Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

martedì 31 agosto 2021

Ancora sulla gestione, e sul valore, del litigio fra bambini.

 Abbiamo spesso  in questo blog portato contributi nostri e di altri specialisti  riguardanti la gestione dei litigi. Questo articolo di Silvia Iaccarino di Percorsi Formativi 0/6 si rivolge alle operatrici e alle insegnanti e  sintetizza molto bene e in breve questa "palestra" indispensabile per la crescita socioaffettiva dei nostri bambini. Riflessione utile anche ai genitori. 

di Silvia Iaccarino

 

“Litigare e’ un diritto dei bambini” 

D. Novara

 

“Il litigio dei bambini è qualcosa che può e deve essere utilizzato per aiutare a crescere”

P. Ragusa

 

 

“Mi raccomando, non litigate!”, “giocate bene senza litigare”, “la smettete di litigare?”…Quante volte, noi per primi da piccoli, ci siamo sentiti dire queste frasi? E quante volte, anche senza rendercene conto, le rivolgiamo oggi ai bambini di cui ci occupiamo?

Siamo mediamente tutti cresciuti in una cultura educativa che ha visto nel litigio qualcosa di negativo, da sedare, tenere a bada se non da eliminare del tutto in quanto spesso portatore di aggressività. Esso tendenzialmente è sempre stato qualcosa che ha disturbato i nostri genitori, i quali lo hanno giudicato come sbagliato, inutile, inopportuno, foriero di guai, facendoci sentire “inadeguati” e suscitando in noi vergogna e senso di colpa quando ci capitava di litigare con amici e/o fratelli. 

Alla base di questa visione negativa del litigio, oltre al timore dell’aggressività, è sempre stata agganciata l’idea che sia possibile stare insieme senza contrasti, secondo un ideale di “armonia” e “pace” secondo cui tutti si può andare sempre e comunque d’amore e d’accordo, affrancati dalle innate e inevitabili differenze individuali. Ma ciò è impossibile oltre che poco sano!

Il litigio è sempre stato interpretato così come contrario all’armonia, alla pace, e questo messaggio tendiamo a passare anche oggi ai nostri bambini. 

Non c’è dubbio che il litigio tra bambini, soprattutto in età prescolare, sia “rumoroso” e possa anche sfociare in episodi aggressivi, a causa del loro ancora scarso controllo degli impulsi, ma ciò non significa che il litigio in sé sia da eliminare. Altrimenti si “butta via il bambino con l’acqua sporca”. 

Infatti, contrariamente a quanto ci hanno passato i nostri genitori e la cultura educativa in cui tendenzialmente noi adulti di oggi siamo cresciuti, il litigio ha in sé innumerevoli e utili funzioni per lo sviluppo socio-emotivo dei bambini e può rappresentare una palestra unica e speciale in cui essi possono allenare una serie di competenze e capacità che non possono mettere in campo altrove. 

In particolare, attraverso il litigio tra pari, i bambini possono: 

  • imparare a stare nelle relazioni; 
  • incontrare limiti; 
  • apprendere via via come affrontare positivamente ed efficacemente i contrasti;  
  • sbagliare e capire come rimediare agli errori;  
  • imparare l’empatia; 
  • apprendere a gestire le proprie forze, energie ed a misurare quelle degli altri; 
  • tollerare impotenza e frustrazione; 
  • conoscere se stessi, distinguersi dagli altri, costruire la propria identità.

Il litigio è sostanzialmente un’occasione grazie alla quale i bambini possono capire che non esistono solo loro con le loro esigenze, ma che esistono anche altri, i quali  hanno un mondo interno (fatto di  credenze, aspettative, bisogni, valori, emozioni), differente dal proprio e col quale devono imparare a fare i conti, negoziando, assumendo il punto di vista altrui e sviluppando quella teoria della mente fondamentale per crescere bene ed avere relazioni sane ed equilibrate.

Grazie al litigio, ed alla palestra che questo rappresenta, i bambini possono quindi allenarsi in una serie di capacità e competenze molto utili sia nel loro presente che nel futuro, sviluppando quella che Daniele Novara chiama “competenza conflittuale”, ovvero la capacità di gestire i contrasti in modo sano, assertivo, rispettoso di sé e degli altri, senza utilizzare la violenza.  


