Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

sabato 27 novembre 2010

Ancora sull'adozione


Quanto è grande il bisogno di sicurezza di un bambino adottato

IL BLU DELLA SPERANZA

Quanto è grande il bisogno di sicurezza di un bambino adottato?


Racconto una esperienza che ci può insegnare qualcosa al riguardo.


Ho conosciuto un bambino che si è espresso così : “quando mi dissero che stavano per arrivare dei genitori per me, ho capito che era successa la magia che aspettavo. Io lo sapevo che succedeva, li aspettavo”

E ha poi disegnato la sua nuova famiglia e, in mezzo al gruppo, se stesso come un mago, tutto blu (non fa pensare a Mago Merlino?)

I genitori mi hanno detto che questo bimbo ha molto sofferto nell’orfanatrofio. E lui adesso getta una luce su quel buio:” li aspettavo”, dice. Come a dire : c’era una speranza che mi sosteneva.

E nel disegnarsi così , come uno che fa le magie, prova gioia nel ritenersi quasi autore di questo miracolo. Cosa c’è di più utile per mantenersi saldi che non pensare di poter essere protagonisti della propria vita?

Più ti senti sottomesso al potere e più, per non crollare, coltivi il sogno di poter cambiare tutto.

I bambini la chiamano “magia”. Questo bambino, ad un anno di distanza dall’adozione, sorride alla mamma mentre dice questa cosa.

Nella vita quotidiana ha ancora tanto bisogno di sicurezza ,a causa della grave privazione patita per anni. Più è stato grande il “buco” di sicurezza e più è lungo il tempo per colmarlo. Ha ancora tanti momenti di rabbia, di sfiducia , di incertezza.

Perciò ho attaccato al muro quel disegno, per sostenere i suoi genitori (e tutti gli altri genitori adottivi a cui racconterò “la magia”) con il blu della speranza che non si arrende.


pubblicato da Maddalena Triggiano
illustrazione da "IL PICCOLO PRINCIPE" di
Antoine de Saint-Exupéry


mercoledì 24 novembre 2010

Profumo di Natale



Maria ripensava alle parole dell'angelo: lei sarebbe diventata la mamma di Gesù e anche Elisabetta aspettava un figlio! Evviva! Doveva raggiungere la cugina incinta che era anziana, per gioire con lei e aiutarla.

Stai attenta Maria e salutami Elisabetta.” le raccomandò Anna, come fanno tutte le mamme. Salì sull’asinello e quando gli allungò una carezza sul collo, l’animale zoccolò allegramente verso la montagna. La cittadina di Elisabetta dista a soli sei chilometri da Gerusalemme.

Quando Maria aprì la porta Elisabetta esultò di gioia e l'abbracciò. Ma ecco all’improvviso una commozione profonda le illuminò gli occhi. “Elisabetta, ti senti forse poco bene?” chiese allarmata Maria, vedendo che la cugina portava una mano sul cuore. Ma lei così rispose: “Oh, Maria, benedetta fra tutte le donne! E' un onore per me salutare la madre del mio Signore!”

Come fai a sapere che aspetto il Figlio di Dio?” chiese sottovoce Maria.

Vedi, appena mi hai salutato il mio bambino ha fatto una gran capriola: anche lui ha riconosciuto la madre del Figlio di Dio.”

Allora Maria esclamò:“E’ magnifico ciò che fa il Signore! Anche i bambini non ancora nati possono distinguere nel grembo della loro madre lo splendore della creazione, riconoscere le nostre voci e percepire le nostre carezze!” E continuò lodando Dio e tutte le cose belle che aveva fatto per gli uomini più deboli, per il suo popolo...

Poi lo sguardo di Maria sfiorò la casa di Elisabetta e visto che c’era da fare, accompagnò la cugina a sedersi presso la cesta del cucito e lei si mise a riordinare. “Cosa fai Maria? Devi riposarti dopo il viaggio!” protestò Elisabetta.“Oh, no, mi sento piena di forza. Continua pure a cucire la camiciola per il bambino, è molto bella e dovrai insegnarmi come farne una per Gesù!”

