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rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

lunedì 31 agosto 2020

Maria Montessori e la morte della pedagogia in Italia


 

Un articolo realistico e inquietante  di Daniele Novara. Oggi su CPP. 

Il metodo di Maria Montessori è pratico e operativo

Nel giorno che ricorda i 150 anni della nascita di Maria Montessori, occorre chiedersi perché il nostro paese ha sempre avuto un rapporto difficile con la più grande pedagogista mai esistita.

Il metodo di Maria Montessori è pratico e operativo: i bambini non mettono crocette su delle schede, ma operano concretamente, a livello sensoriale, con dei materiali, con i quali imparano anche a leggere e scrivere, in linea con le sue indicazioni di far lavorare i bambini liberamente e in maniera attiva.

Niente di più lontano dalla metodologia di Maria Montessori è l’idea che a scuola si vada per ascoltare l’insegnante. Questo è il cardine della pedagogia cosiddetta idealistica tradizionale che, basata sulla magistralità, pretende che ci sia questa infusione di sapere dal maestro, dall’ insegnante o dal professore ai suoi alunni o allievi, in un passaggio che non ha nulla né di reciproco né di concreto e pratico. 

Nella tradizione scolastica italiana l’insegnante sta al centro dell’attenzione, tutti gli sguardi convergono su di lui, come se dovesse tenere sempre, ossessivamente il controllo sui suoi alunni. 

Esattamente il contrario di quella libertà operativa, autodisciplinata, di cui hanno goduto e godono i bambini della Montessori e che anch’io porto avanti nella logica del mio metodo, che ho definito maieutico proprio in virtù del dare il protagonismo ai bambini, per poter vivere esperienze concrete basate sulle loro capacità, le loro risorse e specialmente su una valutazione non più incentrata sulla ricerca dei loro sbagli e dei loro errori, ma su una valutazione focalizzata sulla valorizzazione e sul riconoscimento dei loro progressi.

Non sarebbe stato e non è complicato diffondere il metodo montessoriano nelle scuole italiane. In particolare da circa vent’anni a questa parte, grazie al Regolamento sull’Autonomia Organizzativa e Didattica delle Istituzioni Scolastiche, per avere nelle scuole pubbliche delle classi montessoriane occorre che il collegio docenti approvi tale possibilità e la deliberi. 

Nella realtà, purtroppo, risulta terribilmente complicato ottenere sezioni montessoriane: difficoltà burocratiche e motivazionali mortificano questa possibilità.

Sono assolutamente dell’idea che la pedagogia non sia quel corpus di concetti e teorie filosofiche, o addirittura spiritualistiche, che hanno abbondantemente insegnato, e ancora insegnano, in tante facoltà (da un paio di anni si parla di dipartimenti), ma che sia come l’architettura o la medicina: una disciplina di scienza pratica, che per essere efficace deve raccogliere altre discipline scientifiche, come possono essere l’antropologia, la psicologia o la sociologia, e anche, oggi più che mai, le neuroscienze, per riuscire a realizzare interventi concreti che abbiano un sufficiente valore scientifico. 

La scuola italiana si è allontanata da questo indispensabile connubio e oggi si trova orfana di un impianto scientifico. 

Mi auguro che tutto il legittimo e autorevole profluvio di ricordi e commemorazioni della grande Maria Montessori segni un’inversione di tendenza, per restituire la scuola italiana alla pedagogia di qualità e la pedagogia di qualità alla scuola italiana.


Articolo di Daniele Novara, pedagogista e direttore CPP, pubblicato in occasione dei 150 anni della nascita di Maria Montessori.


pubblicato da Annamaria Gatti

foto di MMCG

MARIA MONTESSORI la più amata dai genitori italiani.

 ...Ma le sue scuole in Italia sono molto poche. Lo sappiamo. E i genitori cercano con affanno talvolta una scuola montessoriana. Conosco famiglie che si trasferiscono pur di offrire questo dono ai figli.  Talvolta le scuole "montessoriane" non rispondono appieno al metodo della dottoressa, non sempre il loro cammino è facile. 

Maria Montessori ha saputo in anni oscuri, trovare e dare un metodo che rispetti il bambino e soprattutto ne faccia un uomo migliore. Il contributo di Novara riproposto sui social,  rinnova quella tensione, spiega  il merito grande di aver studiato e costruito una metodologia ancora oggi "faro" per tutti. 

Amiamo in tanti questa donna forte e controcorrente.  Desidero celebrarla e onorarla  anche oggi, a 150 anni dalla nascita,  nella speranza che molti giovani educatori si avvicinino a questa scelta pedagogica.