Infatti, la violenza viene anche dal fatto che una persona, lungo il suo percorso di crescita, non ha avuto occasione di imparare a gestire in modo costruttivo i contrasti con gli altri, restando in qualche modo “analfabeta” su questo fronte. Tale analfabetismo può quindi portare all’agire modalità violente in quanto non si è dotati di un repertorio di comportamenti adeguati a comporre i contrasti in modo costruttivo e si percepisce l’altro come minaccia al proprio benessere, desiderando di eliminarlo.  

Siamo tutti d’accordo nel desiderare un mondo pacifico e senza violenza, ma finora abbiamo perseguito questo ideale partendo dai presupposti sbagliati. Abbiamo pensato che per costruire la pace fosse necessario rimuovere il litigio, invece oggi stiamo iniziando a capire che il contrasto  è connaturato all’essere umano, in quanto siamo tutti inevitabilmente diversi, e che possiamo costruire la pace solo imparando a gestire in modo adeguato tale insopprimibile e, in realtà, arricchente diversità, sviluppando la competenza conflittuale. 

Per noi educatori (compresi i genitori) diventa quindi oggi molto importante modificare il nostro punto di vista sui litigi tra bambini ed accoglierli come qualcosa di utile al loro sviluppo e come fondamentale opportunità di crescita. Si tratta, pertanto, di modificare anche il nostro approccio ed intervento educativo di fronte ai contrasti tra bambini, in modo da passare loro l’idea che “litigare è ok, ma c’è modo e modo di farlo”.

Che fare quindi?

Tanto nei contesti educativi, quanto in famiglia, possono essere utili una serie di considerazioni, approcci, strategie educative. 

Innanzitutto: 

  • quando i bambini litigano è importante evitare di agitarsi e mostrarsi spaventati, intervenendo come se ci fosse un’emergenza o mostrarsi arrabbiati. Infatti, con questo approccio si rischia di passare loro l’idea che il litigio sia un evento “grave” e che loro siano “sbagliati”, con conseguente senso di inadeguatezza e di colpa. Inoltre, vedendo una reazione così accesa, i bambini possono “triangolare” l’adulto, ovvero capiscono che litigare è un modo efficace per ottenere attenzione e ciò può portarli a “utilizzare” il litigio come modo per essere visti;  
  • tenere a bada la propria ansia che i bambini possano farsi male ed evitare l’intervento istantaneo (a meno che davvero ci sia un reale pericolo, cosa alquanto poco probabile). E’ utile, infatti, poter osservare la dinamica conflittuale per vedere se essi riescono a comporre da soli la questione, dandogli quindi del tempo e tollerando che possano esserci urla e pianti. Litigare non è traumatico, piangere non è traumatico. I bambini, soprattutto 0-3 anni, urlano e piangono per la frustrazione e la fatica di gestire la situazione: è normale. Non sta succedendo nulla di grave. Possiamo noi per primi gestire le nostre emozioni e valutare quanto lasciar fare a loro e quando è invece il momento di entrare in gioco per mediare la situazione.

Nel momento in cui valutiamo che è il caso di intervenire, è molto importante la modalità che utilizziamo. Infatti, affinché i bambini acquisiscano la “competenza conflittuale” noi adulti NON dobbiamo fare gli arbitri, stabilendo dall’alto torti e ragioni e cercando il colpevole (domande come “chi ha iniziato?” e/o “chi ce l’aveva prima?” in caso di contesa dei giochi sono da EVITARE). Questa modalità “arbitrale”, che noi per primi abbiamo vissuto da figli e alunni, non aiuta a diventare autonomi nella gestione dei contrasti ma, al contrario, mette i bambini in una posizione di dipendenza dagli adulti, per cui essi ricorrono continuamente al genitore o alla maestra affinché intervenga a ristabilire l’ordine. In questo modo, inoltre, i bambini non attivano le loro risorse personali e non è favorito lo sviluppo delle competenze socio-emotive. 

Dovremmo, al contrario, assumere il ruolo del mediatore, del facilitatore, affinché i bambini imparino a parlarsi ed a capire il punto di vista e i bisogni dell’altro e ricercando poi le LORO soluzioni, che noi dobbiamo rispettare, anche se non ci sembrano “giuste” da un punto di vista adulto. Come ho già avuto modo di dire in questo altro articolo sulla condivisione, non dovremmo applicare ai bambini le categorie moralistiche adulte, in quanto essi ragionano in modo differente dal nostro.

