Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

mercoledì 29 dicembre 2010

Intervista televisiva: parla Annamaria


Ebbene sì: mi hanno intervistato in tivvù. Non che sia la prima volta, ma Telepace mi ha permesso di esprimere pensieri ed esperienze in un minutaggio di tutto rispetto. Incuriositi? Sì? No? Insomma: chi proprio vuol togliersi la curiosità può cliccare al link. Abbracci e buon 2011!
http://www.telepace.it/video.php?vfolder=la_voce_delle_donne&vfoldnum=0&vpage=3&maxvideo=25&video=vid_1291503600_0008.flv
Intervista del 5 dicembre 2010
pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it

martedì 28 dicembre 2010

EMOZIONI


INEVITABILE UNO SGUARDO A QUESTA INIZIATIVA INTELLIGENTE E MODERNISSIMA, BRAVI!

da comunicato stampa di Turner Italia

Viaggio di un gruppo di ragazzi nella terra dei Vangeli

e E' andato in onda dal 5 Dicembre alle 14:30 sul canale per ragazzi BOING (digitale terrestre gratuito), la prima delle 10 puntate (da mezzora ciascuna) di 6 in cammino, inedito e coraggioso progetto televisivo: un’esperienza di viaggio, sia fisica che spirituale, di cinque ragazzi e della loro guida, Manolo Martini, alla scoperta di sé stessi negli affascinanti luoghi della Terra Santa, in Israele e Palestina.

La serie è stata ideata e commissionata dall’editore Turner Italia (gruppo TimeWarner) con la produzione esecutiva dell’Antoniano di Bologna.

La trasmissione proseguirà ogni domenica alle 14.30, fino al 13 Febbraio. Dal 23 Dicembre al 1° Gennaio, inoltre, sarà tutti i giorni in prima serata, alle 20.50.

Questa produzione originale italiana presenta un format innovativo, quello del tele-racconto di viaggio: non un documentario e agli antipodi del reality, 6 in cammino ci porta all’interno di un viaggio straordinario vissuto spontaneamente e con intensità da un gruppo di liceali.

Il programma, dunque, vuole trasmettere un’esperienza vera di ragazzi veri, senza peró entrare morbosamente nell’intimitá delle loro vite, come farebbe un reality show.

Saranno i ragazzi stessi a condividere con il pubblico la loro esperienza di vita in modo spontaneo e con naturalezza (non a caso, la telecamera é affidata anche alle loro mani). Ripercorrendo i luoghi e le storie raccontate dal Vangelo, i sei in cammino comunicheranno ai giovani telespettatori e alle famiglie a casa le loro emozioni, i loro pensieri e il loro racconto di viaggio.

Il programma propone un doppio livello di lettura. Il primo é la presentazione del viaggio fisico e avventuroso, in cui i ragazzi dormiranno in tenda e in alcuni casi dovranno percorre lunghi tratti a piedi alla scoperta di Gerusalemme e di Nazareth, del Lago di Tiberiade e del Fiume Giordano.
Il secondo, piú profondo, é l’invito ad un viaggio piú grande: quello della riflessione e della spiritualitá, che non si rivolge solo ai credenti, ma a tutti. In 6 in cammino, il messaggio evangelico é proposto in modo diretto e esplicito, ma “aperto” a chiunque, al di lá del proprio credo religioso.
E la lettura della Bibbia (il libro piú diffuso al mondo) negli stessi luoghi raccontati dal Vangelo rappresenta la sintesi tra il viaggio fisico e quello spirituale.

Nel programma inoltre sono sempre presenti gli essenziali cenni storici e archeologici delle localitá visitate, oltre alle vicende legate all’attualità dei luoghi e delle comunità incontrate: famiglie locali, operatori sociali, gestori di kibbutz, religiosi cattolici, ma anche ebrei o musulmani.

Il gruppo è composto da cinque ragazzi, tra i 15 e i 18 anni, pronti a mettersi in gioco e ad affrontare un grande viaggio portando con sé i loro diversi bagagli di esperienze. Impareremo a conoscere ciascuno di loro puntata dopo puntata. Molto diversi tra loro, tutti hanno peró un obiettivo comune: partecipando a 6 in cammino, i ragazzi hanno voglia di sorprendersi, di vivere esperienze che non lasciano indifferenti, di scoprire e di mettere in discussione la propria visione del mondo.
Il tutto viaggiando con poche cose nello zaino: un diario, una guida, il Vangelo e una videocamera.

A ricoprire il ruolo di guida o, meglio ancora, di compagno di viaggio di qualche anno più grande, Manolo Martini, un volto tv giá noto ai ragazzi per la sua partecipazione al programma Trebisonda. Manolo condurrá i ragazzi attraverso un viaggio fatto di scoperta e “cambiamento” e, al tempo stesso, nei momenti di svago, saprá coinvolgerli in partite di calcetto o nuotate nel Lago di Tiberiade.
Martini non sará solo un semplice accompagnatore, ma vivrá giorno per giorno l’esperienza dei ragazzi, “guidando” anche il pubblico a casa attraverso questa avventura straordinaria!

domenica 26 dicembre 2010

FESTA DI NATALE PER ALBERT. Inizio

Qualche amico mi ha chiesto di raccontare come inizia la storia di Albert. Eccola!

UN NATALE PER ALBERT


CAPITOLO PRIMO

Albert, vieni!”.

King, il fratello più grande, mi chiamava.

Ho salutato la mamma, il papà e gli altri miei nove fratellini, poi sono uscito di corsa fuori dalla capanna. Era mattino presto, ma nel mio paese africano c’era già caldissimo.

Tutti i miei amici erano sulla strada, che taglia il villaggio in due file di capanne di fango e che porta, in poco tempo, al mare.

Erano già tutti lì, ad ammirare la mia opera.

E’ finito…” hanno detto.

Già, ho lavorato tutta la sera” ho sospirato.

Che bello, sembra un tesoro, Albert.”

Il mio tesoro era un insieme di pezzi di latta, fil di ferro e bulloni arrugginiti, raccolti qua e là… un camion con rimorchio, un vero giocattolo, da trainare con una corda rubacchiata in una capanna.

Sei stato bravo Albert, è un bellissimo camion!” hanno ripetuto tutti.

Io sono arrossito di piacere sotto la mia pelle nera. Però, siccome è nera, non mi preoccupo quando arrossisco, perché tanto non se ne accorge nessuno!

Dai tiriamolo! Guardate come corre…”

Fammi provare! Fammi provare…!” gridava il più piccolo.

All’improvviso un rombo di motore ha interrotto il gioco.

Ehi, guardate, c’è Padre Joe! E’ arrivato! Cosa ci avrà portato?” hanno gridato i miei amici.

Padre Joe è un frate della vicina città, che arriva spesso nel mio villaggio e porta tante cose buone... Mamma dice che aiuta le famiglie del villaggio, perché ne abbiamo bisogno.

Salve ragazzi!” ha detto Padre Joe, saltando giù dal suo camioncino. Tutte le notti sognavo di avere un camioncino così, rosso…

Tutti volevano vedere il carico e facevano un gran chiasso.

