Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

giovedì 27 ottobre 2022

Sei pronto, sei pronta... per una nuova favola?


 

Ecco l'illustrazione di Eleonora Moretti! 

...perchè è bello attendere e chiedersi: cosa racconta?

Cosa succederà?

Di chi si parla? 

Ci saranno animali o persone?

E ci sarà una pagina colorata?

... E chi me la leggerà?

Siete tipi curiosi?

Sarete premiati...

Scrivetemi 

firmato:

Annamaria Gatti che pubblica

gatti54@yahoo.it


martedì 25 ottobre 2022

Educazione, scuola, merito e dintorni e libro CUORE: ancora una volta Luigino Bruni apre scenari profondi

Avvenire del 22 ottobre ci propone un nuovo appuntamento con Luigino Bruni 

che ci emoziona ancora con i suoi editoriali. 

Questo è l'ottavo per la serie  RADICI DI FUTURO, non perderei l'occasione di leggermi i 7 precedenti. 

Attenzione! Se avete amato/odiato CUORE di De Amicis la prospettiva in questo editoriale è assolutamente una sorpresa.


LA MEDAGLIA DI UN ALTRO MERITO 

Il libro Cuore è un libro sulla scuola, e quindi non è un libro sul merito. La scuola, tutta la scuola, non è stata mai fondata sul merito. Se la guardiamo da lontano e in superficie, vediamo i voti, qualche bocciatura, e pensiamo che la scuola somigli alle imprese: i voti come i salari, il profitto scolastico come l’avanzamento di carriera. Ma questa è una visione troppo distante e quindi sbagliata della scuola (e delle imprese). L’ideologia meritocratica che sta cercando con successo di occupare anche la scuola si basa sul dogma che i talenti siano meriti e quindi chi ha più talento deve essere premiato di più. Ma tutti sappiamo che questo dogma è un imbroglio, o quantomeno è illusione, per la società e ancor più per la scuola. Perché i talenti sono doni, e le nostre performance nella vita dipendono dai talenti-doni ricevuti, molto poco dai meriti (perché anche la mia capacità di impegno è dono). Quale merito per essere nato intelligente, ricco, persino buono? Per questa ragione la scuola si è ispirata a valori non solo diversi da quelli della meritocrazia ma opposti.

La scuola di tutti e per tutti è stata pensata e voluta per ridurre le diseguaglianze sociali e naturali che la meritocrazia, cioè l’ideologia del merito, invece aumenta. Tutti i bambini e le bambine vanno e devono andare a scuola, non solo i meritevoli. Tutti devono essere messi nelle condizioni di poter fiorire e raggiungere la loro eccellenza, non solo i più meritevoli. Tutti hanno diritto a cura, stima, riconoscimento, ammirazione, dignità anche se non hanno molti meriti o se ne hanno meno degli altri. Inoltre, la scuola è un meraviglioso giardino con fiori di talenti diversi: «Precossi, ti do la medaglia. Nessuno è più degno di te nel portarla. Non la do soltanto alla tua intelligenza e al tuo buon volere, la do al tuo cuore, al tuo coraggio, al tuo carattere di bravo e di buon figliolo. Non è vero – soggiunse voltandosi verso la classe – che egli la merita anche per questo? Sì, sì, risposero tutti a una voce». Precossi era figlio di un fabbro che beveva e ogni tanto lo picchiava. Ma anche lui ebbe la sua medaglia.

Non era la medaglia di Derossi, il primo della classe. Era la medaglia di una scuola diversa. Dopo De Amicis è arrivata Maria Montessori che ha eliminato i voti, e quindi don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana. La democrazia è stata una moltiplicazione delle medaglie di Precossi, che oggi si chiamano inclusione scolastica e insegnanti di sostegno; perché abbiamo imparato che nella vita dei bambini non ci sono solo i meriti: c’è la vita. Il giorno in cui qualcuno ci convincerà che anche la scuola deve essere fondata sulla meritocrazia inizieremo a dare medaglie tutte uguali e sempre agli stessi alunni, faremo classi e scuole speciali per i demeritevoli, le diseguaglianze esploderanno e la democrazia avrà finalmente ceduto il passo alla meritocrazia, che è il principale tentativo di legittimazione etica della diseguaglianza.