Per mediare i conflitti, senza arbitrarli, possiamo: 

  • chiedere ai bambini: “cosa succede?”, favorendo da parte loro la verbalizzazione di quanto ognuno sta vivendo, secondo il proprio punto di vista. Se i bambini sono molto piccoli e ancora non parlano, possiamo mettere noi in parole i fatti, ponendoli come domanda. Per esempio: “Giovanni, volevi giocare con Luca e la sua macchina rossa?”.  
  • una volta che i bambini hanno espresso i loro bisogni, possiamo aiutarli chiedendo loro: “come potreste risolvere la situazione? Provate a pensarci, sono sicura che potete trovare una soluzione”, lasciando quindi che essi tentino delle proposte e trovino autonomamente un accordo. Se l’accordo che nasce dal loro confronto è ok per i bambini, anche se non per noi (perché magari non ci pare equo), rispettiamo comunque la loro decisione. Nel caso dei bambini più piccoli che ancora non parlano, possiamo aiutarli a verbalizzare i loro bisogni ed intenzioni, proponendo in forma interrogativa delle possibili strade, senza imporre nulla dall’alto. Si tratta, sostanzialmente, di farsi traduttori per loro.  Per esempio: Giovanni, 2 anni, tira i capelli a Luca e gli prende di mano la macchinina rossa. Luca piange. Il nostro intervento potrebbe essere:  “Giovanni volevi giocare con Luca e la sua macchinina?”. Probabilmente Giovanni dirà di sì. “E’ una bella idea, devi però chiedere a Luca se vuole giocare con te, altrimenti se gli prendi la macchinina dalle mani lui ci rimane male. Vedi che sta piangendo?” – “Luca, Giovanni vorrebbe giocare con te, per questo ha preso la macchinina. Ti va di giocare con lui?”. Se Luca dice di sì, ok. Se Luca dice di no, possiamo continuare dicendo a Giovanni: “mi spiace Giovanni, ora Luca non ha voglia di giocare con te. Vuoi chiedergli se ti presta la macchinina?”. E così via. E’ certamente una modalità che richiede più tempo del semplice: “Giovanni, la macchinina l’aveva Luca, ridagliela”. Ma, a differenza di questo approccio, mostra ai bambini che ognuno di noi ha un suo mondo interno differenziato dagli altri, che va compreso e rispettato e che è necessario imparare a dialogare sulle situazioni. 

Per gestire i litigi in particolare nelle strutture educative (ma nulla vieta di farlo anche a casa tra fratelli), Daniele Novara suggerisce di approntare un angolo ad hoc, con un tavolino e un paio di sedie, dove i bambini possono sedersi e parlare tra loro. Il fatto di avere un angolo adibito per questo può sostenere i bambini nel processo di acquisizione della competenza conflittuale, finché non avranno interiorizzato le modalità costruttive di gestione dei litigi e saranno in grado di esprimerle ovunque, a prescindere dall’angolo in sé. 

Prima di concludere, vorrei portare l’attenzione su un ultimo punto, che spesso genera perplessità e preoccupazione soprattutto nei genitori, ovvero il bambino che “cede” spesso il gioco agli altri. Infatti, molti genitori si preoccupano che il proprio figlio sia “debole”, “si faccia mettere i piedi in testa” e possa diventare in futuro vittima di bullismo. Contrariamente a quanto può apparire, in realtà, spesso i bambini che “cedono” il loro gioco ad un altro hanno mediamente uno sviluppo socio-emotivo più avanzato in quanto comprendono empaticamente che l’altro è in difficoltà e quindi lo favoriscono, trovando per se stessi differenti soluzioni. Con questo non intendo dire che sia sempre così: a volte in effetti i bambini cedono i loro oggetti per una reale difficoltà a difendere il proprio possesso, ma dobbiamo affinare la nostra osservazione per distinguere le due situazioni e non presumere che vi sia una unica lettura, per di più “negativa”.

