Quante Diana ci sono in Italia? Usciamo a cercarle
di Sara De Carli
Fonte: VITA.IT
...
A quanto ci restituiscono ad oggi le cronache, dalle dichiarazione degli inquirenti e dalle interviste raccolte tra i vicini, anche Alessia - 36 anni, madre della bambina - è un’ombra: una giovane mamma sola, con una bimba nata prematura e partorita in casa, con i parenti lontani e un compagno nuovo che viveva anche lui lontano.
Pare che la sua situazione non fosse nota ai servizi sociali, né alla Caritas né al terzo settore, in un territorio in cui non si può dire che manchino servizi, associazioni, porte a cui bussare. Cosa non ha funzionato allora nella rete dei servizi e prima ancora nella comunità, per far sì che questa bambina e la sua mamma, con il loro bisogno di aiuto, siano state a tutti invisibili?
«Casi così ci rivelano – in modo estremo e tragico – una verità che va al di là della singola situazione: troppe volte, noi adulti trattiamo i bambini come soprammobili. Li appoggiamo da qualche parte nelle nostre vite, mentre andiamo avanti a fare tutto il resto come se loro non ci fossero», ha scritto Alberto Pellai.
«I bambini che muoiono psicologicamente e moralmente per la trascuratezza di genitori malati e solo apparentemente lucidi sono molti di più di quelli di cui si parla in cronaca», ha affermato invece in un post durissimo lo psichiatra Luigi Cancrini. «Folle e cioè gravemente malati» sono per lui non solo Alessia, ma anche «i servizi sociali e sanitari che di quella madre e della sua bambina avrebbero dovuto occuparsi in un paese civile fin dal momento in cui quella povera bambina è nata.
Qualcuno si accorgerà un giorno del fatto che la gravidanza, la nascita e i primi anni di vita possono e dovrebbero essere protetti da una rete capillare di servizi capaci di intervenire nelle situazioni in cui le persone stanno troppo male per chiedere aiuto?».
Situazioni come questa ci impongono di prendere atto che ci
sono famiglie e bambini che cadono nei buchi della rete e che restano
invisibili ai servizi. Ma i servizi non possono stare negli ambulatori e negli
uffici ad aspettare le famiglie. È un lavoro diverso, che richiede la capacità
di essere nella comunità, di presidio delle intersezioni possibili nella
comunità
Paola Milani, referente nazionale del programma PIPPI
È questo il punto: non basta che ci siano i servizi, le associazioni, le porte a cui bussare. Occorre uscire per andare a cercare chi non sa che può chiedere aiuto, chi non sa di aver bisogno di aiuto, chi sta troppo male persino per chiedere aiuto. «Situazioni come questa ci impongono di prendere atto che ci sono famiglie e bambini che cadono nei buchi della rete e che restano invisibili ai servizi. Dobbiamo potenziare i servizi con l’approccio delle presa in carico multidimensionale ma ancor prima occorre che i nostri servizi cambino, che facciano un lavoro di comunità», afferma Paola Milani, ordinaria di Pedagogia Sociale e Pedagogia delle Famiglie a Padova e referente del programma PIPPI. «I servizi non possono stare negli ambulatori e negli uffici ad aspettare le famiglie. È un lavoro diverso, che richiede la capacità di essere nella comunità, di presidio delle intersezioni possibili nella comunità. Occorre frequentare le parrocchie, le associazioni, i nidi, i pediatri di base, avere un raccordo con l'ospedale al momento delle dimissioni dopo il parto, con i servizi di ostetricia territoriali…
Sono trent’anni che
ribadiamo l’importanza del parenting support e dei primi mille giorni per la
vita di un bambino e finalmente i colleghi giuristi stanno iniziando a
riflettere su un diritto al parenting support, cosa che darebbe la possibilità
al programmatore sociale di invidiare un Leps. Ci sono situazioni, specie
quando i bimbi sono così piccoli, in cui ospedali e pediatri sono le uniche vie
possibili per incontrare le famiglie: ma occorre andare nelle case non solo
facendo home visiting e concentrandosi sugli aspetti sanitari del post partum o
sull’allattamento, ma portando anche il parenting support, con azioni di
accompagnamento alla genitorialità, educative, di prevenzione del
maltrattamento. Dove ci sono mamme e bambini, il sociale, l’educativo e il
sanitario devono andare insieme, sempre. Spezzettando le risposte, infatti, non
si coprono i bisogni della famiglie».
