Oggi il tema compiti a casa imperversa. Non mi addentro nel tema che richiederebbe un trattato. Solo qualche flash. I docenti devono valutare con buon senso e professionalità la quantità, ma soprattutto la qualità della proposta di lavoro a casa. A tal proposito consiglio la lettura dell'articolo di Campana Lanfranchi, "A chi servono i compiti?" - Psicologia e Scuola - Giunti -
https://www.giuntiscuola.it/psicologiaescuola/la-rivista-di-carta/psicologia-e-scuola/psicologia-e-scuola-nov-dic-2018-n-2/
Riporto il parere autorevole della professoressa Lucangeli, da tempo in prima linea sul fronte apprendimento.
“Il punto non è se assegnare o meno i compiti – sottolinea Daniela Lucangeli, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Padova – ma quali e quanti assegnarne. I compiti non possono infatti sostituire l’apprendimento del tempo scuola, né tanto meno ciò può essere delegato solo alle lezioni assegnate a casa. Che sono un supporto all’ apprendimento, costituiscono una fase di consolidamento e stabilizzazione di quanto si inizia a imparare in classe”.
Secondo le recenti ricerche in ambito cognitivo perché l’apprendimento sia davvero significativo la fase dell’insegnamento deve garantire l’intero “flusso dell’intelligere”: alla fase in cui si imparano le informazioni nuove deve infatti seguire la rielaborazione attiva dell’allievo. E la seconda fase è la più importante dell’intero processo cognitivo perché l’alunno interiorizza e rende proprie le conoscenze trasmesse dall’ insegnante e dall’ ambiente circostante attraverso una elaborazione personale”. In altri termini, l’allievo diventa capace “di pensare”, arricchito dalle informazioni apprese.
Il problema della scuola italiana, basato in larga parte su lezioni frontali (ndr. più parti si sollecita e si sperimenta l'aggiornamento del metodo di apprendimento), è di esercitare in prevalenza la prima fase dell’apprendimento, cioè l’assimilazione, e di delegare invece il momento più importante di elaborazione ai compiti a casa. Questo rischia di generare un apprendimento passivo e per lo più a breve termine, finalizzato soprattutto alla prestazione. Cosa che invece non accade se il docente accompagna lo studente nella fase della rielaborazione, identificando eventuali errori, anche di ragionamento, e adottando strategie efficaci.
“Compito del docente deve essere quello di affrontare ogni obiettivo discutendone con i ragazzi, facendoli ragionare, offrendo strategie per apprendere sempre meglio. I metodi sono molti: dalla discussione di gruppo al cooperative learning, fino al tutorato tra pari. I compiti a casa vengono dopo, solo per consolidare quanto già appreso in classe".
E accanto alla qualità dei compiti da dare, è fondamentale calibrarne la quantità. “Un eccesso di carico – spiega Daniela Lucangeli – affatica e rallenta i processi cognitivi, oltre che diminuire la motivazione”. Nei primi due anni delle elementari il carico di lavoro pomeridiano non dovrebbe superare i 30-45 minuti, che possono arrivare all’ora e mezza negli ultimi tre anni. Alle scuole medie e superiori, invece, non dovrebbero eccedere le due-tre ore, perché lo studente dovrebbe avere anche “tempi di vita sociale”. rielaborazione da Il BoLIve Unipd . a firma di Monica Panetto
Pubblicato da Annamaria Gatti Foto da Erickson
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