Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

venerdì 29 dicembre 2017

Un'altra possibilità. Un anno nuovo.

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Buon Anno Nuovo! 

Che ogni giorno svegliandoti
tu possa sorridere, 
ringraziando la vita 
che ti dona un'altra possibilità 
di rendere il mondo migliore.


pubblicato da Annamaria Gatti
foto da firenzeformatofamiglia.it



sabato 23 dicembre 2017

Buon Natale!

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"LA VERITA' MANIFESTATA 
E' AMORE.

L'AMORE REALIZZATO 
E' BELLEZZA"

     PAVEL FLORENSKIJ

BUON NATALE 
con tutto il cuore.

Pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it
foto da Pianeta mamma

domenica 17 dicembre 2017

Aumentare l'autostima del tuo bambino in 4 mosse tra umiliazione e sincerità.

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Abbiamo toccato nei post precedenti  alcuni passaggi di fondo, per introdurci alle prassi che dovrebbero aiutare a incrementare il grado di autostima del bambino.
Ora in quattro mosse gettiamo nel solco tracciato, i semi di alcune strategie per i Matteo e le Silvia di turno, che si rivelano utili a questo scopo.


  1. Silvia non conosce l'umiliazione. In famiglia nessuno approfitta di debolezze o errori per umiliarla, ma viene corretta di solito con decisione e tatto. Quando è accaduto a scuola la bimba ha mostrato prima un doloroso stupore e poi ha chiesto spiegazioni che hanno lasciato l'insegnante un po' spiazzata... 
  2. Matteo si sente amato comunque e quindi perdonato e accettato nei suoi limiti o nei suoi errori, Matteo sarà un bambino valorizzato. Non sente in famiglia la frase: se non fai il bravo, non ti vorrò più bene...
  3. A Silvia in famiglia si dicono le cose come stanno. Se non riesce in alcune cose, Silvia viene aiutata  a comprendere che con l'impegno potrà superare le difficoltà o i limiti. Solitamente non si elogiano inverosimilmente  mete non raggiunte con le proprie forze o facilitate, non si usa la bugia per ampliare i risultati. Silvia si è abituata bene a comprendere questo stile come la normalità.
  4. Non chiedere troppo a Matteo è stata una scelta comune fatta dai due genitori. Si erano accorti infatti di avere attese molto più alte delle possibilità del loro figlio. Equilibrare il tutto li ha portati a rinforzare l'autostima di Matteo,  che appare sereno e capace di chiedere aiuto e "consulenza" agli adulti di riferimento senza sentirsi umiliato o a disagio.

Al prossimo appuntamento.


pubblicato da Annamaria Gatti
Foto da Aforismi.mente.it

martedì 12 dicembre 2017

Quali scelte educative per favorire l'autostima nel bambino?

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A toccare il tasto dell'autostima, ecco che si accendono interessi forti. In questa società il grado di autostima infatti viene percepito come uno dei massimi valori della persona.
Io valgo, tu vali... questo il nodo di molte questioni.
Ed è una verità, in fondo. Ma capovolta.
Mi spiego: sono entrata nella massima praticità, raccontando di auto-svezzamento nel post precedente.
Da lì continuiamo.

Un bambino o una bambina a cui sono date, fin da piccolissimi, possibilità di poter mangiare in autonomia, per godere della funzione elementare di alimentarsi da solo pur in un contesto familiare, ricevono messaggi vari di conferma della propria capacità di intervenire sulla realtà e di utilizzarla con fini propri. 
E così ogni ambito della loro esistenza (vestirsi, curarsi, muoversi, organizzarsi, fare manualmente, costruire, sperimentare...)  si avvale di tale meraviglioso gioco del poter fare da soli ciò che possono  e devono, in autonomia (altra parola ...magica).


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Ogni genitore, e ogni educatore in genere, che sperimenta questa quotidianità e mette con saggezza e prontezza nelle condizioni il bambino di fare da solo e accoglie anche l'insuccesso o l'errore con empatia,  ha una risposta di gratitudine e di gioia per colui che si è sentito rispettato, amato,  un verbo che abbraccia tutto, non per quello che "fa" ma per quello che "è".

L'unità di misura per lo stile educativo ancora una volta è la soddisfazione del bambino. Il suo sorriso, la gioia dell'agire e dell'imparare. 
"Una prova della correttezza del nostro agire educativo 
è la felicità del bambino" .
Maria Montessori
E un bambino felice non è un bambino che possiede o che è servito, ma una persona che vuole apprendere perchè sente di valere e che questo valore lo porta anche a far fronte a disagi, difficoltà, errori e delusioni, da cui "giocare a riprendersi"!

"Faccio io al tuo posto" non è "ti aiuto" ma ha un significato analogico molto più severo:
"tu non sei in grado e io mi sostituisco a te" "tu non vali" "io non ho fiducia in te" "non sei capace, sei piccolo" 
"Mai aiutare un bambino mentre sta svolgendo  
un compito  nel quale sente di poter avere successo". 
Maria Montessori

E l'adulto? Un consulente e un supervisore, un punto di appoggio e di conferma, colui a cui attingere, colui che non avrà mai, per nessun bambino, uno sguardo di derisione o di supponenza, di possesso o di prevaricazione.  Empatico, "sa mettersi nei panni del bambino" capace di umiltà davanti alla meraviglia dell'infanzia che prova, riprova, si rassicura, persiste, ricerca, accoglie. 

Il prossimo appuntamento: Educare all'autostima tra  umiliazione e sincerità.

pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it
Ill. GB  e DoppiaW di Walter Kostner
foto da La tela di Carlotta

lunedì 11 dicembre 2017

Come incrementare correttamente l'autostima nel mio bambino?

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Tutta questione di autostima.
Mi piace iniziare o meglio continuare (vedi per i vari post del blog le etichette: autostima, professione genitori, autonomia...) con voi un percorso breve, ma intenso, riguardo l'autostima nei bambini, argomento che si apre e si chiuderà con la parola d'ordine: coerenza.  Ho sperimentato con i genitori che è la parte più difficile da esercitare.
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Vogliamo intanto parlare di autosvezzamento...
Sembra improprio? Pare proprio di no.
Cosa vive una bambina, un bambino che può sperimentare di assaporare, scegliere, valutare,  profumi, consistenze, rumori  e gusti nuovi?
Vivrà in un clima di salutare educazione all'autonomia, pur nell'assunzione di poche e chiare regole importanti. 
...E condivise dai genitori, che pranzano  o cenano con lui/lei, in un clima di festa o comunque di serenità, perchè si mangiano le stesse vivande.
Di fame non morirà certo se salta qualche momento del pasto perchè desidera provare o seguire il gusto o il momento...
Idem all'asilo nido... se lo frequenta.
Allora la sintesi:
Autosvezzamento=autonomia=fiducia in se stesso=
divertimento=affettività=buone relazioni=
coerenza genitoriale=sicurezza=autostima= amore
   


pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54 @yahoo.it
ill. da favim.com e libricino.it

giovedì 7 dicembre 2017

Giovannino Guareschi: Santa Lucia in una favola di grande intensità.


La ripropongo perchè ha un sapore che non va perduto!

FAVOLA DI SANTA LUCIA

di Giovannino Guareschi (1908-1968)

Cesarino si alzò e, prima ancora di lavarsi, prese il lapis blu e cancellò sul calendario un altro giorno. Ne rimanevano ancora tre che poi erano due in quanto il terzo era quello famoso. Mentre si lavava con l’acqua gelata, Cesarino d’improvviso ebbe un pensiero: “E la crusca?” Era una cosa importante. ma risultava anche logico che non ci avesse pensato perché fino all’anno prima, tutto si era svolto laggiù, al paese dove per trovare della crusca, bastava allungare una mano. Gli venne in mente il pane fatto in casa, e il profumo che usciva dal forno. Risentì il cigolio della gramola e pensò a sua madre. Uscì in fretta e passando dalla portineria, si fermò per consegnare la chiave alla portinaia: suo padre era andato via alle quattro perché, in quei giorni, c’era un sacco di lavoro per chi aveva un camion.
La strada era piena di gente che aveva una premura maledetta e la nebbia di quella fradicia mattina di dicembre era traditrice perché macchine e ciclisti saltavano fuori d’improvviso da ogni parte e bisognava stare attenti. Non poté pensare molto alla faccenda della crusca, ma quando fu a scuola, riprese a pensarci. Aveva dimenticato l’asino e adesso erano guai. Bisognava mettere sul davanzale, vicino alla scarpa, anche il sacchetto pieno di crusca per l’asino che portava le ceste dei regali. A non mettere la crusca, Santa Lucia si sarebbe offesa certamente.