In Cuore si parla molto anche di lavoro. In quell’Italia lavoravano i poveri. Nei campi, nelle officine, nelle fabbriche non c’erano i ricchi, gli avvocati e i professori. Cuore ha donato parole molto buone sul lavoro degli operai e degli artigiani. Così scrive suo padre a Enrico: «Quando tu sarai all’Università o al Liceo, andrai a trovare i tuoi compagni di classe nelle botteghe o nelle officine… ; disprezza le differenze di fortuna e di classe, sulle quali i vili soltanto regolano i sentimenti e la cortesia». La neonata Italia stava provando a prendere sul serio quel principio di fraternità, caro anche a Mazzini, e sperava che le persone appartenenti a classi sociali diverse potessero imparare a scuola a sentirsi fratelli e cittadini prima delle molte diversità.

Il muratorino. È figlio di un muratore, uno dei compagni più amati da Enrico – che invece era di famiglia benestante. Un giorno lo invita a casa: «Il muratorino è venuto oggi, tutto vestito di roba smessa da suo padre, ancora bianca di calcina e di gesso». Cuore ci mostra spesso il muratorino nel suo gesto caratteristico e più simpatico: era un fenomeno a fare il “muso di lepre”, una risorsa relazionale che usa ogni tanto per trasformare un rimprovero severo del maestro in un sorriso corale. Parlando e giocando, il muratorino «mi disse della sua famiglia: stanno in una soffitta, suo padre è alle scuole serali a imparar a leggere, sua madre è biellese». La descrizione della scuola serale degli operai è tra le pagine più belle: stavano «a bocca aperta a sentire la lezione». In quegli uomini affamati di sapere ho rivisto i ragazzi incontrati nelle scuole dell’Africa e dell’Asia, con la stessa fame di sapere e di una vita migliore. Fanno poi merenda insieme, sul sofà: «Quando ci alzammo, mio padre non volle che ripulissi la spalliera che il muratorino aveva macchiata di bianco con la sua giacchetta». De Amicis conclude l’episodio con un brano di una lettera del papà di Enrico, dove troviamo parole sul lavoro tra le più belle della nostra letteratura: «Lo sai, figliolo, perché non volli che ripulissi il sofà? Perché ripulirlo era quasi fargli un rimprovero d’averlo insudiciato. … E quello che si fa lavorando non è sudiciume, è polvere, è calce, è vernice, è tutto quello che vuoi; ma non sudiciume. Il lavoro non insudicia: non dir mai di un operaio che vien dal lavoro: è sporco». C’erano anche queste pagine nell’anima collettiva degli italiani che li fecero capaci di scrivere decenni dopo: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» (Articolo 1).

I poveri. È un’altra lettera scritta dal papà a Enrico: «Non abituarti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano». Noi invece ci siamo perfettamente abituati alla miseria del mondo; poi abbiamo capito che questa nostra indifferenza è diventata una nuova grande povertà del nostro tempo che ci impedisce di soffrire per la povertà degli altri per atrofia dell’anima. Non soffriamo più per la miseria perché ci siamo immiseriti moralmente noi.