Nessuna delle due donne si era accorta che un angelo del Signore, accovacciato sul nudo pavimento, sorrideva divertito. Maria rimase con Elisabetta fino alla nascita di Giovanni, poi detto il Battista cugino di Gesù. Chissà quali erano i loro giochi preferiti quando le loro mamme si scambiavano qualche visita e li vedevano crescere in sapienza e bontà!

da: A. Gatti "Una mamma di Galilea. Il rosario raccontato ai bambini." Ed. EFFATA'

Illustrazioni di Barbara Gallizio

domenica 21 novembre 2010

L'ELETTRODOMESTICO INGOMBRANTE

La tv di sottofondo
di Maria Rosa Pagliari
Fonte: Città Nuova
Bambini che guardano la Tv.
«Ho una figlia, madre di due bambini di 18 mesi e 4 anni. Quando vado da lei, c’è sempre la tv accesa. Che influenza ha la tv su bimbi così piccoli?».
Franca










Interessanti ricerche hanno dimostrato che nelle case in cui ci sono bambini piccoli, il televisore può restare acceso anche otto ore nell’arco della giornata. Molti genitori pensano che, essendo i bambini piccoli, “non capiscono” i programmi dei grandi e che i suoni e le immagini che provengono dalla tv non li disturbano. Uno studio condotto su 50 bambini tra i 12 i 36 mesi di vita ha dimostrato che, se è presente un televisore acceso nella stanza in cui dei bambini stanno giocando, questi lo guardano spesso mentre giocano (27 volte nell’arco di trenta minuti a 12 mesi, 26 volte a 24 mesi, 17 volte a 36 mesi). Inoltre, le frequenti occhiate (della durata di circa 3,27 secondi l’una) che i bimbi lanciano alla tv accesa disturba il gioco e le attività che stanno facendo. Il disturbo è tanto maggiore quanto più piccoli sono i bambini.
Il bimbo che guarda il piccolo schermo anche per poco tempo dimentica lo schema del gioco che stava seguendo e può riprenderlo solo con fatica oppure è costretto a cambiarlo. Il che non favorisce la concentrazione ma un'attenzione discontinua. La televisione di sottofondo disturba gli sforzi dei bambini di mantenere l'attenzione e perciò i genitori dovrebbero limitare l'esposizione dei loro bambini alla televisione di sottofondo.

martedì 16 novembre 2010

Educazione, tesoro dell'umanità


16 Novembre 2010 di Violetta Conti
Fonte: Città Nuova editrice

Intervista a Michele De Beni, autore del libro “Educare. La sfida e il coraggio”. Il richiamo alla funzione educativa degli adulti nel mondo d’oggi.


