Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

lunedì 16 giugno 2025

L'astronave perfetta, storia di amicizia e cooperazione

 

di Nicoletta Asnicar
illustratrice Chiara Spinelli
I nuovi colori del mondo
Città Nuova Editrice

Recensione di Annamaria Gatti

Libro opportunamente creato con i consueti criteri grafici e accorgimenti che agevolano la lettura, è rivolto ai piccoli lettori, ma racchiude messaggi nascosti, leggibili anche dagli adulti che sanno farsi coinvolgere.

Teo è un bambino decisamente fantasioso, ricco di idee che lo portano a una relazione interessante e lineare con i propri adulti di riferimento. 
Nulla è scontato nella sua vita semplice, tutto è motivo di curiosità, crescita e relazioni. I suoi genitori sono anche troppo presenti nella gestione dei talenti che Teo coltiva con ironia. 

Sono mamma e papà che lo avviano e lo seguono nella realizzazione di una astronave che non gli appartiene come progetto, che è invece di un amico con il quale, in compagnia di una dotata compagna di banco, riuscirà a portare a termine. 

Tutto centrato sulla straodinaria unicità di ciascuno e sulla bellezza della cooperazione fra pari, regala agli adulti del racconto il ruolo di pazienti consulenti.  Il che non è sempre scontato.

Le illustrazioni sono funzionali al testo e ricalcano le figure-bambine che troviamo spesso riprodotte nei disegni infantili, per questo vicine alla loro sensibilità.

Buona lettura quindi a tutti i capitani di astronavi, a tutte le bambine sognatrici con Teo di avventure e di progetti!



sabato 14 giugno 2025

Favola terzo episodio. Il cavaliere Enea e la scoperta della regola d’oro.

 Ecco la continuazione dell'esperienza di Enea 

che diventerà cavaliere solo se avrà saputo fare le scelte giuste. 

Dedico questa favola a Willy barbaramente ucciso 

mentre voleva difendere  un amico e portare la pace.

Willy ora è un vero cavaliere. 

Omicidio Willy, ecco i risultati dell'autopsia “ucciso per i colpi violenti  su diverse parti del corpo” 


fonte:  Città Nuova Settembre   favola di Annamaria Gatti

illustrazione di Eleonora Moretti 

Il castello degli apprendisti cavalieri era una severa  dimora, poca luce e  rumori sinistri popolavano le stanze “Avete paura del buio? Avete paura delle novità?” chiedeva il Grande Maestro.

“No” rispondevano gli apprendisti “noi sappiamo cavarcela bene. Andiamo finalmente a cacciare draghi?”

“Nulla del genere,  la prossima prova sarà liberare dalla torre il gran borbottone.”

I giovani si guardarono e scoppiarono in una sonora risata. Il  Maestro  li lasciò ridere, poi aggiunse: “Vedrete, non è un tipo piacevole, buona fortuna!”

 Un ululato acutissimo proveniente dalle scale della torre li fece rabbrividire.  Dopo un veloce “pari o dispari” stabilirono l’ordine dei tentativi. “Parto!” disse il primo un po’ titubante “sarò velocissimo”. Infatti velocissimo… ritornò contrariato: “Beh pensateci voi, è così brontolone che non lo sopporto. E poi ho il cuore in gola: c’erano ombre strane lungo la scala!”

Si sentirono ruggiti raccapriccianti e tutti si guardarono preoccupati. Comunque, anche il secondo tornò solo: “E’ insopportabile! E’ un maleducato, non gli va bene niente!”

Il terzo si fece coraggio, salì guardingo ed entrò. Gli  promise mari e monti, poi lo prese in giro pesantemente e iniziò anche a minacciarlo se non fosse partito con lui. Il borbottone si accucciò in un angolo e, spaventato, non si mosse più. Anche il giovane tornò giù tremante di paura e di rabbia.

Era il turno di Enea. Strana prova: sembrava un giochetto e invece…

Entrò nella cella della torre. Borbottone,  un omino ossuto,  vestito elegantemente, ma sgradevole a vedersi, stava lamentandosi:  “Nessuno mi  capisce, mi chiudono qui perché brontolo sempre,  questa torre è una prigione! Voglio tornare a casa, giocherò con i nipotini anche se mi tireranno la barba, prometto, non brontolerò più…”

Enea era sempre là seduto ad ascoltare.

L’omino lo guardò. Enea lo guardò.

L’omino  gli sorrise. Enea gli sorrise.

“Sei venuto a liberarmi?” gli chiese.

“Beh, se vuoi sì. Se io fossi nei tuoi panni, mi farebbe piacere che qualcuno mi ascoltasse e mi capisse.”

“Amico,  hai fatto con me quello che vorresti fosse fatto a te, quindi hai superato la prova. Ora vengo.”

La scala era ripida, ma il Borbottone la scese in fretta fino a sbattere contro il barbone del Gran Maestro.

“Ullallah! Ecco trovato il cavaliere che ha scoperto la regola d’oro.” Esclamò il Maestro, osservando curioso il borbottone.

“Me ne vado Maestro, hai trovato il tuo apprendista in gamba. Io torno a casa e… venite a trovarmi ragazzi ma non bevete tutto il mio sidro e non mangiatemi tutto il cinghiale e poi non lasciate le armi sparse nel cortile e poi… e poi…”

“Sì, sì signore… abbiamo capito!” urlarono in coro tutti. Che razza di brontolone, questo borbottone!

 E anche gli altri giovanotti impararono che è meglio fare agli altri quel che vorresti fosse fatto a te.                                      

pubblicato da Annamaria Gatti

illustrazione  A Willy di Kitoshi Kimmo,  da Frosinone Today.

 

 

 

 

 

 

Fine scuola 2, pagelle, voti e dintorni, per esempio Nicola Govoni.

 



Il fenomeno Nicola Govoni, classe 1993, è tutto da studiare e da accogliere con cuore libero. 

Ci farebbe e ci fa  benissimo.