Poi, come un arcobaleno inatteso, dentro queste parole sui poveri troviamo parole che mi hanno trafitto l’anima e l’intelligenza per la loro bellezza e verità: «I poveri amano l’elemosina dei ragazzi perché non li umilia, e perché i ragazzi che hanno bisogno di tutti, somigliano a loro». Questa frase è un distillato di un mare di sapienza. Quelle poche volte che un bambino o un ragazzo riesce ad avvicinare e a incontrare una persona in povertà – evento sempre più raro, perché la separazione dei ragazzi dalle povertà è uno dei tratti del nostro tempo impoverito che pensa che immunizzare i figli dalle povertà della vita sia per loro una ricchezza –, quegli incroci di sguardi è tra gli spettacoli più mirabili. Si crea una meravigliosa improbabile fraternità. I bambini, le bambine, i fanciulli e qualche volta i giovani non distinguono gli adulti tra ricchi e poveri: per loro sono tutti “uomini”. Certo, vedono le differenze nell’apparire, ma è come se non le vedessero, perché vedono l’anima. Quindi non provano quel senso sbagliato di compassione che umilia il compatito. Dall’altra parte, il “povero” (non amo usare la parola “povero” in modo generico) sa che il bambino è povero come lui – «hanno bisogno di tutti» – e così sperimenta con lui una vera uguaglianza. Nella mia infanzia sono stato amato da molti poveri, che mi hanno arricchito con la loro povertà, senza l’intenzione di volermi amare, semplicemente essendo quello che erano. E anche io ho amato loro con la mia infanzia e fanciullezza naturalmente fraterna e assolutamente sincera. Allora è vero che solo i bambini possono dare o fare qualcosa per i poveri senza umiliarli, insieme a quegli adulti che hanno lottato tutta la vita per salvare qualche dimensione della loro infanzia - da adulto mi è molto difficile stare da fratello accanto a un “povero”, ma quando accade è bello come nei miei giorni di fanciullo: «L’elemosina di un adulto è un atto di carità; ma quella di un fanciullo è insieme un atto di carità e una carezza: capisci?». Sì, lo capiamo.

L’officina. Precossi, un altro compagno, è figlio di un fabbro che suo figlio riuscì a redimere da una vita sbagliata grazie alla sua medaglia. Il ragazzo «studiava la lezione» sopra una «torricella di mattoni, col libro sulle ginocchia». Il padre invece lavorava: «Alzò un grosso martello e cominciò a picchiare una spranga, spingendo la parte rovente ora di qua ora di là tra una punta dell’incudine e il mezzo». E intanto «il suo figliolo ci guardava, con una certa aria altera, come per dire: “Vedete come lavora mio padre!”».

L’orgoglio per il lavoro dei genitori è come il pane buono dei bambini e dei ragazzi. La stima per il mondo e per gli adulti inizia stimando nostro padre mentre lavora – che i genitori lavorino è importante anche per la stima dei nostri ragazzi: i figli sanno anche che il papà e la mamma sono buoni e bravi anche se non lavorano, ma è compito di una buona società mettere ogni persona nelle condizioni di poter lavorare anche perché i figli possano dire con aria altera: “Vedete come lavora mio padre!”. I figli e le figlie sono orgogliosi per ogni tipo di lavoro dei genitori. Neanche qui distinguono i lavori che la società considera prestigiosi da quelli più umili, perché è la bellezza dei loro genitori a far belli i lavori che fanno – per i bambini i genitori sono la cosa più bella del mondo. Ecco perché forse non c’è dolore più grande di quello che prova un bambino quando sente umiliare il lavoro dei suoi genitori. È una profanazione nel cuore. La meritocrazia è anche una fabbrica di umiliazione di molti lavoratori e dei loro figli.

Da grandi, e al momento opportuno, i bambini capiranno che non tutti i lavori sono uguali, non tutti sono degni, non tutti sono pagati in modo giusto. Ma da bambini devono solo poter dire alteri: “Vedete come lavora mio padre!”.

l.bruni@lumsa.it


pubblicato da Annamaria Gatti

illustrazioni: studenti.it - antichi libri online


lunedì 24 ottobre 2022

Appello: traghettarli oltre questo tempo (con un aiuto)

 



Come sta l'infanzia e l'adolescenza oggi? 
Non bene, secondo variabili molto articolate. 
Bambini e ragazzi in sofferenza e i loro genitori, chiedono consapevolezza e onestà politica e sociale. 