Educazione
In una società che oggi sempre più si bea dell’ utilizzo smodato di termini quali "emergenza educativa", l’anelito alla propositività in ambito formativo sembra sempre meno l’obiettivo preponderante di una cultura ormai alla deriva. Paradosso di un’epoca, la nostra, che con forza dimostra la sua vocazione all’interattività e alla comunicazione. «Come il sonno della ragione – aveva dichiarato mons. Coletti, alla conferenza stampa dell’assemblea della Cei sull’educazione –, così anche una libertà senza scopo, senza fine, produce mostri». Non siamo più abituati a vedere nell’altro una risorsa, e cosa ancora più grave, nelle nuove generazioni; venendo meno al significato stesso del termine "educazione", dal latino ex-ducere, cioè condurre fuori. L'educatore, colui che con arte maieutica "tira fuori"da ciascun individuo il meglio di sé, ha una responsabilità che investe in realtà ogni adulto. Su queste tematiche è da alcune settimane in libreria,
Educare. La sfida e il coraggio di Michele De Beni, pedagogista, psicoterapeuta e professore presso la facoltà di Scienze dell'Educazione di Verona. Lo abbiamo intervistato.
Perché questo titolo?
«Sembra paradossale, ma oggi, proprio in un’epoca di grande ricchezza culturale e disponibilità di conoscenze, gli adulti non sembrano esser più in grado di educare, che è la più antica e nobile, irrinunciabile opera di civiltà. Si fa fatica a leggere i mutamenti sociali in atto. Ci si lascia piuttosto abbandonare alla logica del “così fan tutti”. E le soluzioni, spesso delegate ad altri, come alla televisione, a internet, al “fai da te”. Crisi di fiducia nella vita e di volontà di futuro, inevitabilmente legate alla crisi dell’educazione stessa».
Ci sono soluzioni o ricette più riuscite?
«Certo, educare è difficile, perché non sempre si possono vedere i frutti del nostro impegno. Per educare oggi occorre accettare la sfida posta da un ricorrente relativismo, ma soprattutto da un certo disimpegno nei confronti della responsabilità educativa. Urge un nuovo, generoso slancio procreativo delle generazioni adulte nei confronti di quelle più giovani, ma questo chiede un cambiamento di rotta, un patto sociale per l’educazione che trasversalmente coinvolga istituzioni, gruppi, famiglia e scuola. Per questo ci vuole il coraggio di meglio conoscere e comprendere il cambiamento, riuscendo a coltivare insieme ai giovani uno sguardo che sappia mirare più in avanti e più in alto. Soprattutto, imparando con loro, ogni giorno l’arte del “ricominciare”»
Chi sono i destinatari…
«È un pubblico di adulti. Non solo educatori in senso stretto, ma quanti oggi hanno titolo svolgono una funzione di “educatori” sociali. Pensiamo non solo alla famiglia o alla scuola, ma a chi ha funzioni politiche o di indirizzo economico, ad un dirigente…; a chi comunque ha compiti di coordinamento o di guida. Pensiamo al condizionamento di certi modelli televisivi o alle mode. Ogni nostra azione o decisione comunque influenza quella degli altri. Tutti partecipiamo a questa collettiva, reciproca azione educativa, che può esser educativa o diseducativa. Potremmo dire: “Non si può non educare”. Mi chiedo se ne siamo coscienti. E se ne sappiamo trarre responsabilmente le conseguenze sul piano dell’azione. Il libro intende risvegliare proprio questa presa di consapevolezza. Come opportunamente sottolinea anche il prof. Daniele Bruzzone dell’Università Cattolica di Piacenza, oggi all’educazione viene chiesto di rigenerare un nuovo slancio, un ethos che non sia semplicemente la riproposizione di ciò che è stato, ma l’invenzione di ciò che ancora non c’è»
Il Rapporto Unesco della Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI secolo si intitolava “Nell’educazione un tesoro” . Ma è davvero così o il continuo mutamento della società richiede altro?
«Di per sé, l’educazione è il vero tesoro dell’umanità. Lo hanno ben compreso quei governi che più investono nello sviluppo dell’educazione. Ne va del futuro non solo culturale, ma anche economico e scientifico. Mi sembra, tuttavia, che ci sia una specie di fraintendimento da superare, cioè quello che tenta di rappresentare l’educazione come una specie di supermercato tecnologico o di sistema aziendale. Non bisogna dimenticare che l’educazione non è solo scambio di conoscenze, perché non riguarda solo il sapere e la scienza: poiché essa impegna la vita, è prima di tutto una questione di amore, di condivisione di una medesima saggezza. Mi viene in mente uno slogan di qualche anno fa che cercava di racchiudere l’educazione scolastica in tre I: Inglese, Impresa, Internet. Evidentemente, tre buoni obiettivi, ma non sufficienti a far dell’istruzione una vera opportunità educativa.
Ma questa è l'educazione richiesta dal nostro mondo tecnologico...
Ben più acute e impegnative mi sembrano le tre I, che il famoso psicologo americano Howard Gardner indica come finalità basilari per l’educazione del XXI^ secolo: Intelligenze (sviluppo integrale della persona e di tutte le sue forme di intelligenza), Intuizione (capacità creativa e d’innovazione), Integrità (l’essere virtuoso dell’uomo, rivolto al bene). Questioni che portano direttamente il discorso educativo al centro dell’essere e del dover essere, del senso del pensare e dell’agire, che nel mio libro ho cercato di declinare attraverso tre grandi prospettive: l’educazione al “sentire”, cioè alle emozione e ai sentimenti; al “pensare”, cioè all’uso riflessivo della propria mente; all’”amare”, cioè all’orientamento costruttivo della propria vita per il bene comune. Il rischio, non troppo remoto, è che ci si aggrappi esclusivamente a una tecnologia o a un metodo. Perché educare richiede principalmente far incontrare il giovane con la sua libertà, sostenendolo nel discernimento, nelle scelte e nei comportamenti».
I giovani sono orientati al fai da te...
«Invece no, bisogna far sì che insieme si scopra come dare un senso buono alla vita propria e altrui. Per questo, non servono solo competenze tecnologico-scientifiche, pur indispensabili. Occorre orientare la vocazione educativa e ritrovare quella passione vera, che è cura della relazione e amore per la persona, al di là di ogni sua condizione, far sentire ogni giovane che ci viene affidato degno di fiducia, perché a sua volta guardi con fiducia alla vita, vedendo tutti come fratelli, degni di essere amati. Non può esserci paradigma più elevato, coraggioso e ineffabile, per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo»

lunedì 15 novembre 2010

Tocca ancora a noi!

