Benvenuti ai genitori...e ai bambini!
lunedì 16 giugno 2025
L'astronave perfetta, storia di amicizia e cooperazione
sabato 14 giugno 2025
Favola terzo episodio. Il cavaliere Enea e la scoperta della regola d’oro.
Ecco la continuazione dell'esperienza di Enea
che diventerà cavaliere solo se avrà saputo fare le scelte giuste.
Dedico questa favola a Willy barbaramente ucciso
mentre voleva difendere un amico e portare la pace.
Willy ora è un vero cavaliere.
fonte: Città Nuova Settembre favola di Annamaria Gatti
illustrazione di Eleonora Moretti
Il castello degli apprendisti cavalieri era una severa dimora, poca luce e rumori sinistri popolavano le stanze “Avete
paura del buio? Avete paura delle novità?” chiedeva il Grande Maestro.
“No” rispondevano gli apprendisti “noi sappiamo cavarcela
bene. Andiamo finalmente a cacciare draghi?”
“Nulla del genere, la
prossima prova sarà liberare dalla torre il gran
borbottone.”
I giovani si guardarono e scoppiarono in una sonora risata. Il Maestro li lasciò ridere, poi aggiunse: “Vedrete, non
è un tipo piacevole, buona fortuna!”
Un ululato acutissimo proveniente
dalle scale della torre li fece rabbrividire. Dopo un veloce “pari o dispari” stabilirono
l’ordine dei tentativi. “Parto!” disse il primo un po’ titubante “sarò
velocissimo”. Infatti velocissimo… ritornò contrariato: “Beh pensateci voi, è
così brontolone che non lo sopporto. E poi ho il cuore in gola: c’erano ombre
strane lungo la scala!”
Si sentirono ruggiti raccapriccianti e tutti si guardarono
preoccupati. Comunque, anche il secondo tornò solo: “E’ insopportabile! E’ un maleducato,
non gli va bene niente!”
Il terzo si fece coraggio, salì guardingo ed entrò. Gli promise mari e monti, poi lo prese in giro pesantemente
e iniziò anche a minacciarlo se non fosse partito con lui. Il borbottone si
accucciò in un angolo e, spaventato, non si mosse più. Anche il giovane tornò
giù tremante di paura e di rabbia.
Era il turno di Enea. Strana prova: sembrava un giochetto e
invece…
Entrò nella cella della torre. Borbottone, un omino ossuto, vestito elegantemente, ma sgradevole a
vedersi, stava lamentandosi: “Nessuno mi capisce, mi chiudono qui perché brontolo
sempre, questa torre è una prigione! Voglio
tornare a casa, giocherò con i nipotini anche se mi tireranno la barba,
prometto, non brontolerò più…”
Enea era sempre là seduto ad ascoltare.
L’omino lo guardò. Enea lo guardò.
L’omino gli sorrise.
Enea gli sorrise.
“Sei venuto a liberarmi?” gli chiese.
“Beh, se vuoi sì. Se io fossi nei tuoi panni, mi farebbe
piacere che qualcuno mi ascoltasse e mi capisse.”
“Amico, hai fatto con
me quello che vorresti fosse fatto a te, quindi hai superato la prova. Ora
vengo.”
La scala era ripida, ma il Borbottone la scese in fretta fino
a sbattere contro il barbone del Gran Maestro.
“Ullallah! Ecco trovato il cavaliere che ha scoperto la
regola d’oro.” Esclamò il Maestro, osservando curioso il borbottone.
“Me ne vado Maestro, hai trovato il tuo apprendista in gamba.
Io torno a casa e… venite a trovarmi ragazzi ma non bevete tutto il mio sidro e
non mangiatemi tutto il cinghiale e poi non lasciate le armi sparse nel cortile
e poi… e poi…”
“Sì, sì signore… abbiamo capito!” urlarono in coro tutti. Che
razza di brontolone, questo borbottone!
E anche gli altri giovanotti impararono che è meglio fare agli altri quel che vorresti fosse fatto a te.
pubblicato da Annamaria Gatti
Fine scuola 2, pagelle, voti e dintorni, per esempio Nicola Govoni.
Il fenomeno Nicola Govoni, classe 1993, è tutto da studiare e da accogliere con cuore libero.
Ci farebbe e ci fa benissimo.
Bocciato e umiliato, ha cercato la sua strada e l'ha trovata alla grande. Per chi non lo conoscesse:
"...dopo un'adolescenza difficile e una bocciatura nel 2013 parte per un'esperienza di volontariato nel'orfanotrofio Dayavu Boy’s Home nel Tamil Nadu dopo aver conseguito il diploma di maturità classica ... Decide poi di fermarsi in India per continuare l'attività di volontariato e proseguire gli studi iscrivendosi a un corso di laurea in giornalismo alla Symbiosis International University di Pune. Nel 2017 autopubblica l'e-book "Bianco come Dio" in cui racconta la sua esperienza di volontariato. Il libro diventa un piccolo caso editoriale, vendendo circa diecimila copie e attirando l'interesse della casa editrice Rizzoli che ne acquista i diritti per la pubblicazione. Il ricavato delle vendite viene utilizzato per la realizzazione di una biblioteca nell'orfanotrofio..." (Wikipedia recita)
Così inizia una vita tutta in salita, nel senso lettrale del termine e costellata di grandi passi che lo portano a lavorare in Palestina e nel più grande campo profughi d'Europa e a fondare con Giulia Cicoli e sarah Ruzek l'associazione STILL I RISE, ad aprire scuole per ragazzi e ragazze profughi. Costruisce una nuova scuola in Turchia presso il confine con la Sira con il ricavato della vendita del suo secondo libro di successo "Se fosse tuo figlio"
Nel 2020 vince la prima edizione del premio Premio CIDU per i Diritti Umani assegnato dal Ministero degli Esteri. A Nairobi in Kenia segue la realizzazione della prima International School, nata con l'obiettivo di fornire istruzione di alto livello gratuitamente per i ragazzi più poveri permettendogli di ottenere il titolo di Baccellierato internazionale.