I tavoli politici sul tema,  in cui sono stati ascoltati consulenti autorevoli, con tanto di ricerche e dati inequivocabili, hanno restituito una ben chiara visione dello stato delle cose: bambini e adolescenti soffrono. 
E il disagio va letto, riconosciuto e aiutato con prassi virtuose e urgenti.

Confidiamo in proposte seriamente orientate a supporti psicologici alle famiglie, ai loro bambini e ai ragazzi,  anche in termini preventivi. 
E' l'ora di dimostrare una attenzione seria e grave ai giovani che stanno soffrendo più di tutti dell'assenza di relazioni, di scuola, di lavoro, di occupazioni, di sport, di musica, di scambi, di viaggi, di manifestazioni vitali. Assenze supportate da impegno e testimonianza tenace dalle famiglie, con le loro fragilità.  
E' il tempo di dare un aiuto generoso con il supporto psicologico facilmente fruibile e capace di individuare il bisogno anche nel non detto. 
Occorre liberare le forze capaci di professionisti dediti e appassionati all'età evolutiva, che si affianchino a famiglie e insegnanti.

La domanda è chiara. Attendiamo tutti dai  Ministri preposti una risposta autorevole e piena. 
Poi sappiamo che i nostri ragazzi e i nostri bambini sono capaci di grandi riprese e hanno insite grandi possibilità, ma nostra è la responsabilità e il dovere di ascoltarli e di accompagnarli.



pubblicato da Annamaria Gatti
foto di MG

lunedì 17 ottobre 2022

Recensione briosa... fra un'Arancia e uno Spaccamondo. Un libro firmato Guido Quarzo

 

                                            Recensione di Annamaria Gatti                                                          


                                                                Guido Quarzo

                                                                        L’Arancia

                                                           Illustrazioni di Cecco Mariniello

                                                             Editrice Città Nuova

L’amato scrittore Guido Quarzo è ospite della collana I nuovi colori del mondo dell’Editrice Città Nuova con un intrigante libretto illustrato, “L’Arancia” e la lettera maiuscola del nome comune del frutto la dice lunga sul ruolo che un’apparentemente innocua arancia si prende in questo racconto.

Certo, è un libro per bambine e bambini… ma che sa parlare anche al cuore di un adulto, che bambino in fondo non ha mai rinunciato ad esserlo. Incuriosisce la protagonista, che senza proferir parola,  conduce tutta la narrazione. Si fa bella, la più bella, per poi rotolar via deludendo chi la possedeva, cioè un improbabile zio e uno spassoso nipote. Ritornerà a loro, solo dopo aver accompagnato un generoso e romantico pastore, dopo aver volato nel becco di un merlo ladruncolo e sbadato, fino al colpo magistrale della storia. 

Lei, l’aranciapiùbelladelmondo, precipita proprio sulla zucca del generale Spaccamondo, che protesta, costretto ad ascoltare  gli apprezzamenti dei suoi soldati e ad  immaginare marmellate, insalate e torte e spremute di nonne, fidanzate, sorelle  e mogli lontane.

E brava la nostra Arancia, dal colore vivo e dalle flessuose foglie verdi!  Nessuno più vuol fare la guerra, ora che la nostalgia di affetti e cose buone ha ridato il coraggio, quello vero! ai soldati di Spaccamondo. Se ne tornano infatti tutti a casa,  i coraggiosi disertori della pazzia della guerra.

Purtroppo anche questi sono i  tempi  per richiamare l’attenzione, sbiadita per qualcuno, che la follia bellica può essere capita vivendo la bellezza di ciò che ci circonda. Ed è importante che lo facciano scrittori e artisti di ogni espressione d’incanto.

Le illustrazioni dell’artista pluripremiato Cecco Mariniello sono generose e divertenti, l’impaginazione gradevole e, per scelta editoriale, anche questa nuova pubblicazione gode della cura grafica per l’agevolazione alla lettura. Una scelