino in fondo.
E sarebbe necessario ricordare le infinite azioni di coraggiosa testimonianza, di servizio appunto, di difesa. Non solo di ciò che a che fare con la fede cattolica o altre religioni.
E voglio subito ricordare che Silvia Romano, volontaria  rapita in Kenya il 21 novembre scorso ,  non è ancora  libera.

Stanotte chiedo la carezza del Bambino per lei e per le donne che in silenzio, con determinazione e tenacia si occupano degli altri. E sono così tante... Impossibile quantificare. Nelle case, nelle famiglie, accanto a bambini e anziani, nelle scuole, negli ospedali, nelle case di cura, nelle fabbriche, negli uffici, nelle amministrazioni del bene comune...

Donne che svolgono la vita scelta o imposta dalle circostanze, le loro professioni o i loro mestieri con consapevolezza, senza fermarsi, lottando con difficoltà e talvolta con malattie, contro indifferenza, miopia politica e istituzionale, limiti  insani posti dalla società, inadempienze e lacune.

Però loro sono sempre lì, come Maria che è sempre lì, come in quella fredda notte nella capanna, consapevole della scelta fatta e stupita, in quella nascita misteriosa e profetica.  Lì nel villaggio straniero, lì nell'umile casa di falegname, lì nelle nozze di Cana, lì nella polvere del viaggio del figlio per la Palestina, lì sotto la croce e poi nella Resurrezione.

Loro le donne,  sono sempre lì, con i limiti umani e gli errori, offese forse,  ma pronte, anche se ferite, o forse trafitte,  a fare della vita qualcosa di bello per sè.
Grazie a chi le sostiene e le difende. Sostiene e difende la propria vita.
E quando qualcuno ferisce una donna, in qualsiasi modo, sa di ferire la vita, la sua vita.

Buon Natale.



pubblicato da Annamaria Gatti
immagine dal film The nativity story


sabato 22 dicembre 2018

E Natale sia. Racconto.

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Alcuni mi hanno informato che questo racconto ritorna nelle celebrazioni  natalizie, per questo lo pubblico qui per voi, dopo la nuova storia "Gesù bambino rinasce sempre" ambientata nei nostri boschi, distrutti dalla bufera di ottobre.



Il Natale di Tobia, bambino quasi cattivo
racconto di Annamaria Gatti

Tobia ha qualche problema

Tobia, riporta le pecore! 
Sei sempre con la testa fra le nuvole, ma a cosa pensi?" grida il vecchio Elia. 
"Arrivo, nonno" Non si può proprio vivere in pace!". 
Infastidito,Tobia raduna le pecore del gregge del nonno e si avvia verso il villaggio poco lontano. A Betlemme è quasi buio e Tobia rientra a casa, pronto per l'ennesima sgridata quotidiana. 

"Sei una vera disperazione" Oggi è venuta Ruth e mi ha detto che le hai rubato un cesto"". La mamma di Tobia piange e il bambino la guarda, poi strizza gli occhi, perché vorrebbe cancellare tutto quel dolore sul volto della sua mamma. E sente un nodo alla gola. Si siede per terra, in un angolo, dietro la macina. 
"Vai via! Meriteresti una bastonata, ma non c'è più tuo padre a darti la giusta lezione. Io non so più cosa fare!". 

Il bambino sente che il nodo alla gola si stringe sempre di più; esce di casa e, sconsolato, va a sedersi vicino al pozzo. 

"Tobia"" lo chiama Sara, una delle bambine del villaggio. "Cosa fai qui?", gli chiede mentre depone per terra un otre. Poi, raccogliendo con un gesto veloce l'ampia tunica azzurra, si accovaccia vicino a lui. 

"Non mi riesce proprio di far bene niente. Appena progetto una marachella" mi accorgo che l'ho già combinata, prima di poterci pensare un po', prima di capire cosa potrebbe accadere dopo" Mi manca il tempo per riflettere e così tutti quelli del villaggio mi cacciano, perché pensano che sono un porta guai. 

