Qualche minuto per ripensare alle complessità della professione docente. Ed entrare in empatia con questa fetta enorme di persone, che ogni giorno farebbero e fanno la differenza per il futuro di questa società.Formarli con generosità ed autorevolezza ai valori della persona, sostenerli, fornire loro i mezzi per le buone prassi e la serenità della scuola, vigilare certo, ma anche riconoscere, quando si deve, il loro valore e rispettarli, è doveroso per tutta la società e i governi.
Pena... un futuro problematico e assai povero di umanità.
Tutto questo per le nostre bambine e i nostri bambini, per le nostre ragazze e i nostri ragazzi. Ora è il tempo!
Siamo reduci da una presentazione laboratoriale di "Io amo la scuola" a Molfetta, con un gruppo di insegnanti, provenienti da diverse zone della Puglia, molto motivati, che ci hanno entusiasmato e che ringraziamo per questa loro testimonianza di passione e di eccellenza, in una scuola come quella italiana, spesso sofferente e attaccata da vari fronti.
Le buone risorse e le buone prassi sono traversali e ce lo hanno dimostrato il 10 maggio insegnanti di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado, nella sede della Editrice LA MERIDIANA, che ringraziamo per l'accoglienza e la stessa passione, nella persona di Elvira Zaccagnino e di tutto il notevole team.
Siamo reduci da una presentazione laboratoriale di "Io amo la scuola" a Molfetta, con un gruppo di insegnanti, provenienti da diverse zone della Puglia, molto motivati, che ci hanno entusiasmato e che ringraziamo per questa loro testimonianza di passione e di eccellenza, in una scuola come quella italiana, spesso sofferente e attaccata da vari fronti.
Le buone risorse e le buone prassi sono traversali e ce lo hanno dimostrato il 10 maggio insegnanti di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado, nella sede della Editrice LA MERIDIANA, che ringraziamo per l'accoglienza e la stessa passione, nella persona di Elvira Zaccagnino e di tutto il notevole team.
Da "IO AMO LA SCUOLA
Come insegnare e stare bene in classe"
Edizioni La Meridiana, di A. Gatti e A. Giarolo,
pag.33-34
(ndr. La presentazione del problema nel capitolo Parlare e ascoltare, su questo aspetto della complessità dell'insegnamento da un assai probabile input di un'insegnante...)
A. QUAL È IL PROBLEMA?
1.
“Non
posso parlare e anche ascoltare!”
“Ultima novità, ultima trovata di quelli che di scuola ne capiscono
poco o niente: ascolto attivo, lo chiamano, ascolto impossibile è quello che
penso io! Come potrei spiegare, ascoltare, pensare, rivedere, riformulare ed
essere coerente con i miei e i pensieri dei miei alunni e non uscirne poi
pazzo!? Ma conoscono la realtà di una classe scolastica? Un bambino ti chiama,
un altro ti ripete la stessa domanda e non ascolta la risposta, un altro ha gli
occhi rossi e lo guardi con apprensione e un altro ancora non vuol saperne di
starsene fermo e seduto: spesso torno a casa senza più voglia di guardare in
faccia qualcuno e guai se i miei figli si fanno avanti! Mi serve almeno
mezz’ora per riprendere fiato prima di poter affrontare un altro essere umano e
rispondere con cortesia!”.
In molte situazioni il mestiere
dell’insegnante chiede doti che a volte rasentano il limite delle possibilità
umane. È anche vero, del resto, che, spesso, a rendere così stressante la
giornata scolastica, è la fatica legata alla mancanza di competenze utili per
la gestione delle situazioni complesse: sono strategie che non fanno parte del
bagaglio personale di un insegnante al momento del suo ingresso a scuola.
Proviamo a ragionare con ordine.
Gestire una classe, soprattutto
di alunni piccoli di Scuola Primaria, chiede talvolta una capacità elevata di
autocontrollo e le energie impiegate vanno recuperate quotidianamente in
contesti al di fuori di quello scolastico.
Può accadere di dover rispondere
contemporaneamente ad un bambino che chiede spiegazioni, ad un altro che si
lamenta del compagno, ad un altro ancora che soffre di mal di pancia e vuole
tornare a casa. Per non dire di chi, un po’ più grande, rifiuta di collaborare
e si mette a protestare adducendo motivazioni che riducono al minimo le
possibilità di comprendere; e ancora ci sono bambini che vorrebbero diventare
dello stesso colore delle pareti pur di non farsi notare, non parlano, non
disturbano, non intervengono e passano, talvolta, per alunni modello
nascondendo un profondo disagio interiore.
Il tutto esce decisamente da una
mera questione didattica e si rivela sempre più una faccenda di relazione, di
crescita educativa e di maturazione affettiva. E l’insegnante deve far
riferimento a delle competenze ‘altre’, quelle che facilitano la lettura del
contesto, quelle che aiutano a stare nella situazione senza farsene travolgere,
quelle che permettono un controllo adeguato eppure fermo e deciso, che
allontanano cioè il rischio evidente di burn
out.