Per finire, cito Daniele Novara il quale afferma che: “Litigare è un’esperienza che, in quanto tale, può favorire l’attivazione di un insieme di competenze e apprendimenticome nessun’altra forma relazionale interpersonale. Improvvisamente nel mio orizzonte esperienziale appare un ostacolo, un punto di vista divergente, un’opposizione che blocca la mia volontà, impedisce la mia azione. C’è l’effetto sorpresa, elemento fondamentale delle dinamiche di apprendimento; compare un fattore nuovo che occorre integrare per evolvere; si scatena un conflitto intrapsichico di natura cognitiva che consente di imparare: a stare con gli altri, a gestire le proprie risorse, a negoziare, a riconoscere la pluralità dei punti di vista. Questo processo può però realizzarsi a patto di aver avuto la possibilità, durante l’età infantile in cui avviene l’imprinting, di vivere l’esperienza conflittuale in modo normale e positivo. Litigare bene permette infatti di stimolare competenze e funzioni che io ritengo ‘protettive’: insegnano a stare al mondo.”

Dunque, buoni litigi a tutti! 🙂 

 

BIBLIOGRAFIA

Novara D., “Litigare fa bene”, ed. Bur

Novara D., Di Chio C., “Litigare con metodo. Gestire i litigi dei bambini a scuola”, ed. Erickson

Novara D., “Litigare per crescere. Proposte per la prima infanzia”, ed. Erickson


pubblicato da Annamaria Gatti

foto da tuttobarche

lunedì 30 agosto 2021

Recensione - provocazione "L' equazione della libertà" dalla prof italiana finalista del Global Teacher Prize


Un libro in difesa della matematica? Anche, ma decisamente in un'ottica talmente creativa, aperta e vera, che della matematica pare di assaporare il vero tessuto "esistenziale": "La matematica ci rende liberi. Dagli stereotipi, dai condizionamenti della società e anche dalle paure più radicate in noi."


Ma di questo volume lieve, eppur per certi versi  impegnativo, si apprezza il taglio pedagogico e anche didattico e per didattica  intendiamo una metodologia di insegnamento e apprendimento. Quello che la professoressa Carimali scrive è permeato del sacro fuoco della passione:  rendere il fatto scolastico una scuola di vita, di crescita personale umana, affettiva e sociale.  Al centro ci sono gli studenti, le donne e gli uomini che compongono la classe, in un affascinante scambio giovani/adulto,  di contenuti e di emozioni, di pensieri e di scoperte. 

Un viaggio avvincente fra le pieghe della matematica, degli errori, dei successi, che la cura dei processi che sostengono l'apprendimento, come nella migliore tradizione delle neuroscienze, ingenerano portando benefici entusiasmanti.

L'energia di Lorella Carimali è contagiosa e da qui si comprende come questa donna, che combatte la sua buona battaglia nella scuola contro la sfiducia, i pregiudizi, le paure e i condizionamenti sociali, sia stata fra i 50 finalisti del Global Teacher Prize, il Nobel per l'insegnamento.



C'è speranza!

pubblicato da Annamaria Gatti






 

venerdì 27 agosto 2021

GENITORI OLTRE LA PANDEMIA 7: ATTENDERE

  Cari genitori,  ecco il  settimo step che vi accompagna ...oltre la pandemia. Speriamo! Vi è piaciuto il post "La quercia e gli uccellini" ? come prosecuzione ...fisiologica del precedente sesto appuntamento?

Siamo alle soglie dell'inizio di un nuovo anno sociale e scolastico, un nuovo inizio pieno di incognite e di ansia, abbiamo bisogno di essere, e "stare",  forti e motivati. 

Anche in questo contributo  riproponiamo  l'iter già sperimentato: 

  • breve riflessione
  • esperimento
  • commenti, libere condivisioni o domande, a cui la dottoressa Paola Canna ed io risponderemo individualmente.
Buona lettura!

                                                        foto di Sara Guarda  - L' attesa

7° STEP: ATTENDERE di Annamaria Gatti

... Eppure ce lo ripetono continuamente: ciascun figlio ha i suoi tempi! anche nelle situazioni più... normali. Impossibile che i bambini seguano lo stesso percorso e abbiano gli stessi tempi di sviluppo generale e di evoluzione settoriale.

Non è sempre facile tenere presente tutto questo: ansia e attese segnano frequentemente la storia evolutiva dei bambini, soprattutto appena si entra nell'ambiente educativo scolastico.