Bocciato e umiliato, ha cercato la sua strada e l'ha trovata alla grande. Per chi non lo conoscesse:  

"...dopo un'adolescenza difficile e una bocciatura nel 2013 parte per un'esperienza di volontariato nel'orfanotrofio Dayavu Boy’s Home nel Tamil Nadu dopo aver conseguito il diploma di maturità classica ...  Decide poi di fermarsi in India per continuare l'attività di volontariato e proseguire gli studi iscrivendosi a un corso di laurea in giornalismo alla Symbiosis International University di Pune. Nel 2017 autopubblica l'e-book "Bianco come Dio" in cui racconta la sua esperienza di volontariato. Il libro diventa un piccolo caso editoriale, vendendo circa diecimila copie e attirando l'interesse della casa editrice Rizzoli che ne acquista i diritti per la pubblicazione. Il ricavato delle vendite viene utilizzato per la realizzazione di una biblioteca nell'orfanotrofio..." (Wikipedia recita)

Così inizia una vita tutta in salita, nel senso lettrale del termine e costellata di grandi passi che lo portano a lavorare in Palestina e  nel più grande campo profughi d'Europa e a fondare con Giulia Cicoli e sarah Ruzek l'associazione  STILL I RISE, ad aprire scuole per ragazzi e ragazze profughi. Costruisce una nuova scuola in Turchia presso il confine con la Sira con il ricavato della vendita del suo secondo libro di successo "Se fosse tuo figlio"  

Nel 2020 vince la prima edizione del premio Premio CIDU per i Diritti Umani assegnato dal Ministero degli Esteri.  A Nairobi in Kenia  segue la realizzazione della prima International School, nata con l'obiettivo di fornire istruzione di alto livello gratuitamente per i ragazzi più poveri permettendogli di ottenere il titolo di Baccellierato internazionale. 

Successivamente nel  libro fotografico "Attraverso i nostri occhi. Vivere da bambini in un campo profughi" racconta la sua esperienza a Samo.  A Bogotà  apre la  seconda scuola internazionale e nel 2023 pubblica il romanzo giallo "Altrove" per la casa editrice Still I Rise, appena fondata.  Rizzoli pubblica nel 2024 il saggio "Un mondo possibile".

Nicola Govoni, fuori/classe nella nostra scuola, riceve il Premio Internazionale per la Leadership e la Benevolenza Joaquín Navarro-Valls per le sue azioni a favore di persone bisognose. 

Meno male talvolta la scuola sbaglia, e alla grande. ma possiamo imparare sempre dagli errori e questa è la nostra forza.  Quante analoghe storie da raccontare!

Allora riconfermiamo che allearci con i nostri ragazzi è la strada vincente comunque!

pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it

foto AGI

 

venerdì 13 giugno 2025

Fine scuola, pagelle, voti e dintorni, per esempio Sinner...

 


Parliamo di fine scuola.

Amiamo la scuola e molto. Ho vissuto nella scuola, fatta di bambini, ragazzi, famiglie, dirigenti e collaboratori e vivo tutt'ora in forme diverse, anni bellissimi (e faticosi, certo!) a cui non rinuncerei per nessun tesoro al mondo.

Ogni anno mi fermo, alla fine del periodo scolastico, sui risultati, promozioni e bocciature,  stroncature di bambini e ragazzi e implicitamente delle famiglie e dei docenti. E faccio qualche riflessione ad hoc, sempre pensando a tutti loro con simpatia e condividendo fatiche e gioie.

Concludo sempre che comunque le bocciature non hanno (quasi) mai rovinato nessuno, non sono quelle che determineranno il futuro di ciascuno. Anzi! E che la ricerca della meraviglia e dei talenti presenti in ciascuno dei ragazzi e delle ragazze, avrebbe portato "in alto" tutti. E non è semplicismo o ingenuità. Ma non è lo scopo di questo post approfondire tutta la casistica e gli aspetti specifici di tale problematica. 

Cosa c'entra Sinner, il grande tennista? (...la grande persona)

In qualunque modo si sia concluso questo anno scolastico, con le sue incongruenze, con i successi e i doni umani e culturali portati o evasi, non ho potuto fare a meno di pensare a lui, sconfitto a Parigi. E di come abbia portato questa sconfitta con onore e maturità rara, in un tempo  come il nostro,  tanto da separare il risultato dalla qualità delle relazioni, per esempio, col vincitore della lunga, pesantissima tenzone con racchetta e pallina. 

Di cosa hanno bisogno quindi i nostri ragazzi e le nostre ragazze alle prese con un insuccesso scolastico? Comunque di alleati, per capire, riprendersi, ripescare talenti e forze, che ci sono senz'altro, se qualcuno li aiuta a vederli. 

E allora mettiamo in luce i tanti Sinner che incontriamo sulla nostra strada della vita, di chi sa riconoscere, si rialza, si riprende e non si scoraggia. Ma soprattutto sa rispettare e non sopraffare. 

E' un appello a genitori e insengnati. Coltiviamo alleanza, speranza e fiducia. Facciamo tutta la nostra parte, dove siamo e possiamo.  Raccoglieremo frutti, a dispetto di questi tempi di meschinità, superficialità e  venti di guerra e di atrocità. 

Pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it

foto da Avvenire



mercoledì 11 giugno 2025

Giornata mondiale del gioco. Maria Rita Parsi spiega.

 


Dal sito https://www.interris.it/ a cura di Lorenzo Cipolla pubblico una riflessione che sottolinea l'importanza del gioco per il bambino. E il pensiero va a tutti i bambini, a quelli defraudati, invisibili, e soprattutto a quelli che "giocano" fra macerie e violenze. 

"L’infanzia è attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli. 

Se l’infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, nessun drago, fantasma o mostro, all’improvviso sconfitto, nessuna luce, il bambino diventa adulto. 

Ma dentro di lui, quel bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa. 

Aspetta che l’infanzia sia magica, bella e santa. 

Bisogna illuminare l’infanzia per farlo crescere”.

“Un bambino che ha potuto giocare sarà un adulto sereno”. (M.R Parsi)

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi ama ripetere questa espressione del padre della neuropsichiatria infantile, Giovanni Bollea. 

Il gioco libero come la corsa in un prato o secondo le regole, è una sperimentazione funzionale allo sviluppo psicofisico dei bambini e delle bambine perché consente loro di alimentare l’immaginazione, di conoscere il mondo e trovare soluzioni, di entrare in contatto con la realtà e le altre persone, di scoprire dove finiscono i confini delle proprie esigenze e cominciano i bisogni altrui, di fare scelta da cui emergono il loro carattere e la loro personalità. 

“Si cresce giocando”, spiega a Interris.it l’esperta, presidente della Fondazione Movimento Bambino Onlus, in precedenza membro del Comitato Onu per i diritti del fanciullo e già componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Un processo delicato, ancora di più oggi che parliamo di nativi digitali e di intelligenza artificiale, in cui le figure adulte di riferimento continuano ad avere un ruolo decisivo.

Prova generale 

Le prime esperienze di vita modellano il cervello dei bambini, con l’attivazione dei lobi prefrontali che permette di sviluppare competenze nel raggiungimento degli obiettivi e nella relazione con quello che lo circonda. “Una ‘prova generale’ della vita”, continua Parsi, che consiste nel toccare i primi giocattoli, come bambole e macchinine – “gli oggetti transizionali” –, disegnare, muoversi e correre in un prato, suonare strumenti musicali, indossare costumi e mimare scenette. 