Niente di trascendentale e, spesso,
quello che già il docente mette in atto in situazioni simili a quella descritta
è di per sé buono ed efficace: effettua una valutazione veloce sulle necessità
più urgenti e poi agisce dando priorità assoluta a ciò che mette in pericolo
sicurezza e benessere. Purtroppo, accade di passare in secondo piano, e
talvolta di dimenticarsene, richieste sottili, che arrivano in punta di piedi,
a volte sussurrate e che, se prese in considerazione, aiutano a comprendere,
aiutano a leggere emozioni e sentimenti che altrimenti rimarrebbero nascosti.
È qui che si parla di ascolto attivo, quella capacità di
sentire che mette in attesa la presunzione di capire, quel saper guardare
l’altro con occhi vivaci e mente aperta, con le braccia allargate e le mani che
accolgono, con l’interesse presente di chi vorrebbe intendere anche se ancora
non sa come. Mettersi nei panni
dell’altro è uno dei segreti: sentirne la sofferenza, coglierne la fatica,
avvertire il dolore, accettare senza condizione quel comportamento sapendo di
poterne rimandare il significato.
Ecco, accettare senza sapere e
senza giudicare ma con il desiderio di comprenderne le ragioni, quando e se
sarà possibile, è mettersi nei panni dell’altro, è riuscire ad ascoltare con empatia. È soprattutto evitare di
giudicare e non fornire risposte frettolose proprio perché non c’è la
condizione adatta per soluzioni coerenti e competenti.
Di cosa si tratta allora? Non
servono doti magiche ma certamente una riflessione approfondita aiuta, e non
poco, a cercare di sbrogliare quella matassa sempre più ingarbugliata che è il
ricco mondo delle relazioni, ancor più denso quando il contesto è quello della
scuola. Insegnante e allievo si incontrano su strade parallele che, sì vanno
nella stessa direzione, ma non sono le stesse. I ruoli sono diversi e
asimmetrici: a scuola, docente e studente non sono amici, non devono e non
possono esserlo. L’uno è un riferimento per l’altro e non viceversa.
L’insegnante ascolta, l’alunno dice e parla di sé. Accade che attraverso
l’apprendimento, i contenuti che vengono veicolati nelle ore di insegnamento
agiscano da convogliatori, da trasportatori di emozioni, sentimenti, pensieri e
storie di vita che ne rivelano la complessità.
A scuola serve soprattutto saper
fare silenzio: utilizzare una postura di ascolto che invita l’altro a dire
anche qualcosa di più, guardare negli occhi, tendere le mani, appoggiarne una
delicatamente sulle spalle, sorridere e, con questo, sostenere, incoraggiare,
accettare.
Serve rimandare la comprensione
a quando sarà possibile, quando l’alunno ci fornirà le ragioni, quando vi sarà
una maggiore apertura e/o una maggiore capacità di dire e dirsi. C’è e rimarrà
comunque un quid di incomprensibile,
quella parte della storia dell’altro che non ci è dato di sapere e che, non
solo va messa in conto, ma ne reclama il rispetto.
È utile fare domande,
certamente, ma meglio se sono aperte, quel tipo di richieste che spingono a
specificare e a raccontare anche altro (anziché “ti piace giocare?” chiedo
“qual è il gioco che ti piace tanto?”). È importante anche saper rimandare
all’altro il sentimento che sta provando (“vedo che sei stanco”) e utilizzare
la parafrasi (“Se ho capito bene hai detto che ti sei stancato di giocare con
lui”).
E come non sottolineare quanto è
importante recarsi al lavoro riposati e carichi, sia fisicamente che
mentalmente. Tutto ciò che riguarda le controversie e le difficoltà legate alla
professione va lasciato fuori dall’aula, sarà un’altra la sede nella quale
potremo affrontare battaglie legate alla necessità di un maggior
riconoscimento, economico ma anche sociale, dell’essere insegnante.
Quando
entra in relazione con i propri alunni, quando affronta un colloquio con le
famiglie, quando fa parte di commissioni di lavoro, quando progetta e si
confronta con i colleghi, quando predispone attività e pratiche educative, il
docente deve fare spazio nella propria mente e porre al centro lo studente, il
suo apprendimento, il suo benessere, il suo progetto di vita: è un
professionista che mette sul tavolo, davanti a sé tutte le sue competenze di
docente preparato e motivato, capace di farsi portavoce di una necessità
relazionale che riempie il suo bagaglio di docente esperto. In poche parole,
parliamo di professione docente.
(Puoi leggere i post precedenti su questo blog, dedicati a "Io amo la scuola Come insegnare e stare bene in classe")
foto: Elvira Zaccagnino de La Meridiana e le autrici
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