"Lo vedi? Tu" tu sei l'unica che mi si avvicina" sospira Tobia con le lacrime agli occhi. Sara sa che un bambino si vergogna nel farsi vedere a piangere, così aggiunge: "Però qualche volta le combini grosse, sai? Eppure io so che non sei cattivo

Per esempio oggi hai rubato il cesto di Ruth perché ne aveva bisogno la vecchia Ester, vero?". "Come lo sai?". "Me lo ha detto Ester: stamattina non sapeva come portare al mercato i pani" Ma poi ha detto che un ragazzetto l'aveva aiutata" E quello eri tu". Tobia sorride un po' e si pulisce il naso gocciolante con la manica. Poi pensa che davvero in fondo al cuore non sente cattiveria ma solo, qualche volta, un po' di paura, un vuoto, un buco nero nero, che deve riempire subito con qualcosa. Perché? E perché ogni volta che vede una fonte luminosa, gli sembra che quel buco si dissolva nel nulla?



IL BAMBINO SUL POGGIO 
"Storie, storie" pensa a voce alta Tobia". 
"Quali storie?", chiede sorpresa Sara. 
"La storia della luce"". 
"Ah, vero, tu che insegui sempre una luce" 
L'altra notte eri tu che camminavi verso la stalla, vero? Ci sei stato?"
"No, mi sono fermato a metà strada, ad osservare quel rudere, la stalla, voglio dire" Era una magnificenza" piena di luce!". 
"E il Bambino? Non l'hai visto allora?". "No". 
"Oh, che peccato" Il suo nome è Gesù. È così tenero ed è così bella la sua mamma!" - sospira Sara -.Vieni, andiamo a visitarlo. Guarda, ci sono dei pastori che tornano dalla stalla, sul poggio". 
"No, non vengo". "Perché no?" chiede incredula Sara. 
"Il Bambino è buono, il nonno dice che da grande sarà un re" È il più buono di tutti. Quando mi vede, se non mi caccia lui, mi cacceranno suo padre o sua madre"". 
Sara ha un moto di insofferenza. "Fai come vuoi, sei il solito testardo e stai diventando insopportabile anche a me"". 
La bambina ha ormai perso la pazienza, si alza di scatto, getta sui piedi del pastorello una manciata di terra, si ricopre il capo con il mantellino, afferra nervosamente l'otre e se ne va. 
La si sente brontolare ancora quando Tobia osserva le prime stelle accendersi nel cielo e si augura che Sara torni. In breve l'imbrunire si trasforma in notte e neppure la mamma lo richiama in casa. 
Tobia sa che dovrà riportare il cesto rubato e chiedere perdono, anche alla mamma. Sta per alzarsi, quando Ruth, la vicina derubata, gli va incontro con aria minacciosa. Tobia immagina già quel che dirà e quel che farà, perciò si alza di scatto come una saetta ed è già lontano, perché considera l'idea che Ruth è troppo grassa e non avrà la forza di inseguirlo. 
Il cielo è uno scintillio e come una morbida coltre ripara il poggio su cui il Bambinello riposa. 
"Avrà freddo" commenta a voce alta Tobia. Il nonno aveva raccontato che un asino e un bue scaldavano la stalla. Più che una stalla era un rifugio. 
Però proprio lì, il giorno prima erano arrivate addirittura delle persone importanti, su cavalcature bardate a festa. "Forse sono principi" aveva detto il nonno. 
Tobia li aveva visti e li aveva inseguiti di nascosto, quasi fino al poggio. Uno era di colore e uno molto vecchio.Aveva anche sentito uno di loro dire, con uno strano accento straniero:"Gaspare, ecco là, credo proprio che là sia il Messia che cercavamo"". Chissà cosa voleva dire. Il Messia sì, lo attendeva anche il nonno, ma Tobia non aveva osato chiedere di più. Erano cose da grandi!


UNA LUCE PER TOBIA
Tra un pensiero e l'altro Tobia non si accorge di aver camminato fino alla stalla, dove ora solo una debole fiammella toglie il luogo dalla morsa del buio. Il pastorello sbircia attraverso un'asse sconnessa. 
Accidenti, il bue è proprio lì davanti e Tobia non vede proprio un bel niente! Si sporge ad una finestrella, poco più di una fessura e vede. Vede quello che gli riempie il cuore di tenerezza, perché nella penombra della stalla distingue chiaramente un papà e una mamma, chini su un fagottino bianco, e poi lo sguardo del Bambino su di lui. È uno sguardo luminoso e intenso. 
Vorrebbe scappare ma, davanti a quegli occhi, le gambe sono pesanti e non si muovono; i piedi sembrano incollati per terra. Sulle mani sente cadere delle gocce tiepide: sono lacrime.Tobia sta piangendo.
 Si volta anche la mamma del Bambino. "Oh! Come assomiglia alla mia mamma!" pensa Tobia. 

Poi guarda il papà e sente per un attimo mancargli il respiro: se papà fosse lì, potrebbe proteggerlo, aiutarlo, difenderlo, come fa il papà del Bambino, che ha uno sguardo buono e forte e che adesso gli fa un cenno, per invitarlo ad avvicinarsi. 
Anche la mamma dice: "Entra, entra Tobia. Gesù ti stava aspettando". Tobia è un po' sorpreso. "Io" non posso, forse sono un po' cattivo". Ma, senza accorgersene, Tobia si ritrova inginocchiato accanto al Bimbo, mentre la madre asciuga le lacrime del pastorello. 
Qualcuno sta anche accarezzandogli i capelli ricci ed arruffati. È il papà di Gesù; forse vuole proteggere anche Tobia che intanto si chiede dove sia finito il suo buco nero, quello che dava tanto dispiacere al suo cuore di bambino: non c'è più" Tobia sente anche le manine di Gesù sulla fronte, che forse tracciano un segno.

 La stanchezza lo prende e dolcemente, sulla paglia, accanto a Gesù, Tobia trova la sua giusta luce, mentre pensa che, da quel momento, la mamma non piangerà più per lui. 

fonte Città Nuova, 2010

pubblicato da Annamaria Gatti
foto dal film Nativity


giovedì 6 dicembre 2018

Favola di Natale abbastanza vera nel bosco distrutto.




Si ricomincia sempre se c'è amore. Rassicuriamo i nostri bambini.
Un racconto dedicato a Mario Rigoni Stern, indimenticabile  illustre scrittore dell'Altopiano, che ha narrato anche gli amati boschi.  Mario è il protagonista, in suo onore.


Gesù Bambino rinasce sempre

di Annamaria Gatti
Illustrazione di Eleonora Moretti

fonte: Città Nuova - Dicembre 2018

Sull’Altopiano di Asiago era sceso l’inverno molto prima quest’anno. Il vento rabbioso e la pioggia battente avevano portato via il bosco. Mario,  stretto al papà,   li aveva visti  i suoi abeti sollevare la terra e  il sottobosco con le radici, mentre il vento li scuoteva con forza e aveva provato sgomento e paura. I suoi alberi non volevano andarsene, non volevano lasciarlo e sospiravano frusciando disperati al cielo.
Ma poi la bufera aveva vinto e si erano accasciati al suolo, uno sull’altro.

Mario era un bambino amante del bosco e dei suoi animali: dove se ne erano andati? 
“Peggio che durante la guerra” aveva commentato il nonno Toni.

E ora  a Mario sembrava non avesse più senso aspettare il Natale, la neve e la gioia bella di vedere scintillare l’abete di casa. Non c’ era più nulla lì attorno. Per giorni non avevano avuto né luce, né acqua. Gli aiuti erano arrivati. Papà e mamma si erano dati da fare, con coraggio. Come tutti. 
Ma degli animali amici neppure l’ombra, solo un falco aveva solcato il cielo e le civette avevano preso a commentare la sera. Mario però sperava di veder  volare ancora  il suo ciuffolotto.

Poi, a poche settimane dal disastro,  era giunta l’ora di preparare il Presepe.
“Ecco le tue statuine, Mario!”
“Nonno,  quest’anno dobbiamo farlo il Presepe? Il bosco non c’è più!” si era lamentato il nipote.
“Bambino mio, il sole è sorto anche oggi?”
“Ma certo, e allora?”
“ E allora ecco perché faremo il Presepe, per far rinascere il bosco e la speranza, ricordati, tu vedrai rinascere il bosco e potrai raccontarlo.”

Non aveva capito molto Mario, ma aveva compreso che nonno Toni doveva aver ragione. Così era rinato il grande presepe di casa.
“Non c’è Gesù Bambino, nonno, non lo trovo!” aveva protestato il nipote.
“Beh… non è ancora Natale, vedrai che lo troveremo per quella notte.”
E la cosa era morta lì.
Ma il bambino non smetteva di cercare Gesù. Possibile non ci fosse? Lo aveva messo via lui nella cassa di abete, avvolgendolo con  cura nel panno di lana grezza.