Nella scuola in particolare si evidenziano prestazioni varie e differenti che talvolta vengono interpretate come disturbi o ritardi. Tutto questo porta qualche disorientamento nelle famiglie e frequentemente un clima teso, di cui non beneficia certo il bambino. 

Ognuno infatti ha suoi tempi di crescita neurologica e di apprendimento,  deve affinare abilità intellettive, relazionali e prerequisiti con proposte adeguate, personalizzate o comunque attente a sostenere fiducia e motivazione, vivendo quindi l'errore o la difficoltà come normale e fonte di crescita.  La collaborazione e la professionalità degli insegnanti qui diventa preziosa e  determinante. Come la pazienza, la comprensione, la capacità di attendere e sostenere dei genitori

Ed eccoci giunti al momento top dell' ESPERIMENTO,   

Parola d'ordine per questo esperimento è: osservare e saper sostare, saper attendere per conoscere meglio il "mio" bambino e valutare i suoi bisogni e i suoi progressi. 

Prendetevi un momento per osservare i vostri figli. Occorrerà "spegnere" rumori e suoni,  schermi e cellulari per fare uno spazio autorevole di attenzione. Dovrà essere un tempo sufficientemente ampio, per essere validamente impiegato. Ciascun genitore qui è protagonista della propria storia e competenza.

Ogni genitore si fa attento esperto entrando in empatia e in sintonia con il proprio figlio per conoscere, assimilare, confrontare reazioni, scelte, segnali, richieste attraverso tutte le forme comunicative verbali o analogiche che danno così numerosissime informazioni e rassicurano il bambino che si sente "incontrato" davvero.

Sarà più facile comprendere i  tempi di maturazione delle varie abilità, rassicurarsi e rassicurare il bambino con la scoperta che "non temere, quando sarai pronto ce la farai"... 

Come sempre scriveteci in privato vostre esperienze, chiarimenti, osservazioni e  richieste.

drssa.paolacanna@gmail.com

gatti54@yahoo.it

instagram:     @the_life_therapy   

                      @infanzia.icare

FB Annamaria Gatti

lunedì 23 agosto 2021

Una favola di Gino Strada contro la guerra

 

Una favola da scoprire, per condividerla con figli, alunni, nipoti... Una favola di verità da un uomo che ha saputo spendersi per quel diritto alla salute così calpestato nel mondo. Grazie Gino Strada, fondatore di Emergency

É il suo ultimo articolo, quello pubblicato su La Stampa e titola «così ho visto morire Kabul». Nella sua opera pluridecennale di sostegno dei diritti umani sui teatri di guerra più atroci, infatti, nulla lo aveva sconvolto più del cinismo dell’Occidente nei confronti dell’Afghanistan.
 

MAGO LINGUAGGIO

Una favola contro la Guerra 

C ‘era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c’era molta più acqua che terra su quel pianeta. 
Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po’ bislacco. 
Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano “volante”, anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo “guidante”, oppure “girante”, visto che serve per girare? Anche sulle cose importanti si faceva molta confusione. 

Si parlava spesso di “diritti”: il diritto all’istruzione, per esempio, significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) andare a scuola. 
Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale. 
Ma per chi viveva in un paese senza scuole, oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l’ospedale (e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l’eccezione), questi diritti erano in realtà dei rovesci: non valevano un fico secco. 
Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere, queste cose non erano diritti: erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi. 
A volte, addirittura, i potenti della terra chiamavano “operazione di pace” quella che, in realtà, era un’operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano. 

E poi, sulla Terra, non c’era più accordo fra gli uomini sui significati: per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare. 
Quanta confusione! 
Tanta confusione che un giorno il mago Linguaggio non ne poté più. 
Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini. All’inizio c’era stato un po’ di trambusto, perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo l’altro pensava al canguro, e se uno chiedeva spaghetti l’altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai. 
Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti. 

Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio, e il gorilla un animale peloso, e non c’era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto di sugo di pomodoro. 
Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato un bel po’ di fatica al mago Linguaggio. 

Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione.
 «Le parole sono importanti» amava dire «se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non si capisce più niente». 
Una notte, dunque, si mise a scombinare un po’ le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. 
Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente.