Io invece ho sollevato il mio camion di latta verso Padre Joe:

Guarda!”

Bravo Albert…è un piccolo capolavoro…” ha osservato il frate stupito. “Se avessi tempo e fossi così bravo, potrei costruire tanti camion da regalare a tutti i miei piccoli amici per Natale.”

“ …Ma cos’è… Natale?” ho chiesto.

Natale è una festa, perché nasce un Dio Bambino.”

Anche quando nasce un fratellino si fa festa…Ma tu stai parlando di Gesù… vero Padre Joe?”

Oh sì…di Gesù.


da "Il Natale di Albert Natale" Edizioni Effatà
di A. Gatti
Illustrazioni di A. Vincenti

mercoledì 22 dicembre 2010

BUON NATALE!

da "IL NATALE DI ALBERT NATALE"
di A. Gatti - Edizioni Effatà

UN NATALE PER ALBERT

....COME GESU’

Padre Joe… tu abiti in una vera casa!” ho gridato, mentre mettevo la mia testa ricciolina dentro a ogni porta che dava sul corridoio centrale. Poi il nostro amico frate, che era appena entrato in una cucina, ha avvisato:

Albert, King… venite qui, qualcuno ha portato dei biscotti!”

Ma in quel momento non mi interessavano più i biscotti, nonostante la fame e la stanchezza. Mi ero ritrovato in una delle stanze, davanti ad un Presepe, ed ero rimasto a bocca aperta, silenzioso e immobile.

Padre Joe aveva lasciato King alle prese con i biscotti ed era dietro di me:

Albert!”

Al suo richiamo mi sono ripreso dallo stupore e ho notato:

Ci sono i pastori, gli angeli, le pecore, un bue e un asino e il Bambino… In una capanna…come la mia…”

Sì, Albert, Gesù è nato in una capanna come la tua.”

“… E avrà freddo questa notte, così, senza vestiti. Anche il mio fratellino appena nato ha freddo di notte e la mamma lo copre.”

Già, proprio come il tuo fratellino.”

E quella è la sua mamma, vero?” ho chiesto indicando la donna seduta accanto a Gesù.

Sì, si chiama Maria.”

Il suo papà non lo manderà con Keùssi sulla nave dei bambini venduti, vero?”

“… No, suo padre Giuseppe non lo manderà.”

E la sua mamma non piangerà e gli canterà la ninna nanna.”

Certo Albert, come faceva la tua mamma con te, quando eri piccolo.”

Proprio in quel momento qualcuno cantava.

Senti Padre Joe? Sembra proprio la ninna nanna che canta la mia mamma.”

Il mio amico non ha risposto, perché si era distratto guardando due persone che stavano sulla porta.

Albert, è proprio la tua mamma che sta cantando a Gesù la ninna nanna.”

In fondo alla stanza c’erano i miei genitori, proprio loro!

C’era la mia mamma e c’era il mio papà: erano venuti a prenderci!

Hanno fatto un viaggio faticoso. Sono partiti subito, quando hanno saputo che cosa vi era accaduto” spiegava Padre Joe, mentre con un salto ero fra le braccia della mamma.

Subito papà mi ha sussurrato, stringendomi stretto stretto:

Albert… non ti manderò più lontano a lavorare….Adesso ho capito.”

Guarda, cosa ti ho portato…” ha detto la mamma con la voce tremante, consegnandomi il camion di latta.

Ho fatto un altro dei miei salti e, al mio urlo di gioia, è arrivato anche King.

Albert ora può anche fermarsi alla nostra scuola e fra tre anni potrà già lavorare…” ha proposto Padre Joe.

Sì, voglio imparare a lavorare il legno, costruirò tante cose…camion e altri giocattoli per i bambini, posso restare papà? Farò qui la festa di Natale.”

Sì” ha detto papà “e potrà fermarsi anche King, se vuole.”

Dall’espressione degli occhi si capiva che King era d’accordo.

Prima di lavorare, però imparerete a leggere e a scrivere” ha precisato Padre Joe.

Anche Gesù sapeva farlo?” ho chiesto.

Sì, anche Gesù. A pensarci bene… anche Gesù lavorava il legno…”

Stessa capanna, stessa ninna nanna, stesso mestiere…era proprio un bambino come me” ho detto.

Poi ho aggiunto:

Posso chiamarmi ALBERT NATALE. Si può?… Si può, Padre Joe?”

Si può… Albert Natale!”

Ho guardato King che sorrideva divertito…

Hai sentito King? Ho due nomi adesso!”

Oh, sì Albert… Natale!”

Mamma Diana piangeva piano, piano, ma questa volta era un pianto di gioia.

Era proprio vero quello che diceva Padre Joe: ogni Natale porta con sé un miracolo nuovo!



lunedì 20 dicembre 2010

BOB DYLAN PER LORO


Una canzone. Perchè questa canzone mi riporta subito al desiderio di lasciarla nelle mani dei nostri figli, dei nostri ragazzi... perchè la cullino e la assaporino come si fa con un tesoro piano e tenero?
Dedicata alle mie figlie.
Video:
http://video.google.com/videoplay?docid=213612988709839454#

Forever Young di Bob Dylan

May God bless and keep you always
May your wishes all come true,

May you always do for others
and let others do for you.
May you build a ladder to the stars
And climb on every rung,
May you stay forever young.
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

May you grow up to be righteous

May you grow up to be true,

May you always know the truth
And see the light surrounding you.
May you always be courageous
Stand up right and be strong,
May you stay forever young.
Forever young, forever young,
may you stay forever young.
May your hands always be busy

May your feet always be swift,
May you have a strong foundation
when the winds of changes shift.
May your heart always be joyful

May your song always be sung,
May you stay forever young.
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

Per sempre giovane Che Dio ti benedica e ti custodisca sempre,
possano i tuoi desideri tutti avverarsi,
possa tu sempre aiutare gli altri e lasciare gli altri aiutare te.
Possa tu costruire una scala fino alle stelle
e salirvi gradino per gradino, possa tu rimanere per sempre giovane.
Sempre giovane, sempre giovane,

possa tu rimanere per sempre giovane.

Possa tu crescere e diventare onesto,

possa tu crescere e diventar sincero,

possa tu sempre conoscere la verità e vedere la luce
intorno a te.
Possa tu sempre essere coraggioso e
stare ben dritto in piedi con la testa alta,
possa tu rimanere per sempre giovane.
Sempre giovane, sempre giovane,
possa tu rimanere per sempre giovane.
Possano le tue mani sempre essere impegnate,
possano i tuoi piedi sempre essere veloci,
possa tu avere una base solida quando il vento dei cambiamenti soffia. Possa il tuo cuore sempre essere gioioso,
possa la tua canzone sempre essere cantata,
possa tu rimanere per sempre giovane.
Sempre giovane, sempre giovane,

possa tu rimanere per sempre giovane.

Pubblicata da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it

mercoledì 15 dicembre 2010

VORREI UN NATALE



di Annamaria Gatti
fonte: www.educare.it, editoriale

Mi piacerebbe avere un Natale diverso, uno di quei Natali limpidi e sommessi, in cui Gesù rinasce davvero e il bue non si stanca di scaldare perchè è il suo mestiere e l'asino accompagna e non protesta, ragliando frasi sconclusionate.