"Mamma, papà!
Oggi non vorrei andare al centro commerciale...

...Mi portate a vivere l'autunno?"

(richiesta catturata casualmente: ma perchè mi entusiasmo per ciò che dicono i bambini?)

foto di Romano Boletti "Autunno lungo l'Adda"

Pubblicato da Annamaria
Aggiungi immagine

giovedì 11 novembre 2010

TOCCA A NOI!

Educare alla socialità
di Maddalena Triggiano Petrillo
Fonte: Città Nuova

«Giorni fa ho assistito alle infruttuose richieste di un bambino piccolo che avrebbe voluto giocare con due bambini grandi. I grandi lo rifiutavano ripetutamente e i rispettivi genitori non sono intervenuti. Non sono comportamenti che spianano la strada al bullismo?».
Donatella - Castiglion Fiorentino (Ar)


Bambini che giocano
Sì, è così, perché sono atteggiamenti, sia quelli infantili che quelli adulti, che non tengono conto dei sentimenti e dei bisogni dell’altro. La cosa che la colpisce di più, come mi spiega nella lettera, è che i genitori non siano intervenuti per mediare e per facilitare un rapporto tra i bambini. Sono rimasti impassibili sotto gli ombrelloni senza cogliere l’opportunità di dare ai loro bambini qualche suggerimento pratico per fare amicizia.
Gli adulti hanno questa meravigliosa possibilità di intervenire nei conflitti dei bambini offrendo loro soluzioni semplici, giocose, che distraggono i bimbi dalle loro liti. Il modo di fare di questi genitori non solo ha ignorato il comportamento di suo figlio di scarsa disponibilità verso il bambino più piccolo, ma lo ha addirittura incoraggiato continuando a far sentire il piccolo "uno di troppo". Mi sembra un'opportunità perduta di educare i figli a potenziare le proprie abilità sociali. Non si tratta di un "buonismo" senza spessore, ma di cogliere i momenti di vita in cui si può insegnare ai bambini che mettersi nei panni degli altri, specie se più deboli, li aiuta a crescere più flessibili e intelligenti, meno condizionati da impulsi e desideri.
Pubblicato da A. Gatti

giovedì 4 novembre 2010

LA LORO ROSA DEI VENTI















Il seguente contributo della psicoterapeuta Maria Intelisano, va ad arricchire i post dedicati agli educatori, confermando l'importanza dell'attenzione di qualità e della collaborazione nel rapporto educativo.

Lo stile è fluido ed efficace, proprio di chi con i ragazzi ha trascorso e vive il cammino quotidiano: buona lettura!