Al Gloria omaggio a Maria Montessori – Corriere di Como

Tutto è connesso

L’attualità della pedagogia di Maria Montessori

 di Daniele Novara

 

È sempre imbarazzante per un pedagogista italiano come il sottoscritto, affrontare l’opera e l’esperienza di Maria Montessori, la più grande e importante collega che  sta alle spalle del mio lavoro professionale. Imbarazzante in quanto l’Italia è il suo paese ma è anche un paese dove le sue scuole e il suo pensiero hanno fatto e fanno più fatica a trovare una collocazione adeguata. Nei miei viaggi ricordo di aver trovato le scuole montessoriane o ad ispirazione montessoriana nelle più disgraziate favelas  brasiliane come negli sperduti paesini dell’Irlanda. Così come è stato sorprendente a Perugia nel ‘99 essere invitato a parlare di Educazione alla pace alle direttrice e ai direttori delle scuole montessoriane di tutto il mondo con presenze dal Pakistan, Bangladesh, Australia, Nuova Guinea, tanto per dire i paesi e i continenti più lontani. Non solo, rovistando negli scaffali pedagogici delle librerie di varie città del mondo la Montessori è sempre presente, la stessa cosa purtroppo non si può dire per l’Italia.

Senz’altro per noi educatori italiani l’episodio più curioso si ebbe qualche anno fa quando la rivista WIRED rivelò, nel numero del settembre 2011, che i giovani guru dell’economia digitale internazionale si erano proprio formati da piccoli nelle scuole montessoriane e che anzi quella sembrava essere la loro matrice più forte e significativa. Sto parlando proprio di Jeff Bezos fondatore di Amazon, Jimmy Wales creatore di Wikipedia e soprattutto di Larry Page e Sergey Brin che hanno dato vita a uno dei fenomeni mondiali più innovativi ossia Google, il sistema di connessione tecnologica internazionale. E se si va sui personaggi meno noti, l’elenco dei protagonisti delle nuove tecnologie che stanno rivoluzionando la nostra vita contempla ulteriori rappresentanti dell’apprendimento montessoriano.

I commentatori non hanno esitato a collegare la creatività di questi personaggi alla loro stessa formazione scolastica, alle loro radici infantili in un humus educativo che proprio come voleva Maria Montessori stimola i bambini a tirar fuori il meglio di sé, a creare le condizioni perché possano sviluppare tutto il loro potenziale, tutto quello che hanno dentro.

Forse è il caso di tornare sui propri passi e di riscoprire la modernità, l’attualità, la forza della nostra pedagogista, il significato attualissimo della sua proposta.

Ci sono insomma buone ragioni per tenere Maria Montessori come punto di riferimento per il futuro dei nostri figli, dei nostri bambini, dei nostri ragazzi. Cercherò di dimostrarlo.

 

Sei buone ragioni per tenersi ben stretta la Montessori

 

  1. Perché per i bambini imparare è la cosa più importante

La Montessori crede e imposta tutta la sua attività scientifica nella consapevolezza che i bambini hanno una naturale predisposizione a imparare e che questa loro forza interna debba semplicemente trovare lo spazio e le occasioni per potersi sviluppare e manifestare.

Già nelle sue prime esperienze, quando è ancora molto giovane, scopre che bambini considerati minorati mentalmente, addirittura tenuti negli ospedali psichiatrici degli adulti, posti in ambienti accoglienti e con materiali sensoriali adeguati possono acquisire apprendimenti non solo significativi ma per l’epoca (stiamo parlando dei primi del ‘900) superiori agli stessi bambini delle scuole tradizionali abituati a metodi molto meno esperienziali, più trasmissivi e più passivi.

Maria Montessori applica un’idea molto semplice confermata anche dalle moderne neuroscienze: se imparare è anzitutto un’esperienza occorre che le scuole stesse siano impostate su situazioni di coinvolgimento concreto, attivo, diretto. Non ci può essere una passività recettiva ma una sintonizzazione con il mondo della realtà, del fare, dello scoprire sensoriale.

Mette in atto una rivoluzione che è semplicemente la conferma metodologica di quello che ciascuno di noi fin da piccolo vive, ossia l’imparare facendo, l’imparare nella scoperta, nel poter sbagliare e nel poter ripetere fino a raggiungere una vera e propria competenza.

Racconta Lorella Boccalini, formatrice pedagogica del CPP (Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) che ha scelto per le sue figlie le scuole montessoriane: “Mi convinceva l’idea che si potesse lasciare ad ogni bimbo il tempo per sperimentare il proprio modo di apprendere, che anzi venisse incoraggiato, attraverso l’uso del materiale di italiano e di matematica a disposizione nel lavoro libero, a concentrarsi, a trovare il proprio interesse dentro di sé, ad esercitare l’impegno non arrendendosi davanti all’errore, ma avendo il tempo di riprovare senza essere giudicato, cercando le proprie strategie anche per fare le cose più impegnative. Imparando e essere rispettati e a rispettare gli altri. Mi bastava pensare che Irene sarebbe stata in un ambiente ricco di proposte ma non competitivo, dove avrebbe alimentato l’interesse, che si vede nei bambini, per ciò che le veniva proposto e avrebbe esercitato la sua passione e la sua volontà, dove lo scambio tra bambini anche più grandi o più piccoli l’avrebbe aiutata ad imparare ma anche ad avere interesse per gli altri, a chiedere ma anche ad aiutare i compagni in difficoltà, a prendersi cura delle cose comuni”.

Il suo metodo in altre parole asseconda le naturali tendenze infantili e umane ad assorbire l’esperienza e a trasformarla in nuove capacità.

 

  1. Non si basa sulla correzione ma sulla libertà

L’idea che i bambini sbagliano e fanno le cose sbagliate, che sono capricciosi, disturbatori, oppositori, distratti, incapaci, opportunisti, provocatori, è dura a morire. Immaginiamo allora l’epoca di Maria Montessori quando la concezione stessa del bambino è ancora circondata da un alone di incompiutezza, di deficitarismo, di mancanza, quando i metodi sono terribilmente crudeli, legati anche all’indigenza (pensiamo al lavoro minorile, alle punizioni corporali nelle famiglie e nelle scuole, alle fasciatura dei neonati). Quanti genitori ancora oggi andando ai colloqui con gli insegnanti si sentono ripetere “suo figlio potrebbe fare di più; suo figlio non è concentrato; suo figlio è molto distratto; suo figlio non esegue; non ascolta”. Tutto questo incalzare di giudizi negativi sui bambini trova nella pedagogia montessoriana il suo definitivo superamento.

Non si tratta di correggere ma di far nascere. “Chi tenta di correggere il bambino con la forza e con il peso della propria autorità si accorgerà ben presto di aver fallito nel suo intento. Il bambino risponderà in modo forte, esplicito perfino violento”.(Il nuovo adulto, Quaderno Montessori n.73, Castellanza, VA, primavera 2002, pag.61)

Si tratta per Maria Montessori di sostenere il bambino senza invadenza, senza oppressione per consentire alla sua forza vitale di esprimersi creando l’ambiente e le connessioni metodologiche adeguati. Si tratta di aiutarlo in maniera indiretta piuttosto che indicargli continuamente quello che è giusto e quello che è sbagliato, quello che deve fare e quello che non deve fare. La pedagogia correttiva purtroppo resta ancora molto presente nei nostri immaginari sia in famiglia che nelle scuole con conseguenze devastanti per il potenziale di crescita infantile.

Credo che l’aspetto più rivoluzionario del Metodo Montessori sia proprio questo: sospendere ogni forma di correzione infantile, di intervento diretto invasivo nei confronti di quello che i bambini stanno facendo, lasciando che siano loro stessi a fare le scoperte necessarie. È una sottolineatura che ricorre anche negli scritti di Grazia Honnegger Fresco, grande pedagogista italiana “Non occorre che l’adulto metta costantemente in evidenza gli sbagli e li corregga. Anzi, l’atteggiamento giudicante è un attacco alle capacità maieutiche dell’essere umano, all’autostima del bambino”.(G. Honnegger Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, l’ancora del mediterraneo, Napoli-Roma, 2007, pag.163)

Il seguito al link:

 https://www.montessoribs.it/tutto-e-connesso-lattualita-della-pedagogia-di-maria-montessori-di-daniele-novara/?fbclid=IwAR2j6qkh49HEMGtaWbphZ7bPwd_ydvbquOkqcS8jIZjp-82rgJ3ASz3MI9U

Associazione Montessori Brescia, 2016

pubblicato da Annamaria Gatti

Foto: da Corriere di Como

martedì 25 agosto 2020

Riprendere la scuola in sicurezza... anche pedagogica

Dal Blog del Centro Ermes  si segnala il quinto contributo conclusivo  della pedagogista  e insegnante Annamaria Giarolo sulla gestione del rientro a scuola. 

Responsabilità e adeguata competenza pedagogica devono affiancare le disposizioni sanitarie in questo rientro difficile per i nostri bambini e i nostri ragazzi. 