I giorni passarono e arrivò la vigilia di Natale.
In casa erano tutti pensierosi: era un Natale difficile. Ma nessuno aveva perso il sorriso. E se mamma e papà sorridevano, vuol dire che tutto si sarebbe aggiustato.
Ma Gesù dove era? La statuina era necessaria per completare il Presepe, tutti guardavano Mario, che puntò gli occhi neri negli occhi azzurrissimi del vecchio: aiutami nonno!

Toni aveva sorriso, mostrandogli qualcosa e Mario era scoppiato a piangere e si era gettato fra le sue braccia, mentre gli porgeva  Gesù, neonato e paffutello, intagliato nel legno, che aveva raccolto dopo la bufera. Era una statuina tenera e ben fatta!
“Nonno,  lo hai intagliato tu questo Bambino! Grazie, è proprio Gesù come l’ho disegnato io.”
Ora il Presepe era completo, il Natale era arrivato. 

Si poteva continuare a sperare.

pubblicato da Annamaria Gatti

martedì 27 novembre 2018

La stella dai lunghi capelli. Natale in poesia e illustrazioni da premio. Recensione.




di  Franca Perini
Illustrazioni di  Anna Pedron
Pagine 40
Prezzo 18,00 euro
Editore La Compagnia del Libro
dai 3... ai 99 anni


RECENSIONE 
di Annamaria Gatti


Un bel libro indubbiamente. 
Pare  una sonata a quattro mani.  Non avrebbe vita questo libro senza le illustrazioni . E viceversa.
La poesia tenera e vera del Natale di Franca Perini, che trova il vero animo della stella cosciente della sua bellezza  straordinaria,  si veste di note incantevoli dalla matita di Anna Pedron che ci mette del suo. Profonda e solida è la scrittrice, come innamorata della vita (e di un figlio, si capisce) l'illustratrice, che mette a piene mani la sua abilità in quest'opera, riportando ingegnosamente tratti di neonato, studi attenti (le mani che seminano) e sguardi indimenticabili: quelli di un asinello, di un viso bambino, di un pettirosso che scruta il cielo...

Una storia nella storia, lo "sguardo da fuori", dice opportunamente Franca, ma il pettirosso c'è, e in tutto quel blu sfumato, in quell'oro lieve eppure trionfale,  le piume rosse dell'uccellino, che tornerà al suo nido dopo aver sfiorato con un fiore  Gesù,  diventano un'altra storia.
E la cometa superba, scandalizzata dalla povertà dei doni e dei visitatori in quel Primo Natale, si adegua, si fa umile e comprende, svelando l'amore che accompagna il Bambino. Un vero capolavoro dei sentimenti.

Veniamo riportati al senso del Natale anche noi, se l'avessimo dimenticato. Lo sentono e lo ritrovano i bambini, che quel senso del Natale mai l'avevano perduto, solo lo tenevano chiuso in cuore, come fanno i profeti, per manifestarlo al momento opportuno.
 Questo è ancora Natale.

martedì 20 novembre 2018

Intervista ad Annamaria Gatti e Annamaria Giarolo. Intorno al libro "Io amo la scuola Come insegnare e stare bene in classe"


Pubblicato da Annamaria Gatti


Nel post precedente ho presentato il libro
                                                        Io amo la scuola 
Come insegnare e star bene in classe, 
un lavoro a quattro mani  svolto con  Annamaria Giarolo, che ha ne ha curato la ricca  parte teorico-tecnica.  Io ho collaborato in particolare con l' apporto narrativo, incentrato sulla figura della maestra Laura che racconta la sua esperienza professionale e conclude ogni narrazione con un tuffo in un angolo della sua vita personale, perchè:
persone si è sempre e  ovunque e quando insegni ed educhi la tua persona fa la differenza e la qualità delle relazioni e dell'insegnamento. 
Non manca nulla: la classe, i colleghi, le famiglie, le difficoltà e le buone prassi, gli errori, le soluzioni, le fonti, le criticità sociali, i conflitti e le risorse generazionali,  i dirigenti, la legislazione, le linee guida, metodi e strategie...
Un manuale quindi, 10 problemi affrontati e raccontati, un manuale consultabile agilmente nelle parti teoriche e in quelle esperienziali. 

Per conoscere meglio questo lavoro pubblico le interviste a noi autrici. Voglio ringraziare Annamaria Giarolo per aver creduto in questa avventura e per avermi invitato a condividerla.

Intervista ad Annamaria Gatti  di Adriano Lubrano 
del Centro Ermes di San Bonifacio- Verona

Annamaria, perché hai deciso di far interpretare il tuo contributo alla maestra Laura?