Successivamente nel libro fotografico "Attraverso i nostri occhi. Vivere da bambini in un campo profughi" racconta la sua esperienza a Samo. A Bogotà apre la seconda scuola internazionale e nel 2023 pubblica il romanzo giallo "Altrove" per la casa editrice Still I Rise, appena fondata. Rizzoli pubblica nel 2024 il saggio "Un mondo possibile".
Nicola Govoni, fuori/classe nella nostra scuola, riceve il Premio Internazionale per la Leadership e la Benevolenza Joaquín Navarro-Valls per le sue azioni a favore di persone bisognose.
Meno male talvolta la scuola sbaglia, e alla grande. ma possiamo imparare sempre dagli errori e questa è la nostra forza. Quante analoghe storie da raccontare!
Allora riconfermiamo che allearci con i nostri ragazzi è la strada vincente comunque!
pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it
foto AGI
venerdì 13 giugno 2025
Fine scuola, pagelle, voti e dintorni, per esempio Sinner...
Ogni anno mi fermo, alla fine del periodo scolastico, sui risultati, promozioni e bocciature, stroncature di bambini e ragazzi e implicitamente delle famiglie e dei docenti. E faccio qualche riflessione ad hoc, sempre pensando a tutti loro con simpatia e condividendo fatiche e gioie.
Concludo sempre che comunque le bocciature non hanno (quasi) mai rovinato nessuno, non sono quelle che determineranno il futuro di ciascuno. Anzi! E che la ricerca della meraviglia e dei talenti presenti in ciascuno dei ragazzi e delle ragazze, avrebbe portato "in alto" tutti. E non è semplicismo o ingenuità. Ma non è lo scopo di questo post approfondire tutta la casistica e gli aspetti specifici di tale problematica.
Cosa c'entra Sinner, il grande tennista? (...la grande persona)
In qualunque modo si sia concluso questo anno scolastico, con le sue incongruenze, con i successi e i doni umani e culturali portati o evasi, non ho potuto fare a meno di pensare a lui, sconfitto a Parigi. E di come abbia portato questa sconfitta con onore e maturità rara, in un tempo come il nostro, tanto da separare il risultato dalla qualità delle relazioni, per esempio, col vincitore della lunga, pesantissima tenzone con racchetta e pallina.
Di cosa hanno bisogno quindi i nostri ragazzi e le nostre ragazze alle prese con un insuccesso scolastico? Comunque di alleati, per capire, riprendersi, ripescare talenti e forze, che ci sono senz'altro, se qualcuno li aiuta a vederli.
E allora mettiamo in luce i tanti Sinner che incontriamo sulla nostra strada della vita, di chi sa riconoscere, si rialza, si riprende e non si scoraggia. Ma soprattutto sa rispettare e non sopraffare.
E' un appello a genitori e insengnati. Coltiviamo alleanza, speranza e fiducia. Facciamo tutta la nostra parte, dove siamo e possiamo. Raccoglieremo frutti, a dispetto di questi tempi di meschinità, superficialità e venti di guerra e di atrocità.
Pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it
foto da Avvenire
mercoledì 11 giugno 2025
Giornata mondiale del gioco. Maria Rita Parsi spiega.
Dal sito https://www.interris.it/ a cura di Lorenzo Cipolla pubblico una riflessione che sottolinea l'importanza del gioco per il bambino. E il pensiero va a tutti i bambini, a quelli defraudati, invisibili, e soprattutto a quelli che "giocano" fra macerie e violenze.
"L’infanzia è attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli.
Se l’infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, nessun drago, fantasma o mostro, all’improvviso sconfitto, nessuna luce, il bambino diventa adulto.
Ma dentro di lui, quel bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa.
Aspetta che l’infanzia sia magica, bella e santa.
Bisogna illuminare l’infanzia per farlo crescere”.
“Un bambino che ha potuto giocare sarà un adulto sereno”. (M.R Parsi)
La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi ama ripetere questa espressione del padre della neuropsichiatria infantile, Giovanni Bollea.
Il gioco libero come la corsa in un prato o secondo le regole, è una sperimentazione funzionale allo sviluppo psicofisico dei bambini e delle bambine perché consente loro di alimentare l’immaginazione, di conoscere il mondo e trovare soluzioni, di entrare in contatto con la realtà e le altre persone, di scoprire dove finiscono i confini delle proprie esigenze e cominciano i bisogni altrui, di fare scelta da cui emergono il loro carattere e la loro personalità.
“Si cresce
giocando”, spiega a Interris.it l’esperta, presidente della Fondazione
Movimento Bambino Onlus, in precedenza membro del Comitato Onu per i diritti
del fanciullo e già componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e
l’adolescenza. Un processo delicato, ancora di più oggi che parliamo di nativi
digitali e di intelligenza artificiale, in cui le figure adulte di riferimento
continuano ad avere un ruolo decisivo.
Prova generale
Le prime esperienze di vita modellano il cervello dei bambini, con l’attivazione dei lobi prefrontali che permette di sviluppare competenze nel raggiungimento degli obiettivi e nella relazione con quello che lo circonda. “Una ‘prova generale’ della vita”, continua Parsi, che consiste nel toccare i primi giocattoli, come bambole e macchinine – “gli oggetti transizionali” –, disegnare, muoversi e correre in un prato, suonare strumenti musicali, indossare costumi e mimare scenette.