Vorrei inciampare allegramente in un giorno di Natale in cui nessuno possa passare inosservato e tutti si sentano oggetto di cure e possano provare il piacere di occuparsi dell'altro.

E vorrei che fosse così ogni Natale e ogni giorno dell'anno.

Mi andrebbe bene un Natale libero e pulito, in cui anche il mio amico possa leggere ad alta voce la sua voglia di parlare e ridere e scherzare, senza segni e senza mediatori, che altri non capiscono. Finirebbe di disperarsi ogni momento.

Vorrei svegliarmi proprio in un Natale, ma che sia il giorno in cui ritrovano chi si è perduto, perchè nessun bambino e nessuna bambina possa scomparire senza lasciare traccia e attenzione da parte di tutti quelli che vivono lì attorno.

Io sogno un Natale dove il Bambino non si vergogni di arrivare e stenda un velo azzurro su tutte le sofferenze bambine, perchè siano più riconoscibili e tradotte, più visibili e chiare.

Raccoglierei volentieri il mio Natale fra le candide coltri d'ospedale, dove la storia scorre verso gli ultimi capitoli del libro bello e prezioso, senza perdere il sorriso seppur tragicamente nascosto nella tenera carezza. Le coltri si trasformerebbero in ali bianche di colombe sinuose e lievi, pronte a spiccare il volo senza tremori. E mi piacerebbe che tanti giovani potessero raccogliere e capire il senso della vita di quest'andare e chiudere l'epopea per aprirne un 'altra ancora più definitiva e vera.

Vorrei un Natale senza paure, dove i timori e le angosce vengano impugnati e purificati, dove la speranza si erga a unica legge di governo e perciò a guida di ogni azione per l'uomo e per il bambino.

Vorrei che questo Natale di sofferenza sbocci per tutti in un sentiero di pace e di grazia, di consapevolezza e di condivisione.

gatti54@yahoo.it

Coraggio, avanti, Natale è qui, è sempre.

mercoledì 8 dicembre 2010

IL NATALE DI TOBIA, BAMBINO QUASI CATTIVO

di Annamaria Gatti
illustr. di Eleonora Moretti

Fonte: Città Nuova
"Tobia, riporta le pecore! Sei sempre con la testa fra le nuvole, ma a cosa pensi?" grida il vecchio Elia. "Arrivo, nonno" Non si può proprio vivere in pace!". Infastidito,Tobia raduna le pecore del gregge del nonno e si avvia verso il villaggio poco lontano. A Betlemme è quasi buio e Tobia rientra a casa, pronto per l'ennesima sgridata quotidiana. "Sei una vera disperazione" Oggi è venuta Ruth e mi ha detto che le hai rubato un cesto"". La mamma di Tobia piange e il bambino la guarda, poi strizza gli occhi, perché vorrebbe cancellare tutto quel dolore sul volto della sua mamma. E sente un nodo alla gola. Si siede per terra, in un angolo, dietro la macina. "Vai via! Meriteresti una bastonata, ma non c'è più tuo padre a darti la giusta lezione. Io non so più cosa fare!". Il bambino sente che il nodo alla gola si stringe sempre di più; esce di casa e, sconsolato, va a sedersi vicino al pozzo. "Tobia"" lo chiama Sara, una delle bambine del villaggio. "Cosa fai qui?", gli chiede mentre depone per terra un otre. Poi, raccogliendo con un gesto veloce l'ampia tunica azzurra, si accovaccia vicino a lui. "Non mi riesce proprio di far bene niente. Appena progetto una marachella" mi accorgo che l'ho già combinata, prima di poterci pensare un po', prima di capire cosa potrebbe accadere dopo" Mi manca il tempo per riflettere e così tutti quelli del villaggio mi cacciano, perché pensano che sono un porta guai. "Lo vedi? Tu" tu sei l'unica che mi si avvicina" sospira Tobia con le lacrime agli occhi. Sara sa che un bambino si vergogna nel farsi vedere a piangere, così aggiunge: "Però qualche volta le combini grosse, sai? Eppure io so che non sei cattivo. Per esempio oggi hai rubato il cesto di Ruth perché ne aveva bisogno la vecchia Ester, vero?". "Come lo sai?". "Me lo ha detto Ester: stamattina non sapeva come portare al mercato i pani" Ma poi ha detto che un ragazzetto l'aveva aiutata" E quello eri tu". Tobia sorride un po' e si pulisce il naso gocciolante con la manica. Poi pensa che davvero in fondo al cuore non sente cattiveria ma solo, qualche volta, un po' di paura, un vuoto, un buco nero nero, che deve riempire subito con qualcosa. Perché? E perché ogni volta che vede una fonte luminosa, gli sembra che quel buco si dissolva nel nulla?
IL BAMBINO SUL POGGIO

"Storie, storie" pensa a voce alta Tobia". "Quali storie?", chiede sorpresa Sara. "La storia della luce"". "Ah, vero, tu che insegui sempre una luce" L'altra notte eri tu che camminavi verso la stalla, vero? Ci sei stato?". "No, mi sono fermato a metà strada, ad osservare quel rudere, la stalla, voglio dire" Era una magnificenza" piena di luce!". "E il Bambino? Non l'hai visto allora?". "No". "Oh, che peccato" Il suo nome è Gesù. È così tenero ed è così bella la sua mamma!" - sospira Sara -.Vieni, andiamo a visitarlo. Guarda, ci sono dei pastori che tornano dalla stalla, sul poggio". "No, non vengo". "Perché no?" chiede incredula Sara. "Il Bambino è buono, il nonno dice che da grande sarà un re" È il più buono di tutti. Quando mi vede, se non mi caccia lui, mi cacceranno suo padre o sua madre"". Sara ha un moto di insofferenza. "Fai come vuoi, sei il solito testardo e stai diventando insopportabile anche a me"". La bambina ha ormai perso la pazienza, si alza di scatto, getta sui piedi del pastorello una manciata di terra, si ricopre il capo con il mantellino, afferra nervosamente l'otre e se ne va. La si sente brontolare ancora quando Tobia osserva le prime stelle accendersi nel cielo e si augura che Sara torni. In breve l'imbrunire si trasforma in notte e neppure la mamma lo richiama in casa. Tobia sa che dovrà riportare il cesto rubato e chiedere perdono, anche alla mamma. Sta per alzarsi, quando Ruth, la vicina derubata, gli va incontro con aria minacciosa. Tobia immagina già quel che dirà e quel che farà, perciò si alza di scatto come una saetta ed è già lontano, perché considera l'idea che Ruth è troppo grassa e non avrà la forza di inseguirlo.
Il cielo è uno scintillio e come una morbida coltre ripara il poggio su cui il Bambinello riposa. "Avrà freddo" commenta a voce alta Tobia. Il nonno aveva raccontato che un asino e un bue scaldavano la stalla. Più che una stalla era un rifugio. Però proprio lì, il giorno prima erano arrivate addirittura delle persone importanti, su cavalcature bardate a festa. "Forse sono principi"." aveva detto il nonno. Tobia li aveva visti e li aveva inseguiti di nascosto, quasi fino al poggio. Uno era di colore e uno molto vecchio.Aveva anche sentito uno di loro dire, con uno strano accento straniero:"Gaspare, ecco là, credo proprio che là sia il Messia che cercavamo"". Chissà cosa voleva dire. Il Messia sì, lo attendeva anche il nonno, ma Tobia non aveva osato chiedere di più. Erano cose da grandi!
UNA LUCE PER TOBIA