 A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi (g) e la lettera acca (h), ed erano diventati… alberi! 
Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tarzan. 

Alle macchine aveva rubato una enne (n), facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada. 

Alle torte invece aveva aggiunto una esse (s) , erano diventate tutte storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. 
Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia. 

Nelle scuole si era anche divertito ad anagrammare, al momento dell’appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, adesso erano tutti serpenti, e le maestre scappavano via terrorizzate. 
Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era mai piaciuta. 
Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla. Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi. 

Andò avanti così per parecchi giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventavano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare. 

Quanta confusione! Troppa confusione, e gli uomini non ne potevano più. 
Mandarono quindi una delegazione dal mago Linguaggio, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo. 
«E va bene» – disse Linguaggio – «ma solo ad una condizione: che cominciate a usare le parole con il loro giusto significato». «I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi. 
Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali e non che alcuni sono più uguali di altri. E per quanto riguarda la guerra…». 
«Per quanto riguarda la guerra» – lo interruppero gli uomini – «ci abbiamo pensato…tienitela pure: è una parola di cui vogliamo fare a meno». 
                                                                                       

pubblicato da Annamaria Gatti
foto da il Messaggero

venerdì 20 agosto 2021

Favola: Come Enea riuscì a diventare cavaliere


Per essere coraggiosi e importanti occorre agire con empatia, stare vicini a chi è fragile
più che pensare  sconfiggere draghi e nemici



Fonte: Città Nuova giugno 2020
di Annamaria Gatti
illustrazione di Eleonora Moretti

C’era una volta sulla montagna un castello abitato da un giovane, 
che si chiamava Enea  e aveva un grande sogno:  
voleva diventare un bravo cavaliere. 
Ogni giorno si svegliava e pensava al modo di diventarlo degnamente, 
cioè con  merito e con onore.
Un giorno  vide arrivare un cavaliere, su un bel cavallo baio, 
con la lancia in mano e l’elmo sulla testa. 
“Un cavaliere vero!” esclamò Enea. 
Il cavaliere lo vide,  lo salutò e gli chiese di ospitarlo nel suo castello. 
Quando fu l’ora della cena l’ospite spiegò: 
“Sto cercando un giovane degno di diventare cavaliere, 
...voi ne conoscete qualcuno?”
“Eccomi, io voglio diventare cavaliere!” annunciò Enea.
“Ah davvero? Sei un tipo coraggioso e leale?”  “Certo, lo sono!”
“Uhm… hai mai  salvato una principessa dall’orco cattivo?”
“Beh… sì, ho salvato una bambina da una bestia che l’aveva spaventata, 
però saprei salvare anche la principessa, ne sono sicuro.”
“Ah, bravo! Hai trafitto con la lancia il drago del lago nero?” 
Incalzò il cavaliere.  “… Hai spento l’incendio in un villaggio 
minacciato dal fuoco?  Hai sconfitto il coronavirus medioevale?”
“No, ma… sono rimasto nel castello e ho seguito le regole  
per non contagiare nessuno.”
Ed ecco entrò la figlioletta della cuoca con un vassoio colmo di 
ciotole piene di budino. Indovinate cosa accadde!  
Inciampò nel tappeto e rotolò  ai piedi del cavaliere. 
Restarono tutti immobili. Solo Enea corse presso la bimba per aiutarla 
e rimediare al disastro, sussurrando: “Ti sei fatta male? Non preoccuparti, 
ora ti aiuto io.”

Il cavaliere non aveva battuto ciglio, cioè non si era scomposto, 
ma dopo qualche istante, ad alta voce annunciò:
“Ecco,  questo fa di te un vero cavaliere: aiuta i deboli e chi 
ha bisogno di aiuto! Ho visto sventrare un drago da un giovane 
che poi trattava male il suo scudiero e voleva sempre avere ragione lui 
e pensare che voleva diventare un cavaliere!”

Poi si rivolse a Enea e a testa alta lo invitò:
“Domani verrai alla corte del re e sarai accolto nella scuola dei  cavalieri. 
Dovrai impegnarti, allenarti, fare cose che  forse non ti piaceranno, 
aiuterai chi ha bisogno, dovrai superare prove di coraggio  
e  alla fine sarai un vero cavaliere! Brindiamo a Enea!”