L’esperta illustra come il gioco sia anche la modalità di incontro e apertura alla conoscenza reciproca nei bambini. “Quando giocano con gli altri emergono i loro modi di stare nei rapporti, imparano a collaborare e come a manifestare le proprie opposizioni”. Inoltre, in base alle loro scelto durante il gioco “possiamo vedere le loro tendenze di carattere e di personalità”.
Secondo le regole
Ogni gioco ha le sue regole e a queste bisogna attenersi per
rispetto altrui che per il corretto svolgimento. “Dopo una prima fase di gioco
libero, in cui si sperimenta, man mano che si cresce si devono accettare delle
regole” – continua la psicologa – “C’è chi lo fa, chi no, chi le trasgredisce
per imporne di proprie, chi accoglie i suggerimenti e chi oltre a seguirle
cerca di farle rispettare agli altri”. Sottolinea Parsi: “Bollea definiva
questo momento come l’arrivo della ‘legge del padre’”.
Tecnologia e ozio creativo
Il gioco è immaginazione e creatività che impegnano anche
materialmente i cinque sensi, la tecnologia apre però le porte digitali del
mondo virtuale, che è intangibile. L’esperta non criminalizza devices e
piattaforme ma sottolinea l’importanza dell’educazione per evitare che questi
strumenti causino dipendenza. “L’utilizzo del cellulare limita l’immaginazione,
sono contraria che venga messo in mano ai bambini prima degli 8-9 anni, e anche
in quel caso con modalità molto controllate”, dichiara. “I ragazzini di oggi
sono nativi digitali e un uso virtuoso di questi prodotti può dare buoni
risultati, ma nel virtuale corpo, mente e immaginario non sono integrati e
anche il gioco e il rapporto con gli altri partecipanti è solitario, senza
incontro”. Non bisogna neppure esporre i minori a continue attività e ripetute
sollecitazioni, per la crescita è importante anche il cosiddetto ozio creativo.
“Il tempo in cui non si fa niente se non stare a contatto con sé stessi e le
proprie idee, per trasformarne qualcuna in realtà”, evidenzia l’esperta.
Insieme nel gioco
Nessun manuale insegna come diventare ed essere dei buoni genitori, ma l’esperienza diretta può essere accompagnata, se non preceduta, da un approccio consapevole. “Il dono più grande che gli adulti possono fare ai propri figli nel loro percorso di crescita è quello di avere loro per primi dei punti di riferimento, informare e formarsi su questi temi”, sostiene Parsi, “e conoscere sé stessi, non avere la presunzione di imitare o rovesciare quello che hanno fatto a loro i volta i loro genitori”. Così quando si gioca insieme l’adulto non deve dimenticare qual è il suo ruolo nel rapporto genitore-figlio. “Non bisogna fare le stesse cose del bambino, imitarlo, ma mettersi dentro al gioco insieme”.
Il bambino interiore
Nonostante il diritto al gioco sia riconosciuto all’articolo
31 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, ci sono tanti contesti dov’è violato e negato. Come la
guerra. “Un ulteriore delitto commesso dagli adulti, perché colpisce la loro
vita, la loro psiche, e li menoma di una serie di esperienze che li
renderebbero capaci di essere più flessibili e rispettosi dei bisogni altrui,
capaci di tracciare i confini delle proprie esigenze”, dichiara l’esperta.
“Quel bambino diventa un adulto il cui bambino interiore rimane ‘murato dentro’
perché non ho potuto vivere la propria età”. Una valutazione che riprende un
pensiero della professoressa Parsi raccolto dalla casa editrice Lucarini
nell’agenda della Fondazione Movimento Bambino, che recita così: “L’infanzia è
attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli. Se l’infanzia di un
bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, nessun drago, fantasma o
mostro, all’improvviso sconfitto, nessuna luce, il bambino diventa adulto. Ma
dentro di lui, quel bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa. Aspetta
che l’infanzia sia magica, bella e santa. Bisogna illuminare l’infanzia per
farlo crescere”.
pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it
foto: disabilynews.com
martedì 3 giugno 2025
Favola secondo episodio. Saper chiedere aiuto, anche questo è diventare saggi!
I giovani dovevano solo liberare il villaggio Felix dal virus DIVOC 91 che uccideva i bambini.
Ma il compito era apparso arduo: chi era partito corazzato e con la spada, chi con la lancia, qualcuno con una terribile balestra… ma tutti erano tornati malconci, perchè il mostriciattolo era invisibile… e affamato di cuori buoni.
Enea si ritirò nelle stanze della torre a est e nel silenzio, pensando e ripensando, con calma, cercò la soluzione: CHIEDERE AIUTO ALLA PERSONA GIUSTA.
Arrivato finalmente al castello di Fortebraccio dopo un viaggio faticoso, annunciò: “Sono Enea, giungo a chiedere aiuto al vostro sapiente”.
Enea lottò con un orso e una gigantesca anaconda. Entrò nella grotta delle pietre accecanti e delle stalagmiti velenose, sconfisse le terrificanti volpi volanti, ma alla fine trovò tutto ciò che serviva. E la pozione fu preparata.
Quindi tornò nel suo regno e arrivò a Felix, dove subito andò dalle bambine e dai bambini, che presero la pozione-medicina e ascoltarono le sue avventure a bocca aperta.
“Quale è stata l’avventura più difficile?” gli chiese una bambina affascinata.
gatti54@yahoo.it
lunedì 2 giugno 2025
No, a 13 o 14 anni non si è pronti per “fidanzarsi”
Pubblico il chiaro contributo di Daniele Novara. (Avvenire, 30 maggio 2025)
Con la tragica morte di Martina Carbonaro, abbiamo probabilmente toccato uno dei punti più bassi nella spettacolarizzazione del dolore, della crudeltà e dell’inconsapevolezza esistenziale. Un livello che lascia davvero senza fiato.
C’è da chiedersi: che bisogno c’è? Possiamo ancora parlare di informazione o siamo ormai nel regno dello spettacolo, dove per qualche clic in più si è disposti a provocare danni profondi e duraturi, superando quella “linea rossa” che separa il dovere di cronaca dal voyeurismo. Una soglia oltre la quale la tragedia viene teatralizzata, in un racconto che parla non all’intelligenza delle persone, ma ai loro strati più arcaici e primitivi.
Non pretendo che la cultura mediatica abbia una funzione educativa o pedagogica, ma da sempre il giornalismo ha seguito dei canoni etici. Ricordo, ad esempio, il caso dei lanciatori di pietre dai cavalcavia, atti che causarono persino delle vittime. In quel contesto, i media compresero il rischio di emulazione e interruppero la spettacolarizzazione degli eventi. Il fenomeno si spense.
Oggi, invece, sembra che il clamore sia diventato l’unica
bussola. Un vortice di interviste, ricostruzioni, insistenze su familiari delle
vittime e degli autori di reato. Un tourbillon interminabile che finisce per impedire,
salvo rare eccezioni, una vera riflessione, perché le ragioni si perdono nel
mondo del disadattamento e dell’immaturità.
Da pedagogista, mi interrogo anche su un’altra questione: ha
senso parlare di fidanzamenti a 13 o 14 anni? Che significato può avere una
relazione esclusiva, totalizzante, in un’età in cui il cervello non è ancora
strutturato per gestire la complessità relazionale? Non si tratta forse, sotto
mentite spoglie, di un ritorno a un passato in cui le ragazze venivano
“consegnate” a un fidanzato con prospettive di matrimonio precoce?
Questi legami precoci, carichi di gelosia e dipendenza, non
sono sostenibili per adolescenti che non possiedono ancora la maturità
necessaria per gestire l’intensità emotiva di una relazione. Le famiglie dovrebbero
evitare di sostenere o legittimare queste “coppie” che mimano i modelli adulti
senza averne i prerequisiti cognitivi ed emotivi. È un tema di sviluppo
neurocelebrale, non di morale.
Come ribadisco anche nel mio libro "Mollami", ciò che è
prioritario in questa fase della vita è la socialità. Stare nel gruppo, vivere
la compagnia, fare esperienze allargate: lo sport, il gioco, la solidarietà, lo
studio, la scoperta.
L’adolescenza è il tempo dell’apertura, non della chiusura
nella dimensione esclusiva e prematura di una “vita di coppia” che non può che
risultare disfunzionale. Serve una cultura che sostenga l’adolescenza e ne
valorizzi le opportunità.
sabato 31 maggio 2025
Favola primo episodio: Come Enea riuscì a diventare cavaliere
domenica 25 maggio 2025
GAZA: LA VERGOGNA DEL SILENZIO DELLE NAZIONI
Gaza e l’aritmetica
dell’indifferenza
di VITTORIO PELLIGRA,
Avvenire 25 maggio 2025
Nel cuore della Striscia di Gaza, una tragedia umanitaria si
consuma con la lentezza crudele della fame. Da troppo tempo in quel luogo
diventato l’inferno in terra i bambini muoiono a occhi aperti, le madri
stringono corpi ormai senza vita, e i padri scavano tombe a mani nude.
Eppure, il mondo guarda altrove. L’orrore è reale, ma la
risposta internazionale è un sussurro, un vago fastidio nella routine
dell’attività diplomatica. Com’è possibile? La risposta non sta solo nelle
ragioni della geopolitica o nella diplomazia, ma anche nella nostra psicologia,
nel modo in cui il nostro cervello reagisce a simili tragedie e produce una
verità sconcertante: più aumenta il numero delle vittime, meno ci curiamo di
loro.
Lo psicologo americano Paul Slovic chiama questo fenomeno “
pshychic numbing”, una vera e propria anestesia psichica che desensibilizza il
nostro senso morale. Il termine descrive quel meccanismo per cui la nostra
empatia si spegne davanti alla massa del dolore.
« Uno è una tragedia, un milione è una statistica», diceva
Stalin – e la psicologia sperimentale dà conferma della sua intuizione.
A Gaza, ogni fotografia di un bambino denutrito dovrebbe
spezzare il cuore dell’umanità. Eppure, le immagini si accavallano, si
moltiplicano, diventano “troppo”. Siamo entrati a pieno titolo in quella che
Robert Lifton e Greg Mitchell definiscono l’età della desensibilizzazione: una
nuova era dove la sofferenza delle moltitudini è diventata rumore di fondo e
l’anestesia collettiva ci fornisce un rifugio e un alibi.
Alla desensibilizzazione psichica si aggiunge un secondo
fenomeno che ne amplifica l’effetto. Si tratta della cosiddetta
“pseudoinefficacia”. Vedere un solo bambino affamato ci commuove; vederne mille
ci fa sentire impotenti. È la tragica “aritmetica della compassione”, come
scrive Daniel Västfjäll: più cresce la tragedia, più ci sentiamo piccoli e
inutili, e invece di reagire con coraggio e impegno, scegliamo di girarci
dall’altra parte per scappare dal senso di impotenza.