Maestra...Guardami!
Aggiungi immagine
...
Nella scuola, in un'epoca come la nostra di repentini cambiamenti sociali e di messa in discussione di valori in generale, è ormai necessario prendere in considerazione l'aspetto relazionale come base e prerequisito al processo di apprendimento. Con ciò voglio intendere che abilità come la capacità di ascolto dei bisogni dei bambini, la valorizzazione delle loro risorse emozionali ed intellettive, la gratificazione di ogni loro successo, anche parziale, sono fondamentali nel fare scuola oggi.
L'impegno personale a volte è sacrificio, ma oggi si evita la fatica e si teme il dolore e la sofferenza.
Bisognerebbe evitare di dare giudizi. È azzardato dire «È così...», «Tu sei così...», «Sei uguale a...», «Rassomigli a...». Penso che nessuno possa essere certo di capire fino in fondo cosa pensi e provi l'altro. Significativo è ciò che scrive Fabio riguardo al tema «A chi assomiglio».
Tutti mi dicono che io assomiglio a mio nonno, ma, io nella mia mente penso di assomigliare a mia mamma, ma se loro dicono che assomiglio al nonno non ci posso fare niente, ma io continuo a. credere di assomigliare alla mia mamma.
È importante che l'adulto educatore ricerchi il suo star bene e il suo equilibrio, perché solo così può influenzare positivamente i suoi scolari.
Le persone che si accettano, che hanno dignità e rispetto di se stessi, che sanno capire e perdonare, che hanno fiducia e sanno trasmettere entusiasmo, sono già buoni educatori, perché con i loro atteggiamenti e vissuti quotidiani influenzano positivamente i bambini.
A volte troppi dubbi, troppi perché, troppo tutto, voler una spiegazione ad ogni cosa potrebbe essere negativo.
Formare al rispetto, all'aiuto reciproco, alla tolleranza, alla onestà. Un bambino difficilmente modifica il suo comportamento solo a parole. Molte situazioni bisogna fargliele vivere. Ai bambini più che parole e 'prediche' servono esempi di vita.
Ogni situazione è diversa e non si può usare lo stesso metro. Flessibilità e buon senso dell'adulto educatore sono fondamentali per assolvere il compito educativo.
Ho scoperto, durante la mia lunga esperienza di maestra elementare, che l'ascolto, il dialogo, una corretta comunicazione, sono stati sempre vincenti durante lo svolgimento della mia professione.
Purtroppo la scuola ha sempre preferito corsi di aggiornamento per migliorare percorsi didattici e disciplinari piuttosto che temi legati alla relazione educativa e socio-affettiva che maggiormente aiuterebbero il corpo docente ad appropriarsi di conoscenze e di abilità per gestire al meglio le varie problematiche.
Nella relazione educativa sono da evitare minacce e paure. E meglio lavorare per stabilire un rapporto di fiducia, di rispetto e di acccttazione. Il rimprovero e la punizione sistematica umiliano e mortificano, la vergogna dinanzi agli altri produce rabbia e aggressività, oltre che rancore e vendetta in alcuni casi limite.
Uno dei concetti più difficili da estirpare dalla mente di alcuni docenti e genitori è che gli obiettivi educativi e didattici si raggiungono prevalentemente attraverso la punizione, i rimproveri, le note. Secondo me invece un atteggiamento incoraggiante verso il bambino da risposte positive, al contrario degli atteggiamenti duri
e punitivi.
Il rinforzo positivo, per esempio: «Bravo!», «Hai visto che ci sei riuscito?» è un atteggiamento che incoraggia e facilita l'apprendimento con minore sforzo e maggiore risultato. Bisogna evitare di sottolineare sempre gli insuccessi e le cose negative. Occorre abituarsi ad apprezzare quello che i bambini riescono a fare, le mete
che hanno raggiunto.
Ascolto e dialogo sono atteggiamenti di comprensione e affetto che leniscono ansie e favoriscono comportamenti adeguati; mentre le punizioni, le note, i richiami e i rimproveri rivolti in continuazione al bambino che non riesce ad adattarsi e adeguarsi alle norme della classe e ai ritmi di apprendimento, producono rabbia, insofferenza, tensione. Ciò fa spegnere la motivazione, perdere la fiducia, l'alunno si svalorizza («Tanto non sono capace», «Gli altri sono più bravi», «Io non riesco») e reagirà, il più delle volte, con atteggiamenti sempre più disturbanti e negativi per sé e per la classe.
E necessario che insegnanti e genitori instaurino un rapporto collaborativo di intesa e di fiducia reciproca.
Tentare nuove strategie non è una perdita di tempo. Bisogna avere coraggio e fiducia.
Dove si evidenziano particolari problemi di apprendimento, di disciplina e di disagio in genere, è necessario infìdividuare nuovi percorsi dal punto di vista relazionale, organizzativo e metodologico per coinvolgere maggiormente i bambini nelle attività scolastiche e nella capacità di assumere comportamenti adeguati.
Rivolgere l'attenzione su se stessi per cercare di modificare alcuni atteggiamenti relazionali non è facile per nessuno, ma uno sforzo va fatto in questo senso per favorire maggior benessere.
E' importante guardare negli occhi i nostri figli, i nostri alunni e ascoltarli, entrare in sintonia con loro, comprendere le loro richieste e i loro problemi... Allora tutto diventa meno difficile. L'intesa non ha bisogno di molte parole, basta uno sguardo, un sorriso per intendersi e ciò è molto bello.
Maestra... Guardami! E se riusciamo a guardare con empatia negli occhi dei bambini, tutto diventa più semplice.