Grazie per una  domanda che va al cuore della scelta un po’ insolita e che è stata da noi pensata proprio per favorire il lettore.
Un manuale autorevole potrebbe essere ancora  più convincente se corredato da esperienze, infatti nel mio percorso ho sperimentato quanto la narrazione “prenda” , incontri e solleciti la motivazione e la sensibilità di chi legge a  vari livelli, emotivi e cognitivi. Ecco perché la terza sezione di ogni capitolo racconta la scuola vista dalla maestra Laura.
La scuola è fatta di persone, di bambini e insegnanti… e non solo! E’ una costellazione che compone la vita, un tessuto  ricco di opportunità, di grandi ideali, di difficoltà e  di disagi da superare  tutti insieme. Capacità umane e sociali si fondono con le competenze e danno risultati che devono tendere alla qualità, possibilmente all’ eccellenza.  
Una di queste persone di scuola  è Laura, una maestra qualsiasi, una docente in cui si può rispecchiare qualsiasi insegnante , con le sue difficoltà e soprattutto con la sua ricerca di fare bene, che si incontra e si scontra con la realtà scolastica, spesso difficile. Intorno a lei prima di tutto  i bambini, ma non solo… sono presenti nel racconto anche gli altri insegnanti, perché insegnare lo si fa in team. Sono uomini (sì,  anche uomini in una scuola primaria!) e donne con il loro vissuto, le loro esperienze, la loro competenza, giovani e meno giovani, motivati o meno, convinti o no che questa professione sia davvero coinvolgente.
Indicazioni di lavoro, strategie e soluzioni possibili, riferite ai contenuti  tecnico-teorici,  narrate in questi episodi di vita scolastica, stimolano l’interesse alla consultazione, consolidano la convinzione a maturare le acquisizioni pedagogico-didattiche, condividendole,  studiando e prestando una grandissima attenzione al tesoro portato e comunicato dai bambini e dai ragazzi a scuola.

Quanto c’è della tua esperienza personale nella figura e nelle esperienze di Laura?

Per  ogni tema  mi sono rifatta ad esperienze scolastiche dirette , ho accompagnato Laura nella quotidianità di una professione complessa, che va vissuta superando le difficoltà per stare bene. E se stanno bene i bambini, stanno bene anche gli insegnanti.  Dagli anni settanta ad oggi la scuola ha subito molti cambiamenti e scelte di valore, che ho condiviso con molti colleghi e grazie all’entusiasmo comunicato da grandi maestri, che hanno saputo aprire le menti  a nuovi orizzonti. Il mondo scolastico si è scontrato con problemi sociali e culturali epocali che hanno segnato le innovazioni  ma anche  limitato molte  buone prassi. Non è facile fare scuola oggi. Per questo molto volentieri mi sono affiancata ad Annamaria Giarolo per contribuire, pur con un piccolo strumento, a camminare accanto agli insegnanti , per condividere la fatica e la bellezza di educare insegnando.

Uno dei capitoli del libro è dedicato ai bambini ed ha come titolo uno dei luoghi comuni più ripetuti: “Non ci sono più i bambini di una volta.” Qual è il tuo pensiero, a questo proposito?

I bambini di una volta erano amati o poco rispettati , come accade ora. I bambini hanno bisogni primari che sono sentirsi incontrati, accolti, fare esperienza del  rispetto e dell’amore per la loro crescita, la loro vita.
Questo manuale è per gli insegnanti , ma abbiamo in cuore i genitori, a cui è affidato il compito primario di  promuovere in loro una sana crescita, compito complesso di cui molti sentono il peso e l’impreparazione in una società conflittuale e liquida. Non ci sono più neppure i genitori di una volta, ma incontriamo anche genitori alla ricerca, creativi, aggiornati e per nulla illusi che sia facile, ma coraggiosi!
Ora… E’ un onore lavorare per i bambini e con  i bambini. Ieri come oggi. Ma è necessario conoscere l’infanzia e i processi dell’adolescenza, partendo proprio dalla consapevolezza che possono trovare le risorse in se stessi,  se vengono messi nelle condizioni di trovare fiducia e attenzione.
Abbiamo coscienza che sono il frutto di questa nostra società in evoluzione: possiamo esimerci dal considerare questo aspetto? Possiamo fare scuola come qualche decennio fa?  Possiamo pensare che ragazzi di oggi possano vivere, conoscere, studiare e crescere come quelli di una volta? Lo sanno bene i maestri e i professori  illuminati e anche loro alla ricerca. E dovrebbero essere tutti messi nelle condizioni di formarsi, perchè la lezione frontale non è più efficace oggi, perché l’intelligenza emotiva e quella cognitiva interagiscono strettamente… perché occorre avere strumenti idonei per mettere i bambini e i ragazzi nelle condizioni di imparare con la gioia di farlo e di condividere con i compagni di percorso le scoperte e le difficoltà.