Tra un pensiero e l'altro Tobia non si accorge di aver camminato fino alla stalla, dove ora solo una debole fiammella toglie il luogo dalla morsa del buio. Il pastorello sbircia attraverso un'asse sconnessa. Accidenti, il bue è proprio lì davanti e Tobia non vede proprio un bel niente! Si sporge ad una finestrella, poco più di una fessura e vede. Vede quello che gli riempie il cuore di tenerezza, perché nella penombra della stalla distingue chiaramente un papà e una mamma, chini su un fagottino bianco, e poi lo sguardo del Bambino su di lui. È uno sguardo luminoso e intenso. Vorrebbe scappare ma, davanti a quegli occhi, le gambe sono pesanti e non si muovono; i piedi sembrano incollati per terra. Sulle mani sente cadere delle gocce tiepide: sono lacrime.Tobia sta piangendo. Si volta anche la mamma del Bambino. "Oh! Come assomiglia alla mia mamma!" pensa Tobia. Poi guarda il papà e sente per un attimo mancargli il respiro: se papà fosse lì, potrebbe proteggerlo, aiutarlo, difenderlo, come fa il papà del Bambino, che ha uno sguardo buono e forte e che adesso gli fa un cenno, per invitarlo ad avvicinarsi. Anche la mamma dice: "Entra, entra Tobia. Gesù ti stava aspettando". Tobia è un po' sorpreso. "Io" non posso, forse sono un po'
cattivo". Ma, senza accorgersene, Tobia si ritrova inginocchiato accanto al Bimbo, mentre la madre asciuga le lacrime del pastorello. Qualcuno sta anche accarezzandogli i capelli ricci ed arruffati. È il papà di Gesù; forse vuole proteggere anche Tobia che intanto si chiede dove sia finito il suo buco nero, quello che dava tanto dispiacere al suo cuore di bambino: non c'è più" Tobia sente anche le manine di Gesù sulla fronte, che forse tracciano un segno. La stanchezza lo prende e dolcemente, sulla paglia, accanto a Gesù, Tobia trova la sua giusta luce, mentre pensa che, da quel momento, la mamma non piangerà più per lui.

Pubblicato da A. Gatti

gatti54@yahoo.it

domenica 5 dicembre 2010

STORIA E ILLUSTRAZIONE INEDITA DA NON PERDERE! AH, DIMENTICAVO PER I GRANDI...SOPRATTUTTO


COME ANDARONO LE COSE...
d
i Vittorio Sedini
Fonte: Città Nuova
Illustrazione: Meraviglioso Natale del Bambino di Laura Cortini (grazie!)

“Carissimi angioletti – disse Gesù bambino – senza offesa, andate a cantare un po’ più in là. Bisogna proprio che nessuno sappia cosa sta succedendo qui!”.



Obbedienti come sempre (quasi tutti tranne uno, non so se sapete) gli angioletti se ne volarono più in là.
Poi chiamò al telefono i Re Magi e li pregò di lasciar perdere, di non scomodarsi, che il deserto è pericoloso, che ci sono i predoni eccetera eccetera. Questi risposero saggiamente “Ottimo consiglio, Signore, vuol dire che ci vedremo un'altra volta, magari in primavera. Sa, l'artrite, la cervicale, sul cammello non va mica tanto bene…” E non se ne fece nulla. Quanto ai pastori e alle pecore, fu più facile. “Sciò, sciò, care bestiole ! Scappate che arriva il lupo!”. Naturalmente i pastori se la diedero a gambe e le pecore… dietro!
A questo punto, se Dio volle, i dintorni della capanna, diventarono più che mai deserti e tranquilli. Sembrava una notte qualsiasi. Sfumata la festa se ne erano andati tutti ed era rimasto lì soltanto l’omino della polenta che aveva sperato fino all’ultimo in una serata di buoni affari. Deluso e un po’ stupito, si avvicinò al Bambinello e gli chiese “Ma cosa ti è saltato in mente? Perché hai fatto questo? Perché hai cacciato via tutti?”.
“Vedi amico – rispose Gesù Bambino – non volevo che a causa di questa notte così bella, tutti gli anni sotto Natale i posteri si cacciassero in un traffico pazzesco avvelenando se stessi e il prossimo. E che corressero in giro come pazzi diventando più cattivi invece che più buoni. Non volevo arricchire i fabbricanti di panettoni . Non volevo che i bambini venissero travolti dalla nevrosi della play station. Non volevo che uscisse il film di natale. Non volevo che quello strano vecchio vestito di rosso si infilasse proditoriamente nel mio compleanno…”. E continuò enumerando tutte le sciagure che ben conosciamo e che ci affliggono da novembre a gennaio, tutti gli anni.
L’omino della polenta ne tagliò cinque fette. Ne diede una al Bambinello, una a Maria, una a Giuseppe, una all’asino e una al bue. Ne tagliò una anche per sé e tutti insieme fecero una semplice ma indimenticabile cenetta. Come potremmo fare noi a Natale invece che strafocarci di mille porcellerie. Nessuno ce lo proibisce.

sabato 27 novembre 2010

Ancora sull'adozione


Quanto è grande il bisogno di sicurezza di un bambino adottato

IL BLU DELLA SPERANZA

Quanto è grande il bisogno di sicurezza di un bambino adottato?


Racconto una esperienza che ci può insegnare qualcosa al riguardo.


Ho conosciuto un bambino che si è espresso così : “quando mi dissero che stavano per arrivare dei genitori per me, ho capito che era successa la magia che aspettavo. Io lo sapevo che succedeva, li aspettavo”

E ha poi disegnato la sua nuova famiglia e, in mezzo al gruppo, se stesso come un mago, tutto blu (non fa pensare a Mago Merlino?)

I genitori mi hanno detto che questo bimbo ha molto sofferto nell’orfanatrofio. E lui adesso getta una luce su quel buio:” li aspettavo”, dice. Come a dire : c’era una speranza che mi sosteneva.

E nel disegnarsi così , come uno che fa le magie, prova gioia nel ritenersi quasi autore di questo miracolo. Cosa c’è di più utile per mantenersi saldi che non pensare di poter essere protagonisti della propria vita?

Più ti senti sottomesso al potere e più, per non crollare, coltivi il sogno di poter cambiare tutto.

I bambini la chiamano “magia”. Questo bambino, ad un anno di distanza dall’adozione, sorride alla mamma mentre dice questa cosa.

