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rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

mercoledì 22 maggio 2019

Cosa pensa un insegnante? dal libro "IO AMO LA SCUOLA"



Io amo la scuola
Qualche minuto per ripensare alle complessità della professione docente. Ed entrare in empatia con questa fetta enorme di persone, che ogni giorno farebbero e fanno  la differenza per il futuro di questa società.Formarli con generosità ed autorevolezza ai valori della persona, sostenerli, fornire loro i mezzi per le buone prassi e la serenità della scuola, vigilare certo, ma anche riconoscere, quando si deve, il loro valore e rispettarli, è doveroso per tutta la società e i governi.
Pena... un futuro problematico e assai povero di umanità.

Tutto questo per le nostre bambine e  i nostri bambini, per le nostre ragazze  e i nostri ragazzi. Ora è il  tempo!


Siamo reduci da una presentazione laboratoriale di "Io amo la scuola"  a Molfetta,  con un gruppo di insegnanti, provenienti da diverse zone della Puglia, molto motivati,  che ci hanno entusiasmato e che ringraziamo per questa loro testimonianza di passione e di eccellenza, in una scuola come quella italiana,  spesso sofferente  e attaccata da vari fronti.
Le buone risorse e le buone prassi sono traversali e ce lo hanno dimostrato il 10 maggio insegnanti di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado,  nella sede della Editrice LA MERIDIANA,  che ringraziamo per l'accoglienza e la stessa passione, nella persona di Elvira Zaccagnino  e di tutto il notevole team.


Da "IO AMO LA SCUOLA 

Come insegnare e stare bene in classe" 
Edizioni La Meridiana, di A. Gatti e A. Giarolo, 

pag.33-34  

(ndr. La presentazione del problema nel  capitolo Parlare e ascoltare, su questo aspetto della complessità dell'insegnamento  da un assai probabile input di un'insegnante...)

A. QUAL È IL PROBLEMA?


1.    “Non posso parlare e anche ascoltare!”

“Ultima novità, ultima trovata di quelli che di scuola ne capiscono poco o niente: ascolto attivo, lo chiamano, ascolto impossibile è quello che penso io! Come potrei spiegare, ascoltare, pensare, rivedere, riformulare ed essere coerente con i miei e i pensieri dei miei alunni e non uscirne poi pazzo!? Ma conoscono la realtà di una classe scolastica? Un bambino ti chiama, un altro ti ripete la stessa domanda e non ascolta la risposta, un altro ha gli occhi rossi e lo guardi con apprensione e un altro ancora non vuol saperne di starsene fermo e seduto: spesso torno a casa senza più voglia di guardare in faccia qualcuno e guai se i miei figli si fanno avanti! Mi serve almeno mezz’ora per riprendere fiato prima di poter affrontare un altro essere umano e rispondere con cortesia!”.  


In molte situazioni il mestiere dell’insegnante chiede doti che a volte rasentano il limite delle possibilità umane. È anche vero, del resto, che, spesso, a rendere così stressante la giornata scolastica, è la fatica legata alla mancanza di competenze utili per la gestione delle situazioni complesse: sono strategie che non fanno parte del bagaglio personale di un insegnante al momento del suo ingresso a scuola.
Proviamo a ragionare con ordine.

Gestire una classe, soprattutto di alunni piccoli di Scuola Primaria, chiede talvolta una capacità elevata di autocontrollo e le energie impiegate vanno recuperate quotidianamente in contesti al di fuori di quello scolastico.
Può accadere di dover rispondere contemporaneamente ad un bambino che chiede spiegazioni, ad un altro che si lamenta del compagno, ad un altro ancora che soffre di mal di pancia e vuole tornare a casa. Per non dire di chi, un po’ più grande, rifiuta di collaborare e si mette a protestare adducendo motivazioni che riducono al minimo le possibilità di comprendere; e ancora ci sono bambini che vorrebbero diventare dello stesso colore delle pareti pur di non farsi notare, non parlano, non disturbano, non intervengono e passano, talvolta, per alunni modello nascondendo un profondo disagio interiore.

Il tutto esce decisamente da una mera questione didattica e si rivela sempre più una faccenda di relazione, di crescita educativa e di maturazione affettiva. E l’insegnante deve far riferimento a delle competenze ‘altre’, quelle che facilitano la lettura del contesto, quelle che aiutano a stare nella situazione senza farsene travolgere, quelle che permettono un controllo adeguato eppure fermo e deciso, che allontanano cioè il rischio evidente di burn out.