Ma la nostra psicologia non può essere una giustificazione o
ancor peggio una scusa. Perché c’è anche la scelta politica. Sempre Slovic
parla al riguardo di un “effetto prominenza” che si verifica quando le scelte
degli Stati sullo scacchiere internazionale sono dominate da ciò che è più
“visibile” e conveniente per i leader che quegli Stati li governano e che, per
questo, sono pronti e ben disposti a lasciare da parte ciò che sarebbe
moralmente più urgente. Ecco, Gaza e la sua tragedia non è prominente. Non
genera voti, né profitti, a meno di raderla totalmente al suolo, di deportare i
suoi due milioni di abitanti e di costruirci resort di lusso, sia ben inteso. È
grazie all’“effetto prominenza” che l’indifferenza diventa una strategia
calcolata prontamente mascherata da prudenza diplomatica.
Il risultato? Un assedio che affama deliberatamente un
popolo, trasfor-mando il pane in arma. Secondo il diritto internazionale, la
fame come strumento bellico è un crimine. Ma dove sono le sanzioni? Dove sono
le risoluzioni Onu capaci di agire, non solo di “condannare”? L’Occidente ha
fatto del “mai più” un mantra, ma ora tace, pavido, mentre si consuma una delle
più gravi crisi morali del nostro tempo. Gaza non ha bisogno di lacrime. Ha
bisogno di voce. Di indignazione. Di una rottura netta con l’indifferenza.
Perché ogni bambino lasciato morire di fame per calcolo politico rappresenta il
fallimento più atroce di ogni valore su cui la nostra civiltà si fonda. E
nessuna scusa psicologica potrà mai giustificare il silenzio di chi avrebbe
potuto parlare e ha scelto di non farlo.
pubblicato da Annamaria Gatti
mercoledì 21 maggio 2025
Dopo la guerra dei Balcani, la speranza oggi compie 30 anni
Il giardino e l'ingresso della scuola dell'infanzia "Raggio di Sole" di Križevci, in Croazia
(foto dal sito della scuola)
Trent’anni di Raggio di Sole
fonte: Città Nuova, 20 Maggio 2025 di Chiara Andreola
Il 23 maggio festeggia i suoi trent'anni la scuola dell'infanzia "Raggio di Sole", che a Križevci ha dato un contributo determinante nell'educazione alla pace delle nuove generazioni dopo la guerra dei Balcani
Da un piccolo gruppo di bambini accolti in una sacrestia
dopo la guerra dei Balcani, a scuola dell’infanzia consolidata frequentata da
110 bambini: è il percorso compiuto dalla scuola dell’infanzia “Raggio di Sole”
di Križevci, in Croazia, che il prossimo 23 maggio celebra i suoi trent’anni di
attività. La scuola è infatti nata nel 1995 nell’ambito della Mariapoli Faro,
stabilita tre anni prima nei pressi di Zagabria su un terreno concesso in
comodato d’uso al Movimento dei Focolari dal locale vescovo greco-cattolico,
mons. Slavomir.
Negli anni del conflitto – che, ricordiamo, coinvolse in
varie fasi le repubbliche ex jugoslave tra il 1991 e il 1995 – la cittadella
funzionò da “avamposto” per gli aiuti umanitari e per l’accoglienza dei
profughi, via via che la zona di combattimento di spostava verso la Serbia e la
Bosnia; e a guerra finita ci si chiese che cosa fare per educare alla pace. Si
decise di guardare al futuro puntando sui bambini: bambini che spesso avevano
perso amici o familiari, i cui padri erano rientrati dal fronte feriti,
invalidi o con gravi stress post traumatici, ma che potevano ancora guardare un
compagno di etnia diversa non come un nemico. Si scelse così di costruire una
scuola dell’infanzia aperta a tutti i bambini di Križevci, locali e profughi,
così che potessero crescere insieme e superare le divisioni grazie ad una
“pedagogia di comunione”, di comunità, di amore reciproco.
«Avevo vissuto gli anni della guerra tra Trieste e Lubiana –
racconta Anna Lisa Gasparini, pedagogista, insegnante e cofondatrice della
scuola – e quando è nata l’idea dell’asilo è stato chiesto a me di scrivere un piano
educativo, da presentare al ministero per ottenere l’approvazione e il
riconoscimento di agenzia educativa. La mia prima reazione è stata:
figuriamoci, non parlo nemmeno il croato! Però alla fine, insieme naturalmente
a tutte le altre persone coinvolte nel progetto, ho accettato la sfida».
La scelta del modello pedagogico da seguire è caduta sul metodo Agazzi: «Questo metodo, che dà molta importanza all’ecologia integrale e al rapporto con la natura senza necessità di grandi investimenti, si è rivelato perfetto per un posto immerso nel verde come è Križevci – ricorda Anna Lisa -. Tanto più che, non avendo certo soldi da spendere in materiali educativi, dovevamo giocoforza guardare ai punti di forza che il luogo già offriva».
Il progetto incontrò il favore del ministero, anche grazie al fatto che alcune insegnanti già si erano recate a Brescia – e lo hanno fatto a cadenza regolare anche negli anni successivi – per studiare il metodo Agazzi là dove è nato; e i primi bambini della città, una cinquantina, vennero così accolti nella sacrestia della chiesa greco-cattolica.
Non c’era infatti ancora lo stabile della scuola: il comune si era reso disponibile a pagare gli stipendi degli insegnanti, ma rimaneva da costruire l’edificio. Grazie a tante donazioni sia di denaro che di materiali – soprattutto da Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna – e all’intervento di una ditta svedese, la nuova scuola venne inaugurata di lì a pochi mesi, nell’ottobre del 1995. Tra i tratti distintivi della scuola c’era e c’è ancora l’ampio giardino, con tanto di orto dove i bambini possono sperimentare la coltivazione delle piante.
«È stato bello vedere come c’è stato un sostegno trasversale al progetto – ricorda ancora Anna Maria –, non solo in ambito cattolico: anche sindacati, associazioni senza matrice religiosa, e persone dichiaratamente non credenti ci hanno fatto avere il loro aiuto. Non solo nella costruzione della scuola, ma anche in seguito: ad esempio grazie a Fabio Baresi, papà di due bambini della scuola Agazzi di Brescia e fondatore dell’associazione “Bimbo chiama bimbo”, è stato possibile per diversi anni organizzare dei centri estivi a Brescia per i bambini di Križevci, dando priorità a quelli più bisognosi o con difficoltà scolastiche. Poi è stato proposto anche un centro estivo a Križevci, e le varie iniziative si son susseguite fino al Covid. E lo scorso anno è partito un progetto analogo in Slavonia».
Nel frattempo il “Raggio di Sole” è cresciuto: sono 110 i bambini attualmente accolti, 1068 quelli passati di lì in trent’anni, nei primi anni 2000 è stata costruita la palestra, e nel 2015 è partita anche una sezione di nido. Ma la scuola è cresciuta anche dal punto di vista pedagogico: si è infatti consolidata sotto il profilo accademico la “pedagogia di comunione”, ispirata all’ideale dell’unità proposto da Chiara Lubich, che ha visitato il “Raggio di Sole” nel 1999 appena prima di ricevere il dottorato in pedagogia honoris causa a Washington. Si è così instaurata anche una collaborazione con l’Università di Zagabria per un master di due anni in pedagogia di comunione, portato a termine ad oggi da 40 corsiste; ed è stata fondata l’Associazione Pedagogia di Comunione, che terrà il suo prossimo congresso a Velika Gorica (Zagabria) il 3 ottobre con un simposio dal titolo “Leggere il presente con gli occhi del futuro – Pedagogia di Comunione”.
Intanto a Križevci ci si prepara a festeggiare, venerdì 23,
con un evento aperto alla città al locale auditorium e un momento conviviale
alla cittadella Faro. I bambini della scuola sono oggi i figli dei primi che
l’hanno frequentata, e anche gli insegnanti sono ormai alla seconda
generazione: «È recentemente entrata in ruolo proprio una delle bambine che ha
frequentato il “Raggio di Sole” nei primi anni», riferisce Anna Lisa. Un
testimone che passa nel tempo, dai bambini di ieri a quelli di oggi.
pubblicato da Annamaria Gatti
martedì 20 maggio 2025
Quando muore la maestra
Ci sono maestre e maestri.
Quelli che ti capiscono al volo, quelli che vorrebbero capirti al volo.
Quelli che non amano la professione e quelli che si sentono nati solo per essere insegnanti.
Quelli consapevolmente felici e quelli senza un sorriso.
Quelli capaci di un vero abbraccio e quelli che non ci riescono proprio, poveretti.
Quelli che sanno sporcarsi per condividere le tue scoperte e quelli che non ci riescono proprio.
Poi ci sono quelli che ti portano in uscita a scoprire il mondo.
Magari in pullman.
E se c'è un incidente, come quello accaduto ieri, ti difendono e qualcuno ci rimette la vita.
Alla maestra Domenica Russo, il suo sorriso resterà sempre.
Un pensiero per le bambine, i bambini e le loro famiglie, che ora devono affrontare un tempo difficile.
pubblicato da Annamaria Gatti
foto da A.G.M.
lunedì 19 maggio 2025
Festival Nazionale Innovazione Didattica: quando la scuola funziona davvero!
Mi piace condividere nel blog anche questa entusiasmante realtà per confermarci che SI', la scuola funziona, e le buone pratiche ... vanno caparbiamente diffuse : in tempi bui come questi sono fari a cui guardare e in cui rispecchiarsi per riprendere sempre la strada e la speranza.
Il sito recita: "Il Festival dell’Innovazione Scolastica è una manifestazione
a livello nazionale che ha come obiettivo la condivisione tra diverse realtà
scolastiche di esperienze didattiche innovative in un’ottica di valorizzazione
e diffusione.
Il Festival 2025 si svolgerà a Valdobbiadene (TV) il 5 – 6 –
7 settembre 2025 è riservato ai dirigenti e ai docenti delle Scuole operanti
sul territorio nazionale, di ogni ordine e grado, Istituti statali, Scuole
paritarie e Scuole di Formazione Professionale accreditate
Le scuole selezionate, tra tutte quelle che invieranno la loro candidatura, presenteranno le proprie esperienze di innovazione didattica..."
E nel sito è possibile trovare tutte le informazioni necessarie e scoprire la eccezionalità di questo festival che si avvale di partnership di tutto rispetto.
https://festivalinnovazionescolastica.it/
I criteri che definiscono questo evento sono sintetizzati nell'intervento del prof. Raffaelli, dal sito.
CONTRIBUTO SUL TEMA DELL’INNOVAZIONE SCOLASTICA OGGI IN ITALIA
Mentre in tutta Italia si stanno svolgendo gli esami di fine anno scolastico la notizia più interessante è che nella scuola c’è vita. A dispetto di tutte le magagne del nostro sistema scolastico, magagne che pur esistono e a volte sono davvero clamorose (nonché amplificate a dismisura dai media), nelle cinquantamila (circa) scuole di ogni ordine e grado disseminate sul territorio del nostro Paese germogliano e crescono delle esperienze didattico/educative che non possono non suscitare un soprassalto di stupore per come sono cariche di passione, di tenacia e di originalità.