Nella vita quotidiana ha ancora tanto bisogno di sicurezza ,a causa della grave privazione patita per anni. Più è stato grande il “buco” di sicurezza e più è lungo il tempo per colmarlo. Ha ancora tanti momenti di rabbia, di sfiducia , di incertezza.

Perciò ho attaccato al muro quel disegno, per sostenere i suoi genitori (e tutti gli altri genitori adottivi a cui racconterò “la magia”) con il blu della speranza che non si arrende.


pubblicato da Maddalena Triggiano
illustrazione da "IL PICCOLO PRINCIPE" di
Antoine de Saint-Exupéry


mercoledì 24 novembre 2010

Profumo di Natale



Maria ripensava alle parole dell'angelo: lei sarebbe diventata la mamma di Gesù e anche Elisabetta aspettava un figlio! Evviva! Doveva raggiungere la cugina incinta che era anziana, per gioire con lei e aiutarla.

Stai attenta Maria e salutami Elisabetta.” le raccomandò Anna, come fanno tutte le mamme. Salì sull’asinello e quando gli allungò una carezza sul collo, l’animale zoccolò allegramente verso la montagna. La cittadina di Elisabetta dista a soli sei chilometri da Gerusalemme.

Quando Maria aprì la porta Elisabetta esultò di gioia e l'abbracciò. Ma ecco all’improvviso una commozione profonda le illuminò gli occhi. “Elisabetta, ti senti forse poco bene?” chiese allarmata Maria, vedendo che la cugina portava una mano sul cuore. Ma lei così rispose: “Oh, Maria, benedetta fra tutte le donne! E' un onore per me salutare la madre del mio Signore!”

Come fai a sapere che aspetto il Figlio di Dio?” chiese sottovoce Maria.

Vedi, appena mi hai salutato il mio bambino ha fatto una gran capriola: anche lui ha riconosciuto la madre del Figlio di Dio.”

Allora Maria esclamò:“E’ magnifico ciò che fa il Signore! Anche i bambini non ancora nati possono distinguere nel grembo della loro madre lo splendore della creazione, riconoscere le nostre voci e percepire le nostre carezze!” E continuò lodando Dio e tutte le cose belle che aveva fatto per gli uomini più deboli, per il suo popolo...

Poi lo sguardo di Maria sfiorò la casa di Elisabetta e visto che c’era da fare, accompagnò la cugina a sedersi presso la cesta del cucito e lei si mise a riordinare. “Cosa fai Maria? Devi riposarti dopo il viaggio!” protestò Elisabetta.“Oh, no, mi sento piena di forza. Continua pure a cucire la camiciola per il bambino, è molto bella e dovrai insegnarmi come farne una per Gesù!”

Nessuna delle due donne si era accorta che un angelo del Signore, accovacciato sul nudo pavimento, sorrideva divertito. Maria rimase con Elisabetta fino alla nascita di Giovanni, poi detto il Battista cugino di Gesù. Chissà quali erano i loro giochi preferiti quando le loro mamme si scambiavano qualche visita e li vedevano crescere in sapienza e bontà!

da: A. Gatti "Una mamma di Galilea. Il rosario raccontato ai bambini." Ed. EFFATA'

Illustrazioni di Barbara Gallizio

domenica 21 novembre 2010

L'ELETTRODOMESTICO INGOMBRANTE

La tv di sottofondo
di Maria Rosa Pagliari
Fonte: Città Nuova
Bambini che guardano la Tv.
«Ho una figlia, madre di due bambini di 18 mesi e 4 anni. Quando vado da lei, c’è sempre la tv accesa. Che influenza ha la tv su bimbi così piccoli?».
Franca










Interessanti ricerche hanno dimostrato che nelle case in cui ci sono bambini piccoli, il televisore può restare acceso anche otto ore nell’arco della giornata. Molti genitori pensano che, essendo i bambini piccoli, “non capiscono” i programmi dei grandi e che i suoni e le immagini che provengono dalla tv non li disturbano. Uno studio condotto su 50 bambini tra i 12 i 36 mesi di vita ha dimostrato che, se è presente un televisore acceso nella stanza in cui dei bambini stanno giocando, questi lo guardano spesso mentre giocano (27 volte nell’arco di trenta minuti a 12 mesi, 26 volte a 24 mesi, 17 volte a 36 mesi). Inoltre, le frequenti occhiate (della durata di circa 3,27 secondi l’una) che i bimbi lanciano alla tv accesa disturba il gioco e le attività che stanno facendo. Il disturbo è tanto maggiore quanto più piccoli sono i bambini.
Il bimbo che guarda il piccolo schermo anche per poco tempo dimentica lo schema del gioco che stava seguendo e può riprenderlo solo con fatica oppure è costretto a cambiarlo. Il che non favorisce la concentrazione ma un'attenzione discontinua. La televisione di sottofondo disturba gli sforzi dei bambini di mantenere l'attenzione e perciò i genitori dovrebbero limitare l'esposizione dei loro bambini alla televisione di sottofondo.

martedì 16 novembre 2010

Educazione, tesoro dell'umanità


16 Novembre 2010 di Violetta Conti
Fonte: Città Nuova editrice

Intervista a Michele De Beni, autore del libro “Educare. La sfida e il coraggio”. Il richiamo alla funzione educativa degli adulti nel mondo d’oggi.