Per concludere: cosa ti aspetti dai lettori di questo manuale?

Spero trovino questa proposta lieve e agevole, pur nella sua complessità e rigorosità.
Io posso consultare questo manuale con modalità differenti ed efficaci.
Posso scegliere il capitolo di interesse ed addentrarmi  indifferentemente fra le tre sezioni dedicate alla problematica, alla pedagogia e didattica o alla sezione applicativa con la narrazione.
Ognuna riporta alle altre due,  in una interazione  facilmente fruibile. Posso iniziare,  per esempio, anche leggendo cosa  accade nella giornata scolastica della maestra Laura e da lì comprendere poi le analisi e i rimandi strategici o legislativi, sintetizzati in schede molto accurate.
Mi aspetto in  qualche insegnante, forse stanco e sfiduciato, si risvegli il desiderio di provare a fare della professione una fonte di gioia e di fiducia nella vita. Mi aspetto che chi ha scelto di insegnare  trovi  in questo piccolo strumento un alleato nel percorso di  docente.


Intervista di Adriano Lubrano ad Annamaria Giarolo


Annamaria, perché hai deciso di scrivere questo libro?
Perché sentivo il bisogno di “smontare” dei luoghi comuni della vita quotidiana a scuola. Luoghi comuni che, spesso, sono di impedimento o di intralcio al buon andamento delle attività. Per questo, ho individuato dieci temi di fondo, cercando di delinearne i rischi ma anche le potenziali opportunità. Per esempio, “Non ci sono più i bambini di una volta” oppure “Il problema sono le famiglie!”: analizzando questi problemi/stereotipi ho proposto delle soluzioni.

Allora, la struttura dei capitoli corrisponde alla tua esperienza?
Certamente, se diamo una scorsa all’indice leggiamo, oltre ai luoghi comuni già citati: Non c’è mai tempo per fare tutto, Quest’aula è troppo piccola!, Non darò mai dieci!, Nel ciclo precedente le cose erano molto diverse, Non ho più l’età… Questi titoli rispecchiano proprio un andamento quotidiano ancorato a vecchi schemi presenti in quelle “lamentazioni degli insegnanti stressati” cui accenna il prof. Cornoldi nella prefazione. L’obiettivo del libro è superarli per trovare modalità nuove e diverse, per una vita in aula (quindi mi riferisco a insegnanti, alunni ma anche ai genitori) improntata al benessere. Più si sta bene, meglio si lavora.
Infatti, il prof. Cesare Cornoldi, nella prefazione al libro, riconosce che si tratta di “dieci problemi tipici dell’insegnante” legati alla realtà scolastica che avete vissuto, lodando poi l’equilibrio e la concretezza della trattazione. A questo proposito, come sei riuscita a svincolarti da esperienze per te coinvolgenti e a mantenere un sostanziale distacco dalla tua esperienza di lavoro?
Per me, l’insegnamento non è una missione (altro luogo comune) ma una professione altamente qualificata perché ha un obiettivo altissimo, formare i cittadini. Questa professione richiede da parte di ogni docente, una sorta di manutenzione continua, fatta di studio, approfondimento, revisione delle proprie modalità di lavoro. Per questo, ho cercato di considerare il mio lavoro da un altro punto di vista, quello della ricerca pedagogica.
Così, i capitoli scritti da Annamaria Gatti sono valsi a sceneggiare e rappresentare in una storia, quella della maestra Laura, i contenuti “da manuale” dei capitoli scritti da te?
Esattamente, sì. Un modo per riportare dentro l’aula l’approfondimento teorico. Il libro è infatti ricco di tabelle e schemi di lavoro. Il lavoro di Annamaria Gatti è servito a far sì che ogni insegnante si possa riconoscere, tramite la figura della maestra Laura, nella propria quotidianità.