L’esperta illustra come il gioco sia anche la modalità di incontro e apertura alla conoscenza reciproca nei bambini. “Quando giocano con gli altri emergono i loro modi di stare nei rapporti, imparano a collaborare e come a manifestare le proprie opposizioni”. Inoltre, in base alle loro scelto durante il gioco “possiamo vedere le loro tendenze di carattere e di personalità”.

Secondo le regole

Ogni gioco ha le sue regole e a queste bisogna attenersi per rispetto altrui che per il corretto svolgimento. “Dopo una prima fase di gioco libero, in cui si sperimenta, man mano che si cresce si devono accettare delle regole” – continua la psicologa – “C’è chi lo fa, chi no, chi le trasgredisce per imporne di proprie, chi accoglie i suggerimenti e chi oltre a seguirle cerca di farle rispettare agli altri”. Sottolinea Parsi: “Bollea definiva questo momento come l’arrivo della ‘legge del padre’”.

Tecnologia e ozio creativo

Il gioco è immaginazione e creatività che impegnano anche materialmente i cinque sensi, la tecnologia apre però le porte digitali del mondo virtuale, che è intangibile. L’esperta non criminalizza devices e piattaforme ma sottolinea l’importanza dell’educazione per evitare che questi strumenti causino dipendenza. “L’utilizzo del cellulare limita l’immaginazione, sono contraria che venga messo in mano ai bambini prima degli 8-9 anni, e anche in quel caso con modalità molto controllate”, dichiara. “I ragazzini di oggi sono nativi digitali e un uso virtuoso di questi prodotti può dare buoni risultati, ma nel virtuale corpo, mente e immaginario non sono integrati e anche il gioco e il rapporto con gli altri partecipanti è solitario, senza incontro”. Non bisogna neppure esporre i minori a continue attività e ripetute sollecitazioni, per la crescita è importante anche il cosiddetto ozio creativo. “Il tempo in cui non si fa niente se non stare a contatto con sé stessi e le proprie idee, per trasformarne qualcuna in realtà”, evidenzia l’esperta.

Insieme nel gioco

Nessun manuale insegna come diventare ed essere dei buoni genitori, ma l’esperienza diretta può essere accompagnata, se non preceduta, da un approccio consapevole. “Il dono più grande che gli adulti possono fare ai propri figli nel loro percorso di crescita è quello di avere loro per primi dei punti di riferimento, informare e formarsi su questi temi”, sostiene Parsi, “e conoscere sé stessi, non avere la presunzione di imitare o rovesciare quello che hanno fatto a loro i volta i loro genitori”. Così quando si gioca insieme l’adulto non deve dimenticare qual è il suo ruolo nel rapporto genitore-figlio. “Non bisogna fare le stesse cose del bambino, imitarlo, ma mettersi dentro al gioco insieme”.

Il bambino interiore

Nonostante il diritto al gioco sia riconosciuto all’articolo 31 della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ci sono tanti contesti dov’è violato e negato. Come la guerra. “Un ulteriore delitto commesso dagli adulti, perché colpisce la loro vita, la loro psiche, e li menoma di una serie di esperienze che li renderebbero capaci di essere più flessibili e rispettosi dei bisogni altrui, capaci di tracciare i confini delle proprie esigenze”, dichiara l’esperta. “Quel bambino diventa un adulto il cui bambino interiore rimane ‘murato dentro’ perché non ho potuto vivere la propria età”. Una valutazione che riprende un pensiero della professoressa Parsi raccolto dalla casa editrice Lucarini nell’agenda della Fondazione Movimento Bambino, che recita così: “L’infanzia è attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli. Se l’infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, nessun drago, fantasma o mostro, all’improvviso sconfitto, nessuna luce, il bambino diventa adulto. Ma dentro di lui, quel bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa. Aspetta che l’infanzia sia magica, bella e santa. Bisogna illuminare l’infanzia per farlo crescere”.


pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it

foto: disabilynews.com

martedì 3 giugno 2025

Favola secondo episodio. Saper chiedere aiuto, anche questo è diventare saggi!


ENEA CHIEDE AIUTO

Forse che sia la cosa più difficile chiedere aiuto? 
La saga del Cavaliere Enea prova a spiegarlo
In un tempo tragico come il nostro, dove vorremmo salvare lo sguardo e il cuore dei nostri bambini,  leggiamo buone storie.
Fonte Città Nuova
Favola di Annamaria Gatti
Illustrazione di Eleonora Moretti

C’era  una volta l’apprendista cavaliere Enea, giovane coraggioso e di gran cuore.
Un giorno il compito dei  futuri cavalieri era un cosetta da nulla: niente draghi o draghetti,  niente mostri o giganti orribili.

 I giovani dovevano  solo liberare il villaggio Felix dal virus DIVOC 91 che uccideva i bambini.
Ora… che volete che sia liberare un villaggio da un virus, per gente abituata a salvare principesse, paesi interi, castelli e regni?

Ma il compito era apparso arduo: chi era partito corazzato e con la spada, chi con la lancia, qualcuno con una terribile balestra… ma tutti erano tornati malconci, perchè il mostriciattolo era invisibile… e affamato di cuori buoni.
“Enea, gli altri non ci sono riusciti e tu cosa pensi di fare?” aveva chiesto il Gran  Maestro Cavaliere.
“Ora ci penso, Maestro,  poi agirò come farebbe un cavaliere.”

Enea si ritirò nelle stanze della torre a est e nel silenzio, pensando e ripensando, con calma, cercò la soluzione: CHIEDERE AIUTO ALLA PERSONA GIUSTA.
 “Gran Maestro, per sconfiggere questo mostro invisibile devo chiedere aiuto al medico cerusico del Regno di Fortebraccio, forse lui potrà indicarmi la soluzione che non trovo.” E partì.

Arrivato finalmente al castello di Fortebraccio dopo un viaggio faticoso, annunciò:  “Sono Enea, giungo a chiedere aiuto al vostro sapiente”.
Il medico arrivò con barbone, cappello stellato e ampio mantello e ascoltò Enea. Poi ordinò:  “Studiamo insieme i miei libroni e troviamo il rimedio a tanto dolore.”  Sul far della sera partirono alla ricerche delle erbe e delle pietre, utili a preparare una pozione di guarigione. Passarono due notti e due giorni nella foresta, senza dormire e senza mangiare.

Enea lottò con un orso e una gigantesca anaconda. Entrò nella grotta delle pietre accecanti e delle stalagmiti velenose, sconfisse le terrificanti volpi volanti, ma alla fine trovò tutto ciò che serviva. E la pozione fu preparata.