Educazione
In una società che oggi sempre più si bea dell’ utilizzo smodato di termini quali "emergenza educativa", l’anelito alla propositività in ambito formativo sembra sempre meno l’obiettivo preponderante di una cultura ormai alla deriva. Paradosso di un’epoca, la nostra, che con forza dimostra la sua vocazione all’interattività e alla comunicazione. «Come il sonno della ragione – aveva dichiarato mons. Coletti, alla conferenza stampa dell’assemblea della Cei sull’educazione –, così anche una libertà senza scopo, senza fine, produce mostri». Non siamo più abituati a vedere nell’altro una risorsa, e cosa ancora più grave, nelle nuove generazioni; venendo meno al significato stesso del termine "educazione", dal latino ex-ducere, cioè condurre fuori. L'educatore, colui che con arte maieutica "tira fuori"da ciascun individuo il meglio di sé, ha una responsabilità che investe in realtà ogni adulto. Su queste tematiche è da alcune settimane in libreria,
Educare. La sfida e il coraggio di Michele De Beni, pedagogista, psicoterapeuta e professore presso la facoltà di Scienze dell'Educazione di Verona. Lo abbiamo intervistato.
Perché questo titolo?
«Sembra paradossale, ma oggi, proprio in un’epoca di grande ricchezza culturale e disponibilità di conoscenze, gli adulti non sembrano esser più in grado di educare, che è la più antica e nobile, irrinunciabile opera di civiltà. Si fa fatica a leggere i mutamenti sociali in atto. Ci si lascia piuttosto abbandonare alla logica del “così fan tutti”. E le soluzioni, spesso delegate ad altri, come alla televisione, a internet, al “fai da te”. Crisi di fiducia nella vita e di volontà di futuro, inevitabilmente legate alla crisi dell’educazione stessa».
Ci sono soluzioni o ricette più riuscite?
«Certo, educare è difficile, perché non sempre si possono vedere i frutti del nostro impegno. Per educare oggi occorre accettare la sfida posta da un ricorrente relativismo, ma soprattutto da un certo disimpegno nei confronti della responsabilità educativa. Urge un nuovo, generoso slancio procreativo delle generazioni adulte nei confronti di quelle più giovani, ma questo chiede un cambiamento di rotta, un patto sociale per l’educazione che trasversalmente coinvolga istituzioni, gruppi, famiglia e scuola. Per questo ci vuole il coraggio di meglio conoscere e comprendere il cambiamento, riuscendo a coltivare insieme ai giovani uno sguardo che sappia mirare più in avanti e più in alto. Soprattutto, imparando con loro, ogni giorno l’arte del “ricominciare”»
Chi sono i destinatari…
«È un pubblico di adulti. Non solo educatori in senso stretto, ma quanti oggi hanno titolo svolgono una funzione di “educatori” sociali. Pensiamo non solo alla famiglia o alla scuola, ma a chi ha funzioni politiche o di indirizzo economico, ad un dirigente…; a chi comunque ha compiti di coordinamento o di guida. Pensiamo al condizionamento di certi modelli televisivi o alle mode. Ogni nostra azione o decisione comunque influenza quella degli altri. Tutti partecipiamo a questa collettiva, reciproca azione educativa, che può esser educativa o diseducativa. Potremmo dire: “Non si può non educare”. Mi chiedo se ne siamo coscienti. E se ne sappiamo trarre responsabilmente le conseguenze sul piano dell’azione. Il libro intende risvegliare proprio questa presa di consapevolezza. Come opportunamente sottolinea anche il prof. Daniele Bruzzone dell’Università Cattolica di Piacenza, oggi all’educazione viene chiesto di rigenerare un nuovo slancio, un ethos che non sia semplicemente la riproposizione di ciò che è stato, ma l’invenzione di ciò che ancora non c’è»
Il Rapporto Unesco della Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI secolo si intitolava “Nell’educazione un tesoro” . Ma è davvero così o il continuo mutamento della società richiede altro?
«Di per sé, l’educazione è il vero tesoro dell’umanità. Lo hanno ben compreso quei governi che più investono nello sviluppo dell’educazione. Ne va del futuro non solo culturale, ma anche economico e scientifico. Mi sembra, tuttavia, che ci sia una specie di fraintendimento da superare, cioè quello che tenta di rappresentare l’educazione come una specie di supermercato tecnologico o di sistema aziendale. Non bisogna dimenticare che l’educazione non è solo scambio di conoscenze, perché non riguarda solo il sapere e la scienza: poiché essa impegna la vita, è prima di tutto una questione di amore, di condivisione di una medesima saggezza. Mi viene in mente uno slogan di qualche anno fa che cercava di racchiudere l’educazione scolastica in tre I: Inglese, Impresa, Internet. Evidentemente, tre buoni obiettivi, ma non sufficienti a far dell’istruzione una vera opportunità educativa.
Ma questa è l'educazione richiesta dal nostro mondo tecnologico...
Ben più acute e impegnative mi sembrano le tre I, che il famoso psicologo americano Howard Gardner indica come finalità basilari per l’educazione del XXI^ secolo: Intelligenze (sviluppo integrale della persona e di tutte le sue forme di intelligenza), Intuizione (capacità creativa e d’innovazione), Integrità (l’essere virtuoso dell’uomo, rivolto al bene). Questioni che portano direttamente il discorso educativo al centro dell’essere e del dover essere, del senso del pensare e dell’agire, che nel mio libro ho cercato di declinare attraverso tre grandi prospettive: l’educazione al “sentire”, cioè alle emozione e ai sentimenti; al “pensare”, cioè all’uso riflessivo della propria mente; all’”amare”, cioè all’orientamento costruttivo della propria vita per il bene comune. Il rischio, non troppo remoto, è che ci si aggrappi esclusivamente a una tecnologia o a un metodo. Perché educare richiede principalmente far incontrare il giovane con la sua libertà, sostenendolo nel discernimento, nelle scelte e nei comportamenti».
I giovani sono orientati al fai da te...
«Invece no, bisogna far sì che insieme si scopra come dare un senso buono alla vita propria e altrui. Per questo, non servono solo competenze tecnologico-scientifiche, pur indispensabili. Occorre orientare la vocazione educativa e ritrovare quella passione vera, che è cura della relazione e amore per la persona, al di là di ogni sua condizione, far sentire ogni giovane che ci viene affidato degno di fiducia, perché a sua volta guardi con fiducia alla vita, vedendo tutti come fratelli, degni di essere amati. Non può esserci paradigma più elevato, coraggioso e ineffabile, per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo»

lunedì 15 novembre 2010

Tocca ancora a noi!

"Mamma, papà!
Oggi non vorrei andare al centro commerciale...

...Mi portate a vivere l'autunno?"

(richiesta catturata casualmente: ma perchè mi entusiasmo per ciò che dicono i bambini?)

foto di Romano Boletti "Autunno lungo l'Adda"

Pubblicato da Annamaria
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giovedì 11 novembre 2010

TOCCA A NOI!

Educare alla socialità
di Maddalena Triggiano Petrillo
Fonte: Città Nuova

«Giorni fa ho assistito alle infruttuose richieste di un bambino piccolo che avrebbe voluto giocare con due bambini grandi. I grandi lo rifiutavano ripetutamente e i rispettivi genitori non sono intervenuti. Non sono comportamenti che spianano la strada al bullismo?».
Donatella - Castiglion Fiorentino (Ar)


Bambini che giocano
Sì, è così, perché sono atteggiamenti, sia quelli infantili che quelli adulti, che non tengono conto dei sentimenti e dei bisogni dell’altro. La cosa che la colpisce di più, come mi spiega nella lettera, è che i genitori non siano intervenuti per mediare e per facilitare un rapporto tra i bambini. Sono rimasti impassibili sotto gli ombrelloni senza cogliere l’opportunità di dare ai loro bambini qualche suggerimento pratico per fare amicizia.
Gli adulti hanno questa meravigliosa possibilità di intervenire nei conflitti dei bambini offrendo loro soluzioni semplici, giocose, che distraggono i bimbi dalle loro liti. Il modo di fare di questi genitori non solo ha ignorato il comportamento di suo figlio di scarsa disponibilità verso il bambino più piccolo, ma lo ha addirittura incoraggiato continuando a far sentire il piccolo "uno di troppo". Mi sembra un'opportunità perduta di educare i figli a potenziare le proprie abilità sociali. Non si tratta di un "buonismo" senza spessore, ma di cogliere i momenti di vita in cui si può insegnare ai bambini che mettersi nei panni degli altri, specie se più deboli, li aiuta a crescere più flessibili e intelligenti, meno condizionati da impulsi e desideri.
Pubblicato da A. Gatti

giovedì 4 novembre 2010

LA LORO ROSA DEI VENTI















Il seguente contributo della psicoterapeuta Maria Intelisano, va ad arricchire i post dedicati agli educatori, confermando l'importanza dell'attenzione di qualità e della collaborazione nel rapporto educativo.