Da "Maestra... Guardami!" di Maria Intelisano, Ed. Edimond, 2008


Foto di Romano Boletti "Dove mi porterà il vento?"

pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it

lunedì 1 novembre 2010

BENVENUTA SUL BLOG, MARIA!












Maria Intelisano, psicologa e psicoterapeuta milanese ed insegnante per molti anni, gentilmente ci permette la pubblicazione di un suo contributo!

LA RELAZIONE EDUCATIVA E I RINFORZATORI

da "Maestra... Guardami!" di Maria Intelisano, Edimond. 2008 Città di Castello

A livello di scuola materna e di scuola elementare l'aspetto socio-affettivo è molto importante, perché fa star bene e rende più facile l'apprendimento.

Aiutare a sviluppare il lato affettivo con attività specifiche, per esempio proponendo racconti e vissuti che esprimono paure, feli­cità, tristezza, vergogna, serenità, ecc., riconoscere e manifestare tutti i sentimenti aiuta a viverli con naturalezza e a gestire meglio le emozioni. E ciò facilita la conoscenza di sé e la capacità di mettersi in relazione con gli altri.

Nella mia prassi educativa ho sempre evitato di colpevolizzare e svalorizzare gli alunni, consapevole che una serie di sollecitazioni tipo: «Sei sempre il solito...», «Non ti impegni...», «La colpa è tua...», non contribuiscono a migliorare né il comportamento né l'apprendimento.

I rinforzi positivi sono atteggiamenti che contribuiscono a far superare le difficoltà, per esempio: «Dai che ce la puoi fare...», «So che riuscirai... prova», «Anche se sbagli non succede niente...», «Io ho fiducia nelle tue possibilità», oppure una ca­rezza, un sorriso...

Molto significativi erano quei momenti in cui un bambino aiu­tava il compagno o spontaneamente o dietro suggerimento. A volte capitava (e io facevo in modo che capitasse) che con il bambino che aiutava il compagno ci si incontrasse con lo sguardo, io abboz­zavo un sorriso, facevo una strizzatina d'occhio o passavo vicino per fare un piccolo gesto affettuoso e ciò contribuiva ad aumentare la disponibilità e l'impegno a continuare nell'aiutare il compagno. I bambini difficili spesso si adattano di più e imparano con più faci­lità se è un coetaneo a stargli vicino. Certi atteggiamenti è difficile insegnarli perché nascono al momento, in base alla situazione.

Fiammetta era una bambina insicura, la causa era probabil­mente la paura di sentirsi giudicata e derisa dagli altri. Una volta mi ha detto: «Gli altri sono più bravi, non mi piaccio così come sono, vorrei essere diversa ma non ci riesco».

Lucia invece continuava a cancellare anche cose fatte abbastanza bene, facendo sempre grossi buchi sul quaderno. Diceva di non es­sere contenta di ciò che faceva.

La maturazione non avviene in tutti i bambini con lo stesso ritmo, lo sviluppo è variabile e dipende da molti fattori. Il senti­mento di fiducia e di sicurezza si sviluppano gradatamente attra­verso esperienze gratificanti.

Non riuscire ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni o sce­gliere di reprimerli provoca spesso nei bambini uno stato di costante disagio che in alcuni casi è dannoso dal punto di vista sia psicologico che fisico (apatia, aggressività, tic, disturbi psicosomatici).

Un giorno un bambino mi ha raccontato che suo padre l'aveva sgridato dinanzi ai suoi amici mentre giocava in cortile. Nel rac­contare manifestava tutta la sua tristezza e rabbia: «Avrei preferito essere rimproverato e anche picchiato, però a casa e non dinanzi ai miei amici» e così dicendo gli spuntarono le lacrime.

Spesso, a livello generale, durante le riunioni con i genitori fa­cevo emergere i vari disagi vissuti dai bambini e indirettamente cer­cavo di offrire stimoli di riflessione per migliorare la relazione edu­cativa con i propri figli.

A volte sentimenti di paura, di vergogna, di rabbia che vengono repressi portano a conflitti interiori e dunque al disprezzo di sé, all'autodistruttività e al rifiuto del mondo intero.