Per concludere, cosa, in concreto, vorresti trasferire a chi leggerà Io amo la scuola? Cosa ti aspetti dalla lettura di questo manuale?
Mi auguro un cambiamento, certamente. Vorrei che la scuola fosse una comunità in cui star bene e prendersi cura gli uni degli altri, insegnanti, dirigenti, alunni e famiglie. Una scuola in cui insegnare e apprendere sia un piacere. Mi piacerebbe dare ai colleghi, come afferma il prof. Cornoldi, “lo stimolo per rafforzare, se già le hanno, o per recuperare, se le hanno temporaneamente perse, le emozioni positive di questa magnifica professione che è l’insegnamento”.

venerdì 16 novembre 2018

Un nuovo libro: IO AMO LA SCUOLA Come insegnare e star bene in classe

Io amo la scuola




Annamaria Gatti Annamaria Giarolo

Io amo la scuola 
Come insegnare e star bene in classe

prefazione del Prof. Cesare Cornoldi

Edizioni La Meridiana
(dalla quarta di copertina del libro)

In questo libro si parla di “Scuola” nel senso di istituzione scolastica e del lavoro dell’insegnante considerato, per sua natura, tra i più logoranti.

Le autrici, due docenti da anni impegnate, per lavoro e per passione, nell’istituzione scolastica una come pedagogista e l’altra come psicologa dell’età evolutiva, partono dalla convinzione sperimentata che nella Scuola i punti di debolezza siano convertibili in risorse.

Il libro è un punto di “ristoro” nella vita complessa e spesso dura di chi insegna ed educa. Incrocia dubbi e sorrisi, affetti e lacerazioni che l’insegnare in classe inevitabilmente comporta. Ma anche dà fondamenti di lettura del disagio e concrete indicazioni di metodologie di lavoro e di intervento.

L’intero percorso è suddiviso in dieci temi che spesso sono i nodi che appaiono irrisolvibili proprio a chi sta dentro la Scuola: da “i ragazzi non sono più quelli di una volta” a “non c’è tempo per fare tutto”, da “il problema sono le famiglie” a “quest’aula è troppo piccola”, passando per “non ho più l’età per insegnare”. 

Le autrici, grazie alla loro esperienza, li affrontano in maniera così chiara e concreta che al lettore, se è insegnante, sembrerà proprio di trovarsi a sperimentare quei momenti di disagio già vissuti.  Questa volta però sarà accompagnato ad affrontarli con la consapevolezza che è possibile ribaltare anche ciò che appare ineluttabile nella Scuola.

Un libro rivolto dunque a tutti gli insegnanti che vogliano recuperare le emozioni positive della magnifica professione che è l’insegnamento.



pubblicato da Annamaria Gatti


martedì 13 novembre 2018

UNA SCUOLA CHE PIACE 2

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Spendersi per una scuola che piace significa preparare un' esperienza che fa bene anche agli insegnanti, che fa stare bene tutti.
Non che questo sia facile, nè privo di rischi e fatiche, ma indubbiamente è fonte di benessere.

L'allarme è lanciato da più parti e da tempo. Occorre generalizzare formare e diffondere una scuola rispettosa dei bambini di questi tempi, che sono cambiati decisamente anche in termini pedagogico-didattici e verso il cambiamento si dirigono diffuse sperimentazioni. Ma non basta. Permangono spesso solo lezioni frontali, compiti a casa, studio mnemonico e decontestualizzato, in un clima  spesso oltremodo competitivo.  La scuola qui fallisce il suo ruolo primario.

Un salto di qualità lo fanno le scuole che mettono al centro la scuola come comunità di apprendimento, come auspica Daniele Novara , pedagogista e formatore molto conosciuto per il suo impegno del mondo educativo, fondatore e direttore del Centro Psico Pedagogico per la gestione dei conflitti di Piacenza, con sede anche a Milano. 

Nel suo libro "Cambiare la scuola si può"  riafferma la necessità che  la scuola sia  comunità di apprendimento, dove si impara fra compagni, si fanno domande, si sperimenta in laboratorio, si ricerca nella natura, si sbaglia, e ci si diverte, ci si consulta con l'insegnante che dirige sì i lavori in corso, lasciando che siano i bambini i protagonisti del loro apprendimento.

https://cppp.it/chi-siamo/elenco/l-istituto

“Cambiare la scuola si può”, il nuovo libro di Daniele Novara
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pubblicato da Annamaria Gatti 
foto da loschermo.it