Lo stile è fluido ed efficace, proprio di chi con i ragazzi ha trascorso e vive il cammino quotidiano: buona lettura!


Maestra...Guardami!
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...
Nella scuola, in un'epoca come la nostra di repentini cambiamenti sociali e di messa in discussione di valori in generale, è ormai necessario prendere in considerazione l'aspetto relazionale come base e prerequisito al processo di apprendimento. Con ciò voglio intendere che abilità come la capacità di ascolto dei bisogni dei bambini, la valorizzazione delle loro risorse emozionali ed intellettive, la gratificazione di ogni loro successo, anche parziale, sono fondamentali nel fare scuola oggi.
L'impegno personale a volte è sacrificio, ma oggi si evita la fatica e si teme il dolore e la sofferenza.
Bisognerebbe evitare di dare giudizi. È azzardato dire «È così...», «Tu sei così...», «Sei uguale a...», «Rassomigli a...». Penso che nessuno possa essere certo di capire fino in fondo cosa pensi e provi l'altro. Significativo è ciò che scrive Fabio riguardo al tema «A chi assomiglio».
Tutti mi dicono che io assomiglio a mio nonno, ma, io nella mia mente penso di assomigliare a mia mamma, ma se loro dicono che assomiglio al nonno non ci posso fare niente, ma io continuo a. credere di assomigliare alla mia mamma.
È importante che l'adulto educatore ricerchi il suo star bene e il suo equilibrio, perché solo così può influenzare positivamente i suoi scolari.
Le persone che si accettano, che hanno dignità e rispetto di se stessi, che sanno capire e perdonare, che hanno fiducia e sanno trasmettere entusiasmo, sono già buoni educatori, perché con i loro atteggiamenti e vissuti quotidiani influenzano positivamente i bambini.
A volte troppi dubbi, troppi perché, troppo tutto, voler una spiegazione ad ogni cosa potrebbe essere negativo.
Formare al rispetto, all'aiuto reciproco, alla tolleranza, alla onestà. Un bambino difficilmente modifica il suo comportamento solo a parole. Molte situazioni bisogna fargliele vivere. Ai bambini più che parole e 'prediche' servono esempi di vita.
Ogni situazione è diversa e non si può usare lo stesso metro. Flessibilità e buon senso dell'adulto educatore sono fondamentali per assolvere il compito educativo.
Ho scoperto, durante la mia lunga esperienza di maestra elementare, che l'ascolto, il dialogo, una corretta comunicazione, sono stati sempre vincenti durante lo svolgimento della mia professione.
Purtroppo la scuola ha sempre preferito corsi di aggiornamento per migliorare percorsi didattici e disciplinari piuttosto che temi legati alla relazione educativa e socio-affettiva che maggiormente aiuterebbero il corpo docente ad appropriarsi di conoscenze e di abilità per gestire al meglio le varie problematiche.
Nella relazione educativa sono da evitare minacce e paure. E meglio lavorare per stabilire un rapporto di fiducia, di rispetto e di acccttazione. Il rimprovero e la punizione sistematica umiliano e mortificano, la vergogna dinanzi agli altri produce rabbia e aggressività, oltre che rancore e vendetta in alcuni casi limite.
Uno dei concetti più difficili da estirpare dalla mente di alcuni docenti e genitori è che gli obiettivi educativi e didattici si raggiungono prevalentemente attraverso la punizione, i rimproveri, le note. Secondo me invece un atteggiamento incoraggiante verso il bambino da risposte positive, al contrario degli atteggiamenti duri
e punitivi.
Il rinforzo positivo, per esempio: «Bravo!», «Hai visto che ci sei riuscito?» è un atteggiamento che incoraggia e facilita l'apprendimento con minore sforzo e maggiore risultato. Bisogna evitare di sottolineare sempre gli insuccessi e le cose negative. Occorre abituarsi ad apprezzare quello che i bambini riescono a fare, le mete
che hanno raggiunto.
Ascolto e dialogo sono atteggiamenti di comprensione e affetto che leniscono ansie e favoriscono comportamenti adeguati; mentre le punizioni, le note, i richiami e i rimproveri rivolti in continuazione al bambino che non riesce ad adattarsi e adeguarsi alle norme della classe e ai ritmi di apprendimento, producono rabbia, insofferenza, tensione. Ciò fa spegnere la motivazione, perdere la fiducia, l'alunno si svalorizza («Tanto non sono capace», «Gli altri sono più bravi», «Io non riesco») e reagirà, il più delle volte, con atteggiamenti sempre più disturbanti e negativi per sé e per la classe.
E necessario che insegnanti e genitori instaurino un rapporto collaborativo di intesa e di fiducia reciproca.
Tentare nuove strategie non è una perdita di tempo. Bisogna avere coraggio e fiducia.
Dove si evidenziano particolari problemi di apprendimento, di disciplina e di disagio in genere, è necessario infìdividuare nuovi percorsi dal punto di vista relazionale, organizzativo e metodologico per coinvolgere maggiormente i bambini nelle attività scolastiche e nella capacità di assumere comportamenti adeguati.
Rivolgere l'attenzione su se stessi per cercare di modificare alcuni atteggiamenti relazionali non è facile per nessuno, ma uno sforzo va fatto in questo senso per favorire maggior benessere.
E' importante guardare negli occhi i nostri figli, i nostri alunni e ascoltarli, entrare in sintonia con loro, comprendere le loro richieste e i loro problemi... Allora tutto diventa meno difficile. L'intesa non ha bisogno di molte parole, basta uno sguardo, un sorriso per intendersi e ciò è molto bello.
Maestra... Guardami! E se riusciamo a guardare con empatia negli occhi dei bambini, tutto diventa più semplice.

Da "Maestra... Guardami!" di Maria Intelisano, Ed. Edimond, 2008


Foto di Romano Boletti "Dove mi porterà il vento?"

pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it

lunedì 1 novembre 2010

BENVENUTA SUL BLOG, MARIA!












Maria Intelisano, psicologa e psicoterapeuta milanese ed insegnante per molti anni, gentilmente ci permette la pubblicazione di un suo contributo!

LA RELAZIONE EDUCATIVA E I RINFORZATORI

da "Maestra... Guardami!" di Maria Intelisano, Edimond. 2008 Città di Castello

A livello di scuola materna e di scuola elementare l'aspetto socio-affettivo è molto importante, perché fa star bene e rende più facile l'apprendimento.

Aiutare a sviluppare il lato affettivo con attività specifiche, per esempio proponendo racconti e vissuti che esprimono paure, feli­cità, tristezza, vergogna, serenità, ecc., riconoscere e manifestare tutti i sentimenti aiuta a viverli con naturalezza e a gestire meglio le emozioni. E ciò facilita la conoscenza di sé e la capacità di mettersi in relazione con gli altri.

Nella mia prassi educativa ho sempre evitato di colpevolizzare e svalorizzare gli alunni, consapevole che una serie di sollecitazioni tipo: «Sei sempre il solito...», «Non ti impegni...», «La colpa è tua...», non contribuiscono a migliorare né il comportamento né l'apprendimento.