Cesarino, quando alle dodici e mezzo lo lasciarono libero, corse subito alla panetteria e domandò un po’ di crusca. Ma di crusca non ne avevano. Ed era anche logico perché, in una città come Milano, a cosa potrebbe servire la crusca? Provò da un altro panettiere, poi da un terzo e, alla fine, perdette la speranza.
Arrivato a casa, trovò la chiave ancora in portineria: suo padre non era ancora arrivato e Cesarino mangiò da solo nella cucina fredda e in disordine. Il padre tornò la sera, ma non salì neppure in casa: lo chiamò dal cortile e assieme andarono alla trattoria dell’angolo.
La minestra calda diede a Cesarino tanta gioia da fargli dimenticare tutte le sue preoccupazioni ma, quando ebbe finito di mangiare, le preoccupazioni ritornarono a galla. Cesarino aveva una soggezione tremenda di suo padre che era un uomo cupo e di poche parole, quindi fece una fatica matta a entrare in argomento. Alla fine gli disse: — Ci vorrebbe un po’ di crusca. —

Uscito da scuola Cesarino abbandonò le sue ricerche. Aveva perso un sacco di tempo e si trovava a mani vuote, senza neppure la crusca per l’asino. Pensò allora che se, invece di crusca, avesse riempito un sacchetto di crostini di pane, la cosa avrebbe funzionato ugualmente. Col pane vecchio trovato in casa, riuscì a combinare poco o niente. Aggiunse mezzo il suo della colazione di mezzogiorno e, siccome il pane era fresco e molliccio, lo tagliò a pezzetti e lo fece abbrustolire sul gas.
La sera, il padre rincasò tardi: aveva portato un fagottino di roba e mangiarono in cucina, senza parlare.Prima di addormentarsi, Cesarino ci mise parecchio tempo. Comunque il fatto del sacchettino pieno di crostini gli dava una relativa tranquillità.
Alle sei, quando suo padre se ne fu andato, Cesarino saltò giù dal letto. Ormai non c’era più niente da cancellare sul calendario e gli parve che la notte dovesse arrivare fra pochi minuti anche se si trattava di parecchie ore. Alle sette e mezzo uscì di casa e incominciò a camminare in fretta e camminò fino a quando non si trovò fuori dalla città, al margine di una grande strada piena di autocarri che andavano e venivano.
Gli era venuta una fame tremenda e non poté resistere: mangiò due o tre crostini dell’asino:
"Capirà...", pensò.
Riprese il cammino e continuò a camminare altre due ore. Poi il cuore gli diede un tuffo perché, fermo a far nafta a un distributore, vide un camion che portava sulla targa due lettere che Cesarino conosceva bene. E il muso del camion era rivolto anche per il verso giusto. Quando il camionista fu risalito e stava per chiudere la portiera, Cesarino si fece avanti. Il camionista lo lasciò salire e, due ore e mezzo dopo lo scaricò al Crocile. Qui bisognava prendere la strada della Bassa, altri trenta chilometri, ma Cesarino doveva arrivare. Prese a camminare ma, fatto un chilometro, dovette mangiare altri due crostini dell’asino. Quando Dio volle, passò un carro trascinato da un trattore e Cesarino saltò su. Il tran-tran del carro gli faceva venire un sonno maledetto; ma Cesarino resistette e non mollò: conosceva la strada, adesso e, al bivio del Pontaccio, saltò giù perché il carro aveva preso la strada di destra mentre a Cesarino serviva la strada di sinistra. A un certo punto, il ragazzino lasciò la strada e prese una carrareccia: il buio incominciava a diventare spesso, ma Cesarino ci sarebbe arrivato a occhi chiusi nel posto dove aveva in mente di andare. E così, si trovò ad un tratto davanti ad una casa buia e silenziosa e, più che vederla, l’indovinò.
Era la vecchia casa dove, fino a sei mesi prima, Cesarino aveva abitato coi suoi. Suo padre aveva sempre sognato di abbandonare il paese e così, mortagli la donna, aveva caricato un po’ di roba e il ragazzino sul camion, ed era andato a Milano dove aveva già dei parenti che lavoravano nei trasporti.
E la casa era rimasta lì, deserta e abbandonata.
Cesarino cavò di tasca la grossa chiave e, dopo aver lavorato un bel pezzo perché la serratura era piena di ruggine, si trovò nell’andito basso e buio.
Infilò la porta della cucina. Sentì l’odore del camino. Passò la mano sull’asse del camino, trovò un mozzicone di candela e un mazzetto di fiammiferi.