Quindi tornò nel suo regno e arrivò a Felix, dove subito andò dalle bambine e  dai bambini,  che presero la pozione-medicina e ascoltarono le sue avventure  a bocca aperta.

“Quale è stata l’avventura più difficile?” gli chiese una bambina affascinata.
“Chiedere aiuto ad altri!” rispose Enea sicuro.
 “Bravo!” osservò il Gran Maestro. “Per essere cavalieri occorre anche saper riconoscere di non poter risolvere tutto e cercare aiuto e poi darsi da fare!”
E questa è un’altra avventura dell’apprendista cavaliere Enea.


pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it


lunedì 2 giugno 2025

No, a 13 o 14 anni non si è pronti per “fidanzarsi”

 

adolescenti foto: l'adolescenza è il tempo dell'apertura, 
non di rapporti esclusivi disfunzionali...

Pubblico il chiaro contributo di Daniele Novara.  (Avvenire, 30 maggio 2025)

Con la tragica morte di Martina Carbonaro, abbiamo probabilmente toccato uno dei punti più bassi nella spettacolarizzazione del dolore, della crudeltà e dell’inconsapevolezza esistenziale. Un livello che lascia davvero senza fiato.

C’è da chiedersi: che bisogno c’è? Possiamo ancora parlare di informazione o siamo ormai nel regno dello spettacolo, dove per qualche clic in più si è disposti a provocare danni profondi e duraturi, superando quella “linea rossa” che separa il dovere di cronaca dal voyeurismo. Una soglia oltre la quale la tragedia viene teatralizzata, in un racconto che parla non all’intelligenza delle persone, ma ai loro strati più arcaici e primitivi.

Non pretendo che la cultura mediatica abbia una funzione educativa o pedagogica, ma da sempre il giornalismo ha seguito dei canoni etici. Ricordo, ad esempio, il caso dei lanciatori di pietre dai cavalcavia, atti che causarono persino delle vittime. In quel contesto, i media compresero il rischio di emulazione e interruppero la spettacolarizzazione degli eventi. Il fenomeno si spense. 

Oggi, invece, sembra che il clamore sia diventato l’unica bussola. Un vortice di interviste, ricostruzioni, insistenze su familiari delle vittime e degli autori di reato. Un tourbillon interminabile che finisce per impedire, salvo rare eccezioni, una vera riflessione, perché le ragioni si perdono nel mondo del disadattamento e dell’immaturità.

Da pedagogista, mi interrogo anche su un’altra questione: ha senso parlare di fidanzamenti a 13 o 14 anni? Che significato può avere una relazione esclusiva, totalizzante, in un’età in cui il cervello non è ancora strutturato per gestire la complessità relazionale? Non si tratta forse, sotto mentite spoglie, di un ritorno a un passato in cui le ragazze venivano “consegnate” a un fidanzato con prospettive di matrimonio precoce?

Questi legami precoci, carichi di gelosia e dipendenza, non sono sostenibili per adolescenti che non possiedono ancora la maturità necessaria per gestire l’intensità emotiva di una relazione. Le famiglie dovrebbero evitare di sostenere o legittimare queste “coppie” che mimano i modelli adulti senza averne i prerequisiti cognitivi ed emotivi. È un tema di sviluppo neurocelebrale, non di morale.

Come ribadisco anche nel mio libro "Mollami", ciò che è prioritario in questa fase della vita è la socialità. Stare nel gruppo, vivere la compagnia, fare esperienze allargate: lo sport, il gioco, la solidarietà, lo studio, la scoperta.

L’adolescenza è il tempo dell’apertura, non della chiusura nella dimensione esclusiva e prematura di una “vita di coppia” che non può che risultare disfunzionale. Serve una cultura che sostenga l’adolescenza e ne valorizzi le opportunità.

sabato 31 maggio 2025

Favola primo episodio: Come Enea riuscì a diventare cavaliere


Per essere coraggiosi e importanti occorre agire con empatia, stare vicini a chi è fragile
più che pensare  sconfiggere draghi e nemici.
In un tempo tragico come il nostro, dove vorremmo salvare lo sguardo e il cuore dei nostri bambini davanti  a tanto male, leggiamo  buone storie. 



Fonte: Città Nuova giugno 2020
di Annamaria Gatti
illustrazione di Eleonora Moretti

C’era una volta sulla montagna un castello abitato da un giovane, 
che si chiamava Enea  e aveva un grande sogno:  
voleva diventare un bravo cavaliere. 
Ogni giorno si svegliava e pensava al modo di diventarlo degnamente, 
cioè con  merito e con onore.
Un giorno  vide arrivare un cavaliere, su un bel cavallo baio, 
con la lancia in mano e l’elmo sulla testa. 
“Un cavaliere vero!” esclamò Enea. 
Il cavaliere lo vide,  lo salutò e gli chiese di ospitarlo nel suo castello. 
Quando fu l’ora della cena l’ospite spiegò: 
“Sto cercando un giovane degno di diventare cavaliere, 
...voi ne conoscete qualcuno?”
“Eccomi, io voglio diventare cavaliere!” annunciò Enea.
“Ah davvero? Sei un tipo coraggioso e leale?”  “Certo, lo sono!”
“Uhm… hai mai  salvato una principessa dall’orco cattivo?”
“Beh… sì, ho salvato una bambina da una bestia che l’aveva spaventata, 
però saprei salvare anche la principessa, ne sono sicuro.”
“Ah, bravo! Hai trafitto con la lancia il drago del lago nero?” 
Incalzò il cavaliere.  “… Hai spento l’incendio in un villaggio 
minacciato dal fuoco?  Hai sconfitto il coronavirus medioevale?”
“No, ma… sono rimasto nel castello e ho seguito le regole  
per non contagiare nessuno.”
Ed ecco entrò la figlioletta della cuoca con un vassoio colmo di 
ciotole piene di budino. Indovinate cosa accadde!  
Inciampò nel tappeto e rotolò  ai piedi del cavaliere. 
Restarono tutti immobili. Solo Enea corse presso la bimba per aiutarla 
e rimediare al disastro, sussurrando: “Ti sei fatta male? Non preoccuparti, 
ora ti aiuto io.”

Il cavaliere non aveva battuto ciglio, cioè non si era scomposto, 
ma dopo qualche istante, ad alta voce annunciò:
“Ecco,  questo fa di te un vero cavaliere: aiuta i deboli e chi 
ha bisogno di aiuto! Ho visto sventrare un drago da un giovane 
che poi trattava male il suo scudiero e voleva sempre avere ragione lui 
e pensare che voleva diventare un cavaliere!”

Poi si rivolse a Enea e a testa alta lo invitò:
“Domani verrai alla corte del re e sarai accolto nella scuola dei  cavalieri. 
Dovrai impegnarti, allenarti, fare cose che  forse non ti piaceranno, 
aiuterai chi ha bisogno, dovrai superare prove di coraggio  
e  alla fine sarai un vero cavaliere! Brindiamo a Enea!”

Partirono il mattino all’alba e  fu così che il giovane  
riuscì a diventare cavaliere e  passò alla storia come Enea il Grande.


domenica 25 maggio 2025

GAZA: LA VERGOGNA DEL SILENZIO DELLE NAZIONI

Lo strazio di Alaa la pediatra volontaria che ha perso 9 dei suoi 10 figli in un raid
foto da Avvenire

I NOSTRI BAMBINI  DI GAZA: siamo in  tanti senza parole, indignati da tanto male agito, anche verso il popolo ebreo,  che in gran parte  si vergognerà di quanto sta accadendo, attivi nel sostenere azioni di pace, fermati perchè esponiamo bandiere palestinesi, perchè si richiama il governo alla coerenza e al rispetto della democrazia, grati a Papa Leone per quanto fa per la pace... Pubblico l'articolo del professor Vittorio Pelligra. Buon cammino a tutti.  E' possibile. 

Gaza e l’aritmetica dell’indifferenza

di VITTORIO PELLIGRA, Avvenire 25 maggio 2025

Nel cuore della Striscia di Gaza, una tragedia umanitaria si consuma con la lentezza crudele della fame. Da troppo tempo in quel luogo diventato l’inferno in terra i bambini muoiono a occhi aperti, le madri stringono corpi ormai senza vita, e i padri scavano tombe a mani nude.

Eppure, il mondo guarda altrove. L’orrore è reale, ma la risposta internazionale è un sussurro, un vago fastidio nella routine dell’attività diplomatica. Com’è possibile? La risposta non sta solo nelle ragioni della geopolitica o nella diplomazia, ma anche nella nostra psicologia, nel modo in cui il nostro cervello reagisce a simili tragedie e produce una verità sconcertante: più aumenta il numero delle vittime, meno ci curiamo di loro.

Lo psicologo americano Paul Slovic chiama questo fenomeno “ pshychic numbing”, una vera e propria anestesia psichica che desensibilizza il nostro senso morale. Il termine descrive quel meccanismo per cui la nostra empatia si spegne davanti alla massa del dolore.

« Uno è una tragedia, un milione è una statistica», diceva Stalin – e la psicologia sperimentale dà conferma della sua intuizione.

A Gaza, ogni fotografia di un bambino denutrito dovrebbe spezzare il cuore dell’umanità. Eppure, le immagini si accavallano, si moltiplicano, diventano “troppo”. Siamo entrati a pieno titolo in quella che Robert Lifton e Greg Mitchell definiscono l’età della desensibilizzazione: una nuova era dove la sofferenza delle moltitudini è diventata rumore di fondo e l’anestesia collettiva ci fornisce un rifugio e un alibi.

Alla desensibilizzazione psichica si aggiunge un secondo fenomeno che ne amplifica l’effetto. Si tratta della cosiddetta “pseudoinefficacia”. Vedere un solo bambino affamato ci commuove; vederne mille ci fa sentire impotenti. È la tragica “aritmetica della compassione”, come scrive Daniel Västfjäll: più cresce la tragedia, più ci sentiamo piccoli e inutili, e invece di reagire con coraggio e impegno, scegliamo di girarci dall’altra parte per scappare dal senso di impotenza.

Ma la nostra psicologia non può essere una giustificazione o ancor peggio una scusa. Perché c’è anche la scelta politica. Sempre Slovic parla al riguardo di un “effetto prominenza” che si verifica quando le scelte degli Stati sullo scacchiere internazionale sono dominate da ciò che è più “visibile” e conveniente per i leader che quegli Stati li governano e che, per questo, sono pronti e ben disposti a lasciare da parte ciò che sarebbe moralmente più urgente. Ecco, Gaza e la sua tragedia non è prominente. Non genera voti, né profitti, a meno di raderla totalmente al suolo, di deportare i suoi due milioni di abitanti e di costruirci resort di lusso, sia ben inteso. È grazie all’“effetto prominenza” che l’indifferenza diventa una strategia calcolata prontamente mascherata da prudenza diplomatica.

Il risultato? Un assedio che affama deliberatamente un popolo, trasfor-mando il pane in arma. Secondo il diritto internazionale, la fame come strumento bellico è un crimine. Ma dove sono le sanzioni? Dove sono le risoluzioni Onu capaci di agire, non solo di “condannare”? L’Occidente ha fatto del “mai più” un mantra, ma ora tace, pavido, mentre si consuma una delle più gravi crisi morali del nostro tempo. Gaza non ha bisogno di lacrime. Ha bisogno di voce. Di indignazione. Di una rottura netta con l’indifferenza. Perché ogni bambino lasciato morire di fame per calcolo politico rappresenta il fallimento più atroce di ogni valore su cui la nostra civiltà si fonda. E nessuna scusa psicologica potrà mai giustificare il silenzio di chi avrebbe potuto parlare e ha scelto di non farlo.

pubblicato da Annamaria Gatti

mercoledì 21 maggio 2025

Dopo la guerra dei Balcani, la speranza oggi compie 30 anni

 

Il giardino e l'ingresso della scuola dell'infanzia "Raggio di Sole" di Križevci, in Croazia 

(foto dal sito della scuola)

Trent’anni di Raggio di Sole

fonte: Città Nuova, 20 Maggio 2025 di Chiara Andreola

Il 23 maggio festeggia i suoi trent'anni la scuola dell'infanzia "Raggio di Sole", che a Križevci ha dato un contributo determinante nell'educazione alla pace delle nuove generazioni dopo la guerra dei Balcani

Da un piccolo gruppo di bambini accolti in una sacrestia dopo la guerra dei Balcani, a scuola dell’infanzia consolidata frequentata da 110 bambini: è il percorso compiuto dalla scuola dell’infanzia “Raggio di Sole” di Križevci, in Croazia, che il prossimo 23 maggio celebra i suoi trent’anni di attività. La scuola è infatti nata nel 1995 nell’ambito della Mariapoli Faro, stabilita tre anni prima nei pressi di Zagabria su un terreno concesso in comodato d’uso al Movimento dei Focolari dal locale vescovo greco-cattolico, mons. Slavomir.