I rinforzi positivi sono atteggiamenti che contribuiscono a far superare le difficoltà, per esempio: «Dai che ce la puoi fare...», «So che riuscirai... prova», «Anche se sbagli non succede niente...», «Io ho fiducia nelle tue possibilità», oppure una ca­rezza, un sorriso...

Molto significativi erano quei momenti in cui un bambino aiu­tava il compagno o spontaneamente o dietro suggerimento. A volte capitava (e io facevo in modo che capitasse) che con il bambino che aiutava il compagno ci si incontrasse con lo sguardo, io abboz­zavo un sorriso, facevo una strizzatina d'occhio o passavo vicino per fare un piccolo gesto affettuoso e ciò contribuiva ad aumentare la disponibilità e l'impegno a continuare nell'aiutare il compagno. I bambini difficili spesso si adattano di più e imparano con più faci­lità se è un coetaneo a stargli vicino. Certi atteggiamenti è difficile insegnarli perché nascono al momento, in base alla situazione.

Fiammetta era una bambina insicura, la causa era probabil­mente la paura di sentirsi giudicata e derisa dagli altri. Una volta mi ha detto: «Gli altri sono più bravi, non mi piaccio così come sono, vorrei essere diversa ma non ci riesco».

Lucia invece continuava a cancellare anche cose fatte abbastanza bene, facendo sempre grossi buchi sul quaderno. Diceva di non es­sere contenta di ciò che faceva.

La maturazione non avviene in tutti i bambini con lo stesso ritmo, lo sviluppo è variabile e dipende da molti fattori. Il senti­mento di fiducia e di sicurezza si sviluppano gradatamente attra­verso esperienze gratificanti.

Non riuscire ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni o sce­gliere di reprimerli provoca spesso nei bambini uno stato di costante disagio che in alcuni casi è dannoso dal punto di vista sia psicologico che fisico (apatia, aggressività, tic, disturbi psicosomatici).

Un giorno un bambino mi ha raccontato che suo padre l'aveva sgridato dinanzi ai suoi amici mentre giocava in cortile. Nel rac­contare manifestava tutta la sua tristezza e rabbia: «Avrei preferito essere rimproverato e anche picchiato, però a casa e non dinanzi ai miei amici» e così dicendo gli spuntarono le lacrime.

Spesso, a livello generale, durante le riunioni con i genitori fa­cevo emergere i vari disagi vissuti dai bambini e indirettamente cer­cavo di offrire stimoli di riflessione per migliorare la relazione edu­cativa con i propri figli.

A volte sentimenti di paura, di vergogna, di rabbia che vengono repressi portano a conflitti interiori e dunque al disprezzo di sé, all'autodistruttività e al rifiuto del mondo intero.

domenica 31 ottobre 2010

CARI LAURA E PIETRO, BENVENUTI SUL BLOG

Laboratorio alfabeto
di Andrea Casna
Fonte: Città Nuova

È possibile insegnare attraverso il gioco? Trasmettendo allo stesso tempo i valori dell’amore, del rispetto e del perdono?


Laura Fabiani e Pietro Acler
Spesso si tende a semplificare, affidandosi alla buona volontà e sensibilità degli addetti ai lavori. Ma l’insegnante, un buon insegnante, e il discorso vale per qualsiasi professionista, per svolgere al meglio le proprie mansioni necessita di strumenti adatti per raggiungere lo scopo: vale a dire fare un ottimo lavoro. Per insegnare instaurando un rapporto d’amore fraterno con gli alunni, per infondere i valori della vita, anche l’insegnate migliore deve lavorare con mezzi appropriati.
Pietro Acler e Laura Maria Fabiani hanno creato uno strumento di lavoro, precisamente un libro, dal titolo Laboratorio Alfabeto. Fiabe e attività per iniziare a leggere e scrivere (Erickson, 2010), che si propone d'insegnare le 26 lettere dell'alfabeto, non attraverso il sistema convenzionale, ma tramite uno stile «umano» per creare un rapporto sereno con studenti d'età compresa fra i 5 e i 6 anni.
I giovani alunni possono imparare l'alfabeto attraverso il veicolo della fiaba, sentendosi a proprio agio nella fase di passaggio fra la scuola materna e quella primaria. In questo modo - spiegano gli autori - si garantisce l'apprendimento attraverso il gioco, perché l'età dei giochi non deve finire.
Il libro stesso nasce da un esperimento voluto da alcune maestre della scuola primaria di Mestre, le quali chiesero a Pietro di scrivere alcune fiabe sulle lettere dell'alfabeto. Confermato il successo dell'insegnamento mediante l'uso delle fiabe, gli autori iniziarono quest'avventura editoriale che portò alla nascita di Laboratorio Alfabeto.
Le fiabe sono suddivise in due gruppi. Quindici sono ambientate nel «Regno dell'alfabeto», dove c'è un re che le ha pensate, disegnate e create. Le rimanenti undici sono più classiche e vedono come protagonisti bambini, adulti, animali e piante. Ogni fiaba porta con s'è un messaggio educativo perché il contesto scolastico è votato per sua natura, non solo all'istruzione, ma anche all'educazione.
La fiaba della lettera A racconta la storia di un re che voleva scrivere un vocabolario. Conosceva le lettere, ma doveva ancora metterle in ordine e scegliere quelle belle e scartare quelle brutte. Le chiamò a sé per esaminarle e cominciare il suo lavoro. Il re scartò la lettera A perché la trovò piuttosto bruttina e le disse di andarsene. Terminato il suo lavoro, il re consultò un vecchio saggio perché voleva iniziare con una bella parolona importante. Il saggio disse che poteva iniziare con la parola «amore», perché è la più importante. Privo della lettera A e accortosi dell’errore fatto, il re mandò i suoi fedeli sudditi a cercare quella povera lettera che egli stesso aveva cacciato. Dopo alcuni giorni, i sudditi la trovarono seduta sopra un sasso, con le lacrime agli occhi. Non fu facile convincerla a tornare dal re, ma alla fine gli inviati riuscirono nella missione. Il re l'abbracciò e si scusò per l'accaduto. «Senza di te – disse – non posso scrivere la parola amore. Ti chiedo quindi di restare ancora fra noi, nel mio regno, dove sarai stimata e ben voluta da tutti. Tu sarai accanto a me! Anzi, ti prometto fin d'ora che sarai per sempre la prima lettera dell'alfabeto».
Le fiabe trasmettono il messaggio dell’amore che ritorna, del «dono disinteressato, quello vero - scrivono gli autori nella prefazione -, quello che non cerca il tornaconto, ma sicuramente il bene dell'altro. È la ricetta della felicità, perché una persona che si sente amata avverte a sua volta il desiderio di amare».
Insegnare vuol dire anche comunicare, e il libro costituisce il veicolo attraverso il quale insegnanti ed alunni possono instaurare un dialogo, discutendo le tematiche affrontate nella singola fiaba. Entrando nell’atto pratico, ascoltata e commentata la fiaba, i giovani apprendisti dell’alfabeto possono esercitarsi con dei giochi molto semplici, affinché nessuno possa sentirsi escluso.

Pubblicato da Annamaria Gatti