Ecco, se qualcuno fosse andato a bussare alla porta di Alessia, sistematicamente, con un programma di home visiting o di parenting support, le cose sarebbero andate lo stesso in questo modo? O le fragilità di Alessia qualcuno le avrebbe viste? Perché no, non esistono soltanto “buone mamme” - che sarebbe utopico - nè esistono soltanto mamme “sufficientemente buone”. Non è un marchio d'infamia, potrebbe essere anche solo una situazione temporanea, che ha soltanto bisogno di un aiuto.
Quello che Paola Milani
coordina, PIPPI, è infatti il programma nazionale per innovare le pratiche di
intervento nei confronti delle famiglie cosiddette negligenti, così da ridurre
il rischio di maltrattamento dei bambini e il conseguente allontanamento dei
bambini dal nucleo familiare d’origine, come forma di messa in protezione. È
partito nel 2011 e in questi dieci anni PIPPI ha lavorato con 10mila famiglie,
con 260 ambiti coinvolti e 10mila operatori formati ad un approccio
multidimensionale che prevede la contaminazione, piuttosto rara, fra l’ambito
della tutela dei minori e quello del sostegno alla genitorialità. «Prevenire
l’allontanamento non significa “non allontanare”», precisa Milani:
«L’allontanamento è una misura di protezione del minore e tutti i dati dicono
che in Italia allontaniamo meno degli altri paesi». Prevenzione significa però
arrivare prima, prima che sia troppo tardi, com’è stato per Diana. Prima che
gli stessi che ieri chiedevano “allontanamenti zero” oggi chiedano “dov’erano i
servizi?”.
Occorre andare nelle case non solo facendo home visiting e
concentrandosi sugli aspetti sanitari del post partum o sull’allattamento, ma
portando anche il parenting support, con azioni di accompagnamento alla
genitorialità, educative, di prevenzione del maltrattamento. Dove ci sono mamme
e bambini, il sociale, l’educativo e il sanitario devono andare insieme,
sempre. Spezzettando le risposte, infatti, non si coprono i bisogni della
famiglie
Paola Milani
Proprio in questi giorni Milani sta avviando il lavoro con
nuovi 400 ambiti territoriali, «grazie agli 80 milioni di euro stanziati nel
PNRR per il finanziamento della prevenzione della vulnerabilità delle
famiglie». La novità dell’estate 2021 infatti è che nel Piano degli interventi
e dei servizi sociali è stato introdotto per la prima volta un livello
essenziale delle prestazioni (LEPS) finalizzato a rispondere al bisogno di ogni
bambino di crescere in un ambiente stabile, sicuro, protettivo e “nutriente”.
Le azioni possibili per dare corpo a questo nuovo Leps - per renderlo
esigibile, come si dice in termini tecnici - sono state individuate in quelle
già sperimentate in questi dieci anni dal programma PIPPI. Che cosa cambia?
«Tutte le famiglie che avvertono una situazione di vulnerabilità - che sia
psicologica, sociale, economica, relazionale, educativa - ora hanno diritto a
un progetto di accompagnamento, con dispositivi sia gruppo che individuali, sia
di natura formale che informale: uno è proprio l’educativa domiciliare», spiega
Milani. «L’ideale sarebbe che questo Leps fosse così conosciuto nella
popolazione che le famiglie siano in grado di richiedere autonomamente
l’attivazione, ma sappiamo che è difficile. Intanto puntiamo sulla formazione e
la capacitazione dei servizi: non possiamo aspettare di arrivare a questi
estremi o renderci conto che la famiglia vive una situazione così grave che
bisogna mettere in protezione il bambino. Occorre lavorare per intercettare
precocemente le famiglie quando i bambini sono piccoli, nella fascia 0-3 anni:
attraverso i pediatri, i nidi, il reddito di cittadinanza».
pubblicato da A. Gatti
foto di NN
Nessun commento:
Posta un commento