 

Negli anni del conflitto – che, ricordiamo, coinvolse in varie fasi le repubbliche ex jugoslave tra il 1991 e il 1995 – la cittadella funzionò da “avamposto” per gli aiuti umanitari e per l’accoglienza dei profughi, via via che la zona di combattimento di spostava verso la Serbia e la Bosnia; e a guerra finita ci si chiese che cosa fare per educare alla pace. Si decise di guardare al futuro puntando sui bambini: bambini che spesso avevano perso amici o familiari, i cui padri erano rientrati dal fronte feriti, invalidi o con gravi stress post traumatici, ma che potevano ancora guardare un compagno di etnia diversa non come un nemico. Si scelse così di costruire una scuola dell’infanzia aperta a tutti i bambini di Križevci, locali e profughi, così che potessero crescere insieme e superare le divisioni grazie ad una “pedagogia di comunione”, di comunità, di amore reciproco.

 

«Avevo vissuto gli anni della guerra tra Trieste e Lubiana – racconta Anna Lisa Gasparini, pedagogista, insegnante e cofondatrice della scuola – e quando è nata l’idea dell’asilo è stato chiesto a me di scrivere un piano educativo, da presentare al ministero per ottenere l’approvazione e il riconoscimento di agenzia educativa. La mia prima reazione è stata: figuriamoci, non parlo nemmeno il croato! Però alla fine, insieme naturalmente a tutte le altre persone coinvolte nel progetto, ho accettato la sfida».

 

La scelta del modello pedagogico da seguire è caduta sul metodo Agazzi: «Questo metodo, che dà molta importanza all’ecologia integrale e al rapporto con la natura senza necessità di grandi investimenti, si è rivelato perfetto per un posto immerso nel verde come è Križevci – ricorda Anna Lisa -. Tanto più che, non avendo certo soldi da spendere in materiali educativi, dovevamo giocoforza guardare ai punti di forza che il luogo già offriva».

Il progetto incontrò il favore del ministero, anche grazie al fatto che alcune insegnanti già si erano recate a Brescia – e lo hanno fatto a cadenza regolare anche negli anni successivi – per studiare il metodo Agazzi là dove è nato; e i primi bambini della città, una cinquantina, vennero così accolti nella sacrestia della chiesa greco-cattolica.

Non c’era infatti ancora lo stabile della scuola: il comune si era reso disponibile a pagare gli stipendi degli insegnanti, ma rimaneva da costruire l’edificio. Grazie a tante donazioni sia di denaro che di materiali – soprattutto da Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna – e all’intervento di una ditta svedese, la nuova scuola venne inaugurata di lì a pochi mesi, nell’ottobre del 1995. Tra i tratti distintivi della scuola c’era e c’è ancora l’ampio giardino, con tanto di orto dove i bambini possono sperimentare la coltivazione delle piante.

«È stato bello vedere come c’è stato un sostegno trasversale al progetto – ricorda ancora Anna Maria –, non solo in ambito cattolico: anche sindacati, associazioni senza matrice religiosa, e persone dichiaratamente non credenti ci hanno fatto avere il loro aiuto. Non solo nella costruzione della scuola, ma anche in seguito: ad esempio grazie a Fabio Baresi, papà di due bambini della scuola Agazzi di Brescia e fondatore dell’associazione “Bimbo chiama bimbo”, è stato possibile per diversi anni organizzare dei centri estivi a Brescia per i bambini di Križevci, dando priorità a quelli più bisognosi o con difficoltà scolastiche. Poi è stato proposto anche un centro estivo a Križevci, e le varie iniziative si son susseguite fino al Covid. E lo scorso anno è partito un progetto analogo in Slavonia».

Nel frattempo il “Raggio di Sole” è cresciuto: sono 110 i bambini attualmente accolti, 1068 quelli passati di lì in trent’anni, nei primi anni 2000 è stata costruita la palestra, e nel 2015 è partita anche una sezione di nido. Ma la scuola è cresciuta anche dal punto di vista pedagogico: si è infatti consolidata sotto il profilo accademico la “pedagogia di comunione”, ispirata all’ideale dell’unità proposto da Chiara Lubich, che ha visitato il “Raggio di Sole” nel 1999 appena prima di ricevere il dottorato in pedagogia honoris causa a Washington. Si è così instaurata anche una collaborazione con l’Università di Zagabria per un master di due anni in pedagogia di comunione, portato a termine ad oggi da 40 corsiste; ed è stata fondata l’Associazione Pedagogia di Comunione, che terrà il suo prossimo congresso a Velika Gorica (Zagabria) il 3 ottobre con un simposio dal titolo “Leggere il presente con gli occhi del futuro – Pedagogia di Comunione”.

Intanto a Križevci ci si prepara a festeggiare, venerdì 23, con un evento aperto alla città al locale auditorium e un momento conviviale alla cittadella Faro. I bambini della scuola sono oggi i figli dei primi che l’hanno frequentata, e anche gli insegnanti sono ormai alla seconda generazione: «È recentemente entrata in ruolo proprio una delle bambine che ha frequentato il “Raggio di Sole” nei primi anni», riferisce Anna Lisa. Un testimone che passa nel tempo, dai bambini di ieri a quelli di oggi.


pubblicato da Annamaria Gatti

martedì 20 maggio 2025

Quando muore la maestra

 


Ci sono maestre e maestri. 

Quelli che ti capiscono al volo, quelli che vorrebbero capirti al volo.

Quelli che non amano la professione e quelli che si sentono nati solo per essere insegnanti.

Quelli consapevolmente felici e quelli senza un sorriso. 

Quelli capaci di un vero abbraccio e quelli che non ci riescono proprio, poveretti.

Quelli che sanno sporcarsi per condividere le tue scoperte e quelli che non ci riescono proprio.

Poi ci sono quelli che ti portano in uscita a scoprire il mondo. 

Magari in pullman.

E se c'è un incidente, come quello accaduto ieri, ti difendono e qualcuno ci rimette la vita.

Alla maestra Domenica Russo, il suo sorriso resterà sempre.

Un pensiero per le bambine, i bambini e le loro famiglie, che ora devono affrontare un tempo difficile.


pubblicato da Annamaria Gatti

foto da A.G.M.

lunedì 19 maggio 2025

Festival Nazionale Innovazione Didattica: quando la scuola funziona davvero!

 


Ho scoperto il "Festival dell'Innovazione Didattica" quando me ne ha parlato il professor Alberto Raffaelli, appassionato presidente dell'associazione. 

Mi piace condividere nel blog anche questa entusiasmante realtà per confermarci che SI', la scuola funziona, e le buone pratiche ... vanno caparbiamente diffuse :  in tempi bui come questi sono fari a cui guardare e in cui rispecchiarsi per riprendere sempre la strada e la speranza. 