E’ quanto emerge con evidenza dallo scorrere l’elenco delle esperienze didattiche che scuole di ogni ordine e grado hanno candidato alla quarta edizione del Festival Nazionale dell’Innovazione Scolastica che si svolgerà (ndr è svolta) a Valdobbiadene dal 6 all’8 settembre 2024.
C’è qualcosa di commovente, per esempio, nel racconto di ciò che è accaduto e accade nell’Istituto Comprensivo di Palermo intitolato a Rita Borsellino: “Tutto è nato dalla difesa di un campetto di calcio nella grande piazza della Magione, a Palermo, dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino giocavano da ragazzini. È intorno a quel rettangolo di gioco (che il Comune voleva trasformare in un’area sgambamento cani), dove nel 2013 si svolse per protesta una mitica partita infinita, durata 24 ore, che la scuola e le famiglie si sono unite per bloccare il progetto ed elaborare una controproposta. Da allora, ogni problema che riguarda la scuola e il territorio viene affrontato insieme per trovare soluzioni e alleanze educative tra personale scolastico, genitori, associazioni, enti pubblici e privati e, col passare degli anni, gli eventi pubblici organizzati sono stati sempre più partecipati e consapevoli.”
“E pensi,” racconta orgogliosa al telefono Lucia Sorce, la dirigente scolastica, “siamo riusciti a far trasformare una strada pericolosa adiacente alla scuola in un’area pedonale, ora attrezzata con giochi e altro, tutto questo nel centro storico di Palermo …” Dove si sa, come recita la battuta di Benigni, il problema principale è il traffico.
Per poi passare a Bolzano, all’altro capo della Penisola, dove la Scuola Primaria ‘A. Manzoni’ ha realizzato il progetto “Pinocchio Remix” in cui è stato realizzato “un gemellaggio internazionale fra scuole di diverso ordine e grado (infanzia, primaria e secondarie di I° e II° grado) di vari Paesi d’Europa: Austria, Germania, Polonia, Estonia, Bulgaria e Grecia in cui è stata ‘remixata’ la storia di Pinocchio e, anche grazie alla collaborazione con famiglie, biblioteche e università, è stato prodotto un musical plurilingue e un videogioco “SuperPinoBros”.
E così nell’Istituto Statale Superiore ‘Via Roma 298’ di Guidonia, in Lazio, dove è stata allestita una mostra (sia fisica che digitale) che ha impegnato trasversalmente varie discipline quali la matematica, la musica, l’astronomia e la storia coinvolgendo realtà aziendali del territorio e perfino il 60° Stormo dell’Aeronautica Militare.
Queste e molte altre esperienze didattiche che si potranno conoscere e approfondire dalla viva voce dei protagonisti al Festival di settembre, non sono progetti di una ‘riforma della scuola’ sempre al di là da venire, ma sperimentazioni già messe in atto che, a guardar bene, presentano degli elementi comuni.
Primo: in un ambito difficile come quello scolastico, all’interno di un contesto sociale e culturale come quello odierno, così dissestato e spesso drammatico, vi sono degli individui, delle persone, insegnanti e dirigenti scolastici, che non si rassegnano al grigiore che avanza fino a giungere al buio e nemmeno al dilagare delle lamentazioni (‘i giovani non sono più quelli di una volta’, ‘l’uso dei cellulari ha rovinato la generazione dei ragazzi’, ecc.), ma che si mettono in gioco e diventano delle vere e proprie sorgenti di energia di rinnovamento. E viene in mente il passo di Peguy sulla gemma, apparentemente impotente, che rinasce dal vecchio tronco, oppure il coro dell’Antigone di Sofocle che inneggia alla rinascita della persona: «Di molte specie è l’inquietante, ma nulla è più inquietante dell’uomo s’aderge».
Secondo: l’innovazione non è nell’esito, ma nell’inizio. E l’inizio dell’innovazione scolastica è proprio nella collegialità, nel mettersi insieme di più insegnanti per cercare nuove modalità educative che possano essere di aiuto alla crescita dei loro alunni, bambini/ragazzi che siano. Perché ogni sperimentazione, per sua natura, può avere esiti di grado diverso, ma nella collegialità che nasce attorno alla decisione di iniziare qualcosa di nuovo, nell’atto di mettersi insieme, in movimento, vi è qualcosa che ha il profumo della vittoria.
Terzo e ultimo: non c’è dinamica scolastica/educativa senza una co-progettazione con i soggetti sociali presenti sul territorio, siano essi Istituzioni pubbliche, Associazioni, imprese, ed altro. Perché la scuola ha bisogno di un villaggio e la vera innovazione nasce in un contesto in cui si ha la curiosità e l’umiltà di guardare e dialogare con chi sta oltre il recinto del proprio cortile, perché forse vicino ad ogni scuola c’è un prato incolto che il Comune ha destinato ad altri scopi e su cui invece si possono giocare tante partite infinite.
Alberto Raffaelli (Presidente Associazione Festival
Nazionale dell’Innovazione Scolastica)
venerdì 2 maggio 2025
LE CASE DI ZOE un albo bellissimo per tutte le mamme
Quasi una recensione di Annamaria Gatti
Occorre un angolo di un pomeriggio silenzioso e luminoso per tuffarsi in un sogno e saperci stare con la leggerezza richiesta ai sognatori. Quelli che, a parere d’altri, non sanno dare forse le giuste risposte a tutte le domande dell’esistenza, ma che sanno fare la differenza, quando qualcuno mette tra le loro mani un dono. Per esempio un libro, scritto da Lorenza Farina, illustrato da Lucia Ricciardi.Un libro è espressione di molte cose, spesso troppe, e una
recensione non riesce mai a dare l’idea giusta di quel che rappresenta un piccolo capolavoro (ma poi esistono i piccoli
capolavori?). Quando ho avuto fra le
mani “Le case di Zoe” è accaduto che il respiro si è preso un attimo di vacanza
per fasciarsi di sorpresa e dare ragione allo stupore gioioso. Avevo già assaporato
alcune di quelle pagine, ma la carta che accarezza lo sguardo è tutta un’altra
cosa.