Quel po’ di luce gli fece sembrare ancora più deserta e abbandonata la vecchia casa ed ebbe paura. Poi pensò a Santa Lucia e gli venne l’idea che di sicuro, da qualche parte ci doveva essere della crusca.
Se trovava un po’ di crusca, avrebbe potuto mangiare i crostini del sacchetto. Ma la credenza era vuota e, anche negli altri posti, non c’erano che polvere e ragnatele.
Mangiò ancora un po’ di crostini dell’asino. Poi sentì suonare al campanile una quantità enorme di ore e gli venne l’orgasmo.
Per l’amor di Dio che Santa Lucia non lo trovasse sveglio! Si tolse la scarpa destra, la ripulì e, aperte le ante della finestra di cucina, la mise sul davanzale, come aveva sempre fatto e vicino depose il sacchetto dei crostini. Poi chiuse le imposte a vetri e salì su nella sua stanza, camminando con una scarpa sì e una no. I vecchi letti tarlati c’erano ancora, ma senza materassi. Nella camera della nonna il letto aveva il pagliericcio e Cesarino si buttò lì sopra. Non avrebbe voluto spegnere la candela, ma l’idea che la luce disturbasse Santa Lucia lo convinse a rimanere al buio. Non fece neppure a tempo ad aver paura perché la stanchezza lo sprofondò a capofitto nel sonno.
* * *
All’una di notte una motocicletta si fermò nella strada, davanti alla casa solitaria.
Scese un uomo intabarrato che traversò l’aia e, arrivato davanti alla porta, accese una torcia elettrica. Il cerchio di luce vagò sulla facciata e si fermò sulla finestra con gli antoni spalancati e con la scarpa e il sacchetto sul davanzale. L’uomo intabarrato rimase lì un bel pezzo a guardare quella scarpa. Poi ritornò sulla strada e, messa da parte la motocicletta, si incamminò verso il paese addormentato. Fu quella la notte che a Cibelli rimase impressa come la più strampalata della sua placida vita di bottegaio. Cibelli fu svegliato infatti all’una e mezzo da qualcuno che stava sulla strada e, affacciatosi, riconobbe chi lo chiamava e scese domandandosi che accidente volesse a quell’ora. E quando ebbe saputo quello che voleva esclamò:
— Carletto. l’aria di Milano ti ha fatto diventare matto?
* * *
Cesarino si svegliò di soprassalto alle nove del mattino e subito si cavà fuori dal pagliericcio dentro il quale s’era avvoltolato e corse giù in cucina a spalancare la finestra.
La scarpa era zeppa di fagottini e altri fagottini erano sul davanzale, vicino alla scarpa.
Cesarino portò tutto sulla tavola e già si apprestava a sciogliere le funicelle dei pacchetti, quando sentì arrivare nell’aia una motocicletta. Poco dopo, compariva sulla porta della cucina suo padre.
— Tutta la notte che ti cerco! — gridò l’uomo cavandosi fuori dal tabarro. — Da Milano in moto son venuto qui!
Cesarino lo guardò a bocca aperta.
— Quando siamo a casa regoliamo i conti, — urlò con voce tremenda il padre. — E se fai ancora una cosa così, ti ammazzo!
Cesarino scosse il capo:
— Non lo faccio più, — balbettò. — Ormai Santa Lucia lo sa che sono a Milano... Le ho messo un bigliettino dentro la scarpa, e il bigliettino lo ha preso...
Era una bella giornata di dicembre con un sole limpido e splendente: il padre, con un urlaccio uscì dalla cucina e tornò portando una gran bracciata di legna che buttò sul fuoco.
La fiamma divampò nel camino:
Scàldati. assassino! — urlò l’uomo agguantando Cesarino per una spalla e ficcandolo su una sedia, davanti al fuoco.
Poi uscì e tornò con due scodelle di latte bollente e una micca di pane fresco.
Mangia! — gridò l’uomo mettendogli fra le mani pane e scodella. — E lascia stare quelle stupidaggini! E rimettiti la scarpa!
Cesarino era in una confusione spaventosa per via del pane, del latte, dei fagottini aperti. di quelli ancora da aprire. E poi la fiamma gli imbambolava gli occhi. Intanto il padre mangiava cupo e accigliato a occhi bassi.
Poi non poté più resistere e si volse un momentino, e lei era lì, dietro di lui, e gli sussurrava:
— Da che ci siamo conosciuti questo è il primo regalo che mi fai. Carletto. Ma è un gran regalo... Non me lo guastare, Carletto, il mio ragazzo. Lascialo così...
Il padre ebbe un ruggito e, piantati due occhi feroci in faccia a Cesarino, urlò:
— E così, per colpa tua, io ho perso una giornata!
Invece non l’aveva persa per niente. E lo sapeva. ma non voleva confessarselo.

pubblicato da Annamaria Gatti