Impossibile dimenticare l'aspetto emotivo e socioaffettivo. Impossibile trascurare l'alta missione della scuola.

                                      

                                  NON DI SOLO BANCHI VIVE LA SCUOLA

"Se servono spazi, probabilmente a livello locale le risorse ci sono per permettere un distanziamento che sia rispettoso di tutti e soprattutto della missione educatrice della scuola.

Ma qui emerge un altro problema: la suddivisione delle classi utilizzando il criterio delle competenze, cioè suddividere una classe per gruppi di livello!

Purtroppo, sembra che, in alcuni ambienti scolastici, sia una scelta molto gettonata. Su quale grande teoria pedagogica sia fondata non è dato saperlo (o forse torniamo all’amato libro di De Amicis, fine secolo XIX?).

Che i bambini imparino con gli altri, nella relazione con i pari e in un contesto che sostiene e rafforza l’autostima l’hanno sostenuto nella teoria, ma anche nella pratica, i grandi del socio-costruttivismo: Piaget e Vygotskji, solo per citarne qualcuno. E perché no, anche Don Milani che nel suo I care riassumeva la necessità di pensare all’altro come a me stesso.

Allora come posso credere veramente che alunni svantaggiati traggano frutto dallo stare tra loro sapendo di essere in difficoltà e che non ce la faranno mai a raggiungere i compagni?

Torniamo alle classi differenziali? Qualcuno sostiene che, a forza di “bastonate” (bocciature, note sul diario, voti sempre più bassi, …), un alunno/studente dovrebbe trovare la motivazione per impegnarsi e faticare: anche questa teoria trova poco fondamento nella ricerca attuale, piuttosto porta dritto verso la dispersione scolastica.

Cosa fare dunque se si dovranno dividere le classi?

Si formano gruppi di lavoro, eterogenei, che si ricompattano di tanto in tanto nella piccola comunità classe per condividere risultati e obiettivi raggiunti

Chi ha più competenze si mette alla prova nel sostenere il compagno che ne ha bisogno e, accade sempre, sarà poi uno scambio reciproco perché i punti di forza di chi è svantaggiato emergono e diventano una spinta per migliorarsi, entrambi e l’intera comunità.

Fiducia e rispetto, sostegno e collaborazione, motivazione ed empatia, clima di classe positivo per star bene insieme e mettere le basi per una società che sappia riconoscere, accettare e valorizzare le diversità.

Non è forse questa la missione educatrice della scuola?

Annamaria Giarolo


Consultabili gli interventi precedenti al sito. 

https://www.centroermes.co/post/non-di-soli-banchi-vive-la-scuola-parte-prima


Annamaria Giarolo è coautrice del volume

"Io amo la scuola Come insegnare e stare bene in classe" ed. La meridiana, Molfetta 2018

Io amo la scuola

pubblicato da Annamaria Gatti

foto da Centro Ermes


sabato 15 agosto 2020

Il Magnificat narrato ai bambini. Maria una di noi.

Da "Una Mamma di Galilea. Il rosario narrato ai bambini." di Annamaria Gatti, ed. Effatà.


E’ MAGNIFICO!


Maria ripensava alle  parole dell'angelo:  lei sarebbe diventata la mamma di Gesù e anche Elisabetta aspettava un figlio! Evviva!  Doveva raggiungere la cugina incinta che era anziana, per gioire con lei e aiutarla.


“Stai attenta Maria e salutami Elisabetta.” le raccomandò Anna, come fanno tutte le mamme. Salì sull’asinello e quando gli allungò una carezza sul collo, l’animale zoccolò allegramente verso la montagna. La cittadina di Elisabetta dista  a soli sei chilometri da Gerusalemme.


Quando Maria aprì la porta Elisabetta esultò di gioia e l'abbracciò. Ma ecco all’improvviso una commozione profonda le illuminò gli occhi. “Elisabetta, ti senti forse poco bene?” chiese  allarmata Maria, vedendo che la cugina portava una mano sul cuore. Ma lei così rispose: “Oh, Maria, benedetta fra tutte le donne!  E' un onore per me  salutare la madre del mio Signore!”


“Come fai a sapere che aspetto il Figlio di Dio?” chiese sottovoce Maria.


“Vedi, appena mi hai salutato il mio bambino ha fatto una gran capriola: anche lui ha riconosciuto la madre del Figlio di Dio.”

Allora Maria esclamò:“E’ magnifico ciò che fa il Signore! Anche i bambini non ancora nati possono distinguere nel grembo della loro madre lo splendore della creazione, riconoscere le nostre voci e percepire le nostre carezze!” E continuò lodando Dio e tutte le cose belle che aveva fatto per gli uomini più deboli, per il suo popolo...