Niente di trascendentale e, spesso, quello che già il docente mette in atto in situazioni simili a quella descritta è di per sé buono ed efficace: effettua una valutazione veloce sulle necessità più urgenti e poi agisce dando priorità assoluta a ciò che mette in pericolo sicurezza e benessere. Purtroppo, accade di passare in secondo piano, e talvolta di dimenticarsene, richieste sottili, che arrivano in punta di piedi, a volte sussurrate e che, se prese in considerazione, aiutano a comprendere, aiutano a leggere emozioni e sentimenti che altrimenti rimarrebbero nascosti.
È qui che si parla di ascolto attivo, quella capacità di sentire che mette in attesa la presunzione di capire, quel saper guardare l’altro con occhi vivaci e mente aperta, con le braccia allargate e le mani che accolgono, con l’interesse presente di chi vorrebbe intendere anche se ancora non sa come. Mettersi nei panni dell’altro è uno dei segreti: sentirne la sofferenza, coglierne la fatica, avvertire il dolore, accettare senza condizione quel comportamento sapendo di poterne rimandare il significato.
Ecco, accettare senza sapere e senza giudicare ma con il desiderio di comprenderne le ragioni, quando e se sarà possibile, è mettersi nei panni dell’altro, è riuscire ad ascoltare con empatia. È soprattutto evitare di giudicare e non fornire risposte frettolose proprio perché non c’è la condizione adatta per soluzioni coerenti e competenti.

Di cosa si tratta allora? Non servono doti magiche ma certamente una riflessione approfondita aiuta, e non poco, a cercare di sbrogliare quella matassa sempre più ingarbugliata che è il ricco mondo delle relazioni, ancor più denso quando il contesto è quello della scuola. Insegnante e allievo si incontrano su strade parallele che, sì vanno nella stessa direzione, ma non sono le stesse. I ruoli sono diversi e asimmetrici: a scuola, docente e studente non sono amici, non devono e non possono esserlo. L’uno è un riferimento per l’altro e non viceversa. L’insegnante ascolta, l’alunno dice e parla di sé. Accade che attraverso l’apprendimento, i contenuti che vengono veicolati nelle ore di insegnamento agiscano da convogliatori, da trasportatori di emozioni, sentimenti, pensieri e storie di vita che ne rivelano la complessità.

A scuola serve soprattutto saper fare silenzio: utilizzare una postura di ascolto che invita l’altro a dire anche qualcosa di più, guardare negli occhi, tendere le mani, appoggiarne una delicatamente sulle spalle, sorridere e, con questo, sostenere, incoraggiare, accettare.
Serve rimandare la comprensione a quando sarà possibile, quando l’alunno ci fornirà le ragioni, quando vi sarà una maggiore apertura e/o una maggiore capacità di dire e dirsi. C’è e rimarrà comunque un quid di incomprensibile, quella parte della storia dell’altro che non ci è dato di sapere e che, non solo va messa in conto, ma ne reclama il rispetto.

È utile fare domande, certamente, ma meglio se sono aperte, quel tipo di richieste che spingono a specificare e a raccontare anche altro (anziché “ti piace giocare?” chiedo “qual è il gioco che ti piace tanto?”). È importante anche saper rimandare all’altro il sentimento che sta provando (“vedo che sei stanco”) e utilizzare la parafrasi (“Se ho capito bene hai detto che ti sei stancato di giocare con lui”).
E come non sottolineare quanto è importante recarsi al lavoro riposati e carichi, sia fisicamente che mentalmente. Tutto ciò che riguarda le controversie e le difficoltà legate alla professione va lasciato fuori dall’aula, sarà un’altra la sede nella quale potremo affrontare battaglie legate alla necessità di un maggior riconoscimento, economico ma anche sociale, dell’essere insegnante. 

Quando entra in relazione con i propri alunni, quando affronta un colloquio con le famiglie, quando fa parte di commissioni di lavoro, quando progetta e si confronta con i colleghi, quando predispone attività e pratiche educative, il docente deve fare spazio nella propria mente e porre al centro lo studente, il suo apprendimento, il suo benessere, il suo progetto di vita: è un professionista che mette sul tavolo, davanti a sé tutte le sue competenze di docente preparato e motivato, capace di farsi portavoce di una necessità relazionale che riempie il suo bagaglio di docente esperto. In poche parole, parliamo di professione docente.

(Puoi leggere i post precedenti su questo blog, dedicati a "Io amo la scuola Come insegnare e stare bene in classe")


pubblicato da Annamaria Gatti
foto: Elvira Zaccagnino de La Meridiana e le autrici

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