Ho pensato: farà strada questo albo. Ma poi ho avuto in un flash la percezione che altre opere di questa autrice e di questa illustratrice avevano già popolato scaffali illustri, e fatto la loro strada: la mia non era in fondo un’ intuizione così nuova e brillante. Ma si sa, ogni novità va accolta con la curiosità e la speranza che non dà nulla per scontato e spesso dimentica tutto.
Sulla copertina cartonata gli occhietti attenti di una bimba sbucano da cuscini variopinti, accompagnati
da efelidi discrete e compiaciute nel gioco di luce ed ombre: è Zoe.
I particolari che popolano le ampie pagine della narrazione
sono accurati e contestualizzati in amabili scenografie e gradualmente, sostenendo una narrazione
poetica e creativa, da casette reali e probabili, viaggiano nel mondo della
fantasia-bambina.
Allora Zoe, bambina bellissima, dolce e fortunata vive le sue avventure in casette tematiche, complici le
emozioni, il gatto Orfeo della casa corsara o il cane Teodoro nella casa dei giorni di pioggia, per poi tuffarsi
in un’affascinante casa marina, o
gialla, per fare festa alla stagione più bella, popolata da farfalle colorate o
di musica soave.
Tutti i sensi sono coinvolti: il profumo delle ciliegie, lo sciacquio delle onde, l’armonia del violino, la brezza che accompagna ….
Non disdegna la piccina la casa delle ombre della paura o la casa di vetro dei giorni tristi, perché anche
di queste esperienze c’è bisogno per crescere ed essere consapevoli che, per
ritrovare l’ascolto del battito del cuore, c’è una casetta tutta
speciale, tutta da scoprire.
Allora ecco: solamente sognatrici e sognatori potranno scoprire dove Zoe troverà questo profumo e l’attenzione essenziale per sapersi raccontare. Per riuscirci occorrerà ripensarsi bambine e bambini, sentire quella musica, provare quell'emozione, lo struggimento o il batticuore... sì, proprio fra le braccia della mamma!
La potenza del racconto palpita nelle sfumature e nelle
forme a piene pagine.
Un dono questo albo, per cui ringraziare chi lo ha pensato e
prodotto.
Un momento alto per godere della vita, a saperla vedere. Un dono per tutte le mamme, che poi sono loro con il loro abbraccio che daranno casa all'amore atteso e desiderato dei loro bambini e delle loro bambine.
Pubblicato da Annamaria Gatti
martedì 29 aprile 2025
Gioco della Pace : breve presentazione video
https://www.facebook.com/share/v/1K2zvQ9gDa/
In questo video il Gioco della Pace del precedente post, con una chiusura memorabile sul desiderio di pace di Maria Montessori.
GIOCO DELLA PACE CON GB E DOPPIAW una bella scoperta!
Quanto abbiamo bisogno di vivere la pace ed educare alla pace! e questo gioco, ideato e realizzato da Federico Scognamiglio, con la felice matita di Walter Kostner, con i suoi GB e DoppiaW, lo fa, intanto, in due lingue, italiano e inglese.
Il gioco sarà diffuso in tutto il mondo grazie a Calos palma, coordinatore generale di Living Peace International (AMU)
Dalla bella scatolona balzano fuori una tavola con un percorso a spirale con 43 caselle, tre grandi e robusti dadi, come le pedine (grandi quanto basta e indistruttibili), il tutto illustrato da un amico come Walter Kostner, che ha affidato ai suoi amati personaggi GB e DoppiaW il compito di accompagnare le scoperte importanti che via via si snodano lungo il percorso che porta alla vittoria. ... A patto che si condivida, che si operino scelte di unità e di com-passione, in una serie di attività che vanno svolte riscoprendo la bellezza dell' armonia.
Stimolante e a prova di età, l'ho testato e ho poi chiesto a tre diverse età, appunto, di commentarlo.
Sofia di 7 anni, un tipo attento e con grande spirito di osservazione, ha appreso e assicurato la creativa realizzazione del gioco, fornendo alla divertita bisnonna di quasi 100 anni le giuste e appropriate indicazioni per esercitare il ruolo di giocatrice nel gruppo.
Enea, 12 anni, che pensavo non si sentisse molto coinvolto, ci aiuta invece a capire quanto certi aspetti emozionali siano determinanti per il clima del gioco. Inoltre nella fase metacognitiva finale proposta nel gioco, osserva quanto due gesti richiesti, in particolare, l'abbiano fatto sentire capace di relazione...
Insomma, un bilancio davvero positivo, a mia sorpresa, visto che invece mi aspettavo qualche osservazione costruttiva, per provare l'arduo compito di giocare alla pace attraverso semplici gesti, atteggiamenti positivi da acquisire con la consapevolezza e l'esercizio quotidiani.
E il mio gioco, dopo il test, se lo sono voluti portare via per proporlo ai loro amici e in famiglia.
Già diffuso da marzo 2025, lo potete ordinare al seguente indirizzo, rivolgendovi a Federico Scognamiglio: info@grades.it, scoprendo le modalità e le opportunità di invio in quantità adeguate.