Poi lo sguardo di Maria sfiorò la casa di Elisabetta e visto che c’era da fare, accompagnò la cugina a sedersi presso la cesta del cucito e lei si mise a riordinare. “Cosa fai Maria? Devi riposarti dopo il viaggio!” protestò Elisabetta.“Oh, no, mi sento piena di forza. Continua pure  a cucire  la  camiciola per il bambino, è molto bella e dovrai insegnarmi a cucirne una per Gesù".
Nessuna delle due donne si era accorta che un angelo del Signore, accovacciato sul nudo pavimento, sorrideva divertito. Maria rimase con  Elisabetta  fino alla nascita di Giovanni, poi detto il Battista, cugino di Gesù. Chissà quali erano i loro giochi preferiti  quando le loro mamme si scambiavano qualche visita e li vedevano crescere in sapienza e bontà!




Siete in tanti a sfogliare le pagine pubblicate sul blog  di questo libro, in questi anni e da tutto il mondo. Un successo inspiegabile, sotto un certo punto di vista. Ormai conto  oltre 30.000  visite ai racconti  dell'annunciazione, della visita ad Elisabetta, della Resurrezione. Su Facebook una breve  presentazione video. Grazie allo staff di Effatà.






https://www.facebook.com/EffataEditrice/videos/342828166711886
pubblicato da Annamaria Gatti




sabato 1 agosto 2020

Saper chiedere aiuto, anche questo è diventare saggi! Favola


ENEA CHIEDE AIUTO


Fonte: Città Nuova agosto 2020 
Favola di Annamaria Gatti
Illustrazione di Eleonora Moretti

C’era  una volta l’apprendista cavaliere Enea, giovane coraggioso e di gran cuore.
Un giorno il compito dei  futuri cavalieri era un cosetta da nulla: niente draghi o draghetti,  niente mostri o giganti orribili.

 I giovani dovevano  solo liberare il villaggio Felix dal virus DIVOC 91 che uccideva i bambini.
Ora… che volete che sia liberare un villaggio da un virus, per gente abituata a salvare principesse, paesi interi, castelli e regni?

Ma il compito era apparso arduo: chi era partito corazzato e con la spada, chi con la lancia, qualcuno con una terribile balestra… ma tutti erano tornati malconci, perchè il mostriciattolo era invisibile… e affamato di cuori buoni.
“Enea, gli altri non ci sono riusciti e tu cosa pensi di fare?” aveva chiesto il Gran  Maestro Cavaliere.
“Ora ci penso, Maestro,  poi agirò come farebbe un cavaliere.”

Enea si ritirò nelle stanze della torre a est e nel silenzio, pensando e ripensando, con calma, cercò la soluzione: CHIEDERE AIUTO ALLA PERSONA GIUSTA.
 “Gran Maestro, per sconfiggere questo mostro invisibile devo chiedere aiuto al medico cerusico del Regno di Fortebraccio, forse lui potrà indicarmi la soluzione che non trovo.” E partì.

Arrivato finalmente al castello di Fortebraccio dopo un viaggio faticoso, annunciò:  “Sono Enea, giungo a chiedere aiuto al vostro sapiente”.
Il medico arrivò con barbone, cappello stellato e ampio mantello e ascoltò Enea. Poi ordinò:  “Studiamo insieme i miei libroni e troviamo il rimedio a tanto dolore.”  Sul far della sera partirono alla ricerche delle erbe e delle pietre, utili a preparare una pozione di guarigione. Passarono due notti e due giorni nella foresta, senza dormire e senza mangiare.

Enea lottò con un orso e una gigantesca anaconda. Entrò nella grotta delle pietre accecanti e delle stalagmiti velenose, sconfisse le terrificanti volpi volanti, ma alla fine trovò tutto ciò che serviva. E la pozione fu preparata.

Quindi tornò nel suo regno e arrivò a Felix, dove subito andò dalle bambine e  dai bambini,  che presero la pozione-medicina e ascoltarono le sue avventure  a bocca aperta.

“Quale è stata l’avventura più difficile?” gli chiese una bambina affascinata.
“Chiedere aiuto ad altri!” rispose Enea sicuro.
 “Bravo!” osservò il Gran Maestro. “Per essere cavalieri occorre anche saper riconoscere di non poter risolvere tutto e cercare aiuto e poi darsi da fare!”
E questa è un’altra avventura dell’apprendista cavaliere Enea.


pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it