Il sito recita: "Il Festival dell’Innovazione Scolastica è una manifestazione a livello nazionale che ha come obiettivo la condivisione tra diverse realtà scolastiche di esperienze didattiche innovative in un’ottica di valorizzazione e diffusione.

Il Festival 2025 si svolgerà a Valdobbiadene (TV) il 5 – 6 – 7 settembre 2025 è riservato ai dirigenti e ai docenti delle Scuole operanti sul territorio nazionale, di ogni ordine e grado, Istituti statali, Scuole paritarie e Scuole di Formazione Professionale accreditate

Le scuole selezionate, tra tutte quelle che invieranno la loro candidatura, presenteranno le proprie esperienze di innovazione didattica..." 

E nel sito è possibile trovare tutte le informazioni necessarie e scoprire la eccezionalità di questo festival che si avvale di partnership di tutto rispetto.

                 https://festivalinnovazionescolastica.it/

I criteri che definiscono questo evento sono sintetizzati  nell'intervento del prof. Raffaelli, dal sito.

CONTRIBUTO SUL TEMA DELL’INNOVAZIONE SCOLASTICA OGGI IN ITALIA

Mentre in tutta Italia si stanno svolgendo gli esami di fine anno scolastico la notizia più interessante è che nella scuola c’è vita. A dispetto di tutte le magagne del nostro sistema scolastico, magagne che pur esistono e a volte sono davvero clamorose (nonché amplificate a dismisura dai media), nelle cinquantamila (circa) scuole di ogni ordine e grado disseminate sul territorio del nostro Paese germogliano e crescono delle esperienze didattico/educative che non possono non suscitare un soprassalto di stupore per come sono cariche di passione, di tenacia e di originalità. 

E’ quanto emerge con evidenza dallo scorrere l’elenco delle esperienze didattiche che scuole di ogni ordine e grado hanno candidato alla quarta edizione del Festival Nazionale dell’Innovazione Scolastica che si svolgerà (ndr è svolta) a Valdobbiadene dal 6 all’8 settembre 2024. 

C’è qualcosa di commovente, per esempio, nel racconto di ciò che è accaduto e accade nell’Istituto Comprensivo di Palermo intitolato a Rita Borsellino: “Tutto è nato dalla difesa di un campetto di calcio nella grande piazza della Magione, a Palermo, dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino giocavano da ragazzini. È intorno a quel rettangolo di gioco (che il Comune voleva trasformare in un’area sgambamento cani), dove nel 2013 si svolse per protesta una mitica partita infinita, durata 24 ore, che la scuola e le famiglie si sono unite per bloccare il progetto ed elaborare una controproposta. Da allora, ogni problema che riguarda la scuola e il territorio viene affrontato insieme per trovare soluzioni e alleanze educative tra personale scolastico, genitori, associazioni, enti pubblici e privati e, col passare degli anni, gli eventi pubblici organizzati sono stati sempre più partecipati e consapevoli.”

“E pensi,” racconta orgogliosa al telefono Lucia Sorce, la dirigente scolastica, “siamo riusciti a far trasformare una strada pericolosa adiacente alla scuola in un’area pedonale, ora attrezzata con giochi e altro, tutto questo nel centro storico di Palermo …” Dove si sa, come recita la battuta di Benigni, il problema principale è il traffico.

Per poi passare a Bolzano, all’altro capo della Penisola, dove la Scuola Primaria ‘A. Manzoni’ ha realizzato il progetto “Pinocchio Remix” in cui è stato realizzato “un gemellaggio internazionale fra scuole di diverso ordine e grado (infanzia, primaria e secondarie di I° e II° grado) di vari Paesi d’Europa: Austria, Germania, Polonia, Estonia, Bulgaria e Grecia in cui è stata ‘remixata’ la storia di Pinocchio e, anche grazie alla collaborazione con famiglie, biblioteche e università, è stato prodotto un musical plurilingue e un videogioco “SuperPinoBros”.

E così nell’Istituto Statale Superiore ‘Via Roma 298’ di Guidonia, in Lazio, dove è stata allestita una mostra (sia fisica che digitale) che ha impegnato trasversalmente varie discipline quali la matematica, la musica, l’astronomia e la storia coinvolgendo realtà aziendali del territorio e perfino il 60° Stormo dell’Aeronautica Militare.

Queste e molte altre esperienze didattiche che si potranno conoscere e approfondire dalla viva voce dei protagonisti al Festival di settembre, non sono progetti di una ‘riforma della scuola’ sempre al di là da venire, ma sperimentazioni già messe in atto che, a guardar bene, presentano degli elementi comuni.

Primo: in un ambito difficile come quello scolastico, all’interno di un contesto sociale e culturale come quello odierno, così dissestato e spesso drammatico, vi sono degli individui, delle persone, insegnanti e dirigenti scolastici, che non si rassegnano al grigiore che avanza fino a giungere al buio e nemmeno al dilagare delle lamentazioni (‘i giovani non sono più quelli di una volta’, ‘l’uso dei cellulari ha rovinato la generazione dei ragazzi’, ecc.), ma che si mettono in gioco e diventano delle vere e proprie sorgenti di energia di rinnovamento. E viene in mente il passo di Peguy sulla gemma, apparentemente impotente, che rinasce dal vecchio tronco, oppure il coro dell’Antigone di Sofocle che inneggia alla rinascita della persona: «Di molte specie è l’inquietante, ma nulla è più inquietante dell’uomo s’aderge».

Secondo: l’innovazione non è nell’esito, ma nell’inizio. E l’inizio dell’innovazione scolastica è proprio nella collegialità, nel mettersi insieme di più insegnanti per cercare nuove modalità educative che possano essere di aiuto alla crescita dei loro alunni,  bambini/ragazzi che siano. Perché ogni sperimentazione, per sua natura, può avere esiti di grado diverso, ma nella collegialità che nasce attorno alla decisione di iniziare qualcosa di nuovo, nell’atto di mettersi insieme, in movimento, vi è qualcosa che ha il profumo della vittoria.

Terzo e ultimo: non c’è dinamica scolastica/educativa senza una co-progettazione con i soggetti sociali presenti sul territorio, siano essi Istituzioni pubbliche, Associazioni, imprese, ed altro. Perché la scuola ha bisogno di un villaggio e la vera innovazione nasce in un contesto in cui si ha la curiosità e l’umiltà di guardare e dialogare con chi sta oltre il recinto del proprio cortile, perché forse vicino ad ogni scuola c’è un prato incolto che il Comune ha destinato ad altri scopi e su cui invece si possono giocare tante partite infinite.