Partirono il mattino all’alba e  fu così che il giovane  
riuscì a diventare cavaliere e  passò alla storia come Enea il Grande.


martedì 3 agosto 2021

I nostri ragazzi e l'allarme pornografia


Un cielo azzurro, alcune  nuvole importanti e la luce che illumina pensieri e immagini. 
All'opposto la pornografia diventa assenza,  nasconde la bellezza e stende un velo buio sulla vita e i sogni. Anche dei nostri bambini. Ecco alcuni dati dalla pagina della prof.ssa Anna Oliverio Ferraris  notissima psicologa e psicoterapeuta. 

da: Rubrica periodica GLI ANNI DELLA CRESCITA 

www.facebook.com/annaoliverioferraris

                                   IL PORNO, UN PROBLEMA SENZA SOLUZIONI? 

"Allarmano sempre più i dati relativi al consumo del porno in rete da parte dei più giovani. Poiché anche molti bambini hanno libero accesso alla rete, oggi può accadere che non soltanto gli adolescenti ma anche bambini di 8-9-10 anni "consumino" immagini di sesso di varia natura, anche violento e pedopornografico. 

Il consumo di sesso in rete in giovane età ha, come è noto da molto tempo, dei risvolti preoccupanti. Favorisce atteggiamenti sessisti e più aggressivi: 

le donne sono molto più spesso percepite come oggetti sessuali dai frequentatori di quei siti (70%) che da chi non li guarda (30%). 

Incoraggia la pratica del "sexting" ossia la richiesta alla partner di inviare immagini di nudi e parti intime, che possono poi venire girate agli amici ("revenge porn"). L'abitudine al sesso on line può far sentire inadeguati e confusi i giovani spettatori che si confrontano con i porno divi e le porno dive. 

Ma il consumo di sesso on-line può anche produrre, nei giovani, mancanza di desiderio sessuale e difficoltà ad eccitarsi con un/una partner in carne ed ossa, a causa del condizionamento alle immagini "forti" (l'ipereccitazione fa salire la soglia dell'eccitazione e la realtà appare scialba e non attraente al confronto di ciò che si è visto). 

Per produrre adrenalina negli spettatori alcuni siti associano il sesso alla violenza fornendo così un modello di sessualità perversa persino con scene di omicidi ("file gore"). 

E se la prima volta un giovane può restare scioccato (27%) e confuso (24%) oltre che eccitato (17%), la seconda volta le percentuali scendono già, rispettivamente all'8% e al 4%, mentre l'eccitazione sale al 49% (da Dataroom di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, Corriere della Sera 19/07/21) il che dà la misura dell'assuefazione e conferma la necessità di stimoli sempre più forti per eccitarsi. 

Quali rimedi? Censurare i siti porno? sarebbe la soluzione migliore anche se molto osteggiata. 

Introdurre l'educazione sessuale nelle scuole come accade in quasi tutti i paesi occidentali? con tutto ciò che circola in materia di sesso in tv e on-line sembrerebbe una scelta necessaria, ci sono però associazioni di genitori che pensano che l'educazione sessuale induca i giovani a fare sesso e che il primato educativo in quest'ambito spetti alla famiglia. 

C'è però un paradosso, molti di questi genitori regalano lo smartphone ai figli bambini e non pensano di dover esercitare un controllo."

Fin qui la pagina della professoressa Oliverio Ferraris. 

Quindi il tema è sempre più urgente e impone da molto tempo ormai provvedimenti e supporti per affrontare l'emergenza, con gli strumenti disponibili o da creare in vari ambiti: educativo, formativo, scolastico, politico-legislativo. Certo la famiglia è sempre al fronte anche in questo caso e i genitori andrebbero informati, formati e sostenuti e le scuole per genitori dovrebbero  essere una scelta pragmatica prioritaria. Conoscere cosa accade o cosa potrebbero vivere i propri figli,  interessarsi e accompagnarli è già avviare un processo virtuoso.

Segnalo il volume di Alberto Pellai e la sua presentazione Percorsi formativi 0-6 


https://www.facebook.com/percorsiformativi06/videos/446424216684053

https://www.youtube.com/watch?v=UFce7c8rs_o

pubblicato da Annamaria Gatti

foto da MALPENSA24