Alberto Raffaelli (Presidente Associazione Festival Nazionale dell’Innovazione Scolastica)

Pubblicato da Annamaria Gatti
foto dal sito in oggetto

venerdì 2 maggio 2025

LE CASE DI ZOE un albo bellissimo per tutte le mamme

 


LE CASE DI ZOE
di Lorenza Farina
illustrazioni di Lucia Ricciardi
MIMebù Edizioni

Quasi una recensione di Annamaria Gatti

Occorre un angolo di un pomeriggio silenzioso e luminoso per tuffarsi in un sogno e saperci stare con la leggerezza richiesta ai sognatori. Quelli che, a parere d’altri, non sanno dare forse le giuste risposte a tutte le domande dell’esistenza, ma che sanno fare la differenza, quando qualcuno mette tra le loro mani un dono. Per esempio un libro, scritto da Lorenza Farina, illustrato da Lucia Ricciardi.

Un libro è espressione di molte cose, spesso troppe, e una recensione non riesce mai a dare l’idea giusta di quel che rappresenta  un piccolo capolavoro (ma poi esistono i piccoli capolavori?). Quando ho avuto  fra le mani “Le case di Zoe” è accaduto che il respiro si è preso un attimo di vacanza per fasciarsi di sorpresa e dare ragione allo stupore gioioso. Avevo già assaporato alcune di quelle pagine, ma la carta che accarezza lo sguardo è tutta un’altra cosa.

Ho pensato: farà strada questo albo. Ma poi ho avuto in un flash la percezione che altre opere di questa autrice e di questa illustratrice avevano già popolato scaffali illustri, e fatto la loro strada: la mia non era in fondo un’ intuizione così nuova e brillante. Ma si sa, ogni novità va accolta con la curiosità e la speranza che non dà nulla per scontato e spesso dimentica tutto. 

Sulla copertina cartonata gli occhietti attenti di una bimba sbucano da cuscini variopinti, accompagnati da efelidi discrete e compiaciute nel gioco di luce ed ombre: è Zoe.

I particolari che popolano le ampie pagine della narrazione sono accurati e contestualizzati in amabili scenografie  e gradualmente, sostenendo una narrazione poetica e creativa, da casette reali e probabili, viaggiano nel mondo della fantasia-bambina.

Allora Zoe, bambina bellissima, dolce e fortunata  vive le sue  avventure in casette tematiche, complici le emozioni, il gatto Orfeo della casa corsara o il cane Teodoro  nella casa dei giorni di pioggia, per poi tuffarsi in un’affascinante  casa marina, o gialla, per fare festa alla stagione più bella, popolata da farfalle colorate o di musica soave.

Tutti i sensi sono coinvolti: il profumo delle ciliegie, lo sciacquio delle onde, l’armonia del violino, la brezza che accompagna …. 

Non disdegna la piccina  la casa delle ombre della paura  o la casa di vetro dei giorni tristi, perché anche di queste esperienze  c’è bisogno per  crescere ed essere consapevoli  che,  per ritrovare l’ascolto del battito del cuore, c’è una casetta tutta speciale, tutta da scoprire.

Allora ecco: solamente sognatrici e  sognatori  potranno scoprire dove Zoe troverà questo profumo e l’attenzione essenziale per sapersi raccontare. Per riuscirci occorrerà ripensarsi bambine e bambini, sentire quella musica, provare quell'emozione, lo struggimento o il batticuore... sì, proprio fra le braccia della mamma!

La potenza del racconto palpita nelle sfumature e nelle forme a piene pagine.

Un dono questo albo, per cui ringraziare chi lo ha pensato e prodotto.

Un momento alto per godere della vita, a saperla vedere. Un dono per tutte le mamme, che poi sono loro con il loro abbraccio che daranno casa all'amore atteso e desiderato dei loro bambini e delle loro bambine.

Pubblicato da Annamaria Gatti

martedì 29 aprile 2025

Gioco della Pace : breve presentazione video

 



https://www.facebook.com/share/v/1K2zvQ9gDa/

In questo video il Gioco della Pace del precedente post, con una chiusura memorabile sul desiderio di pace di Maria Montessori.

GIOCO DELLA PACE CON GB E DOPPIAW una bella scoperta!

 


A Papa Francesco sarebbe piaciuto questo gioco alternativo, molto curato, facile da imparare dai 5 ai 100 anni, destinato ai bambini e ragazzi, scuole, gruppi, famiglie... 

Quanto abbiamo bisogno di vivere la pace ed educare alla pace! e questo gioco, ideato e realizzato da Federico Scognamiglio, con la felice matita di Walter Kostner, con i suoi  GB e DoppiaW, lo fa, intanto, in due lingue, italiano e inglese. 

Il gioco sarà diffuso in tutto il mondo grazie a Calos palma, coordinatore generale di Living Peace International (AMU)

             

Dalla bella scatolona balzano fuori una tavola con un percorso a spirale con 43 caselle, tre grandi e robusti dadi, come le pedine (grandi quanto basta e indistruttibili), il tutto illustrato da un amico  come Walter Kostner, che ha affidato ai suoi amati personaggi GB e DoppiaW il compito di accompagnare le scoperte importanti che via via si snodano lungo il percorso che porta alla vittoria. ... A patto che si condivida, che si operino scelte di unità e di com-passione, in una serie di attività che vanno svolte riscoprendo la bellezza dell' armonia. 

Stimolante e a prova di età, l'ho testato e ho poi chiesto a tre diverse età, appunto,  di commentarlo. 

Sofia di 7 anni,  un tipo attento e con grande spirito di osservazione, ha appreso e assicurato la creativa realizzazione del gioco, fornendo alla divertita bisnonna di quasi 100 anni le giuste e appropriate indicazioni per esercitare il ruolo di giocatrice nel gruppo. 

Enea, 12 anni, che pensavo non si sentisse  molto coinvolto,  ci aiuta invece a capire quanto certi aspetti emozionali siano determinanti per il clima del gioco. Inoltre nella fase metacognitiva finale proposta nel gioco, osserva  quanto due gesti richiesti, in particolare, l'abbiano fatto sentire capace  di relazione... 

Insomma, un bilancio davvero positivo, a mia sorpresa, visto che invece mi aspettavo   qualche osservazione costruttiva, per provare l'arduo compito di giocare alla pace attraverso semplici gesti, atteggiamenti positivi da acquisire con la consapevolezza e l'esercizio  quotidiani. 

E il mio gioco, dopo il test, se lo sono voluti portare via per proporlo ai loro amici e in famiglia.

Già diffuso da marzo 2025, lo potete ordinare al seguente indirizzo, rivolgendovi a Federico Scognamiglio:  info@grades.it, scoprendo le modalità e le opportunità di invio in quantità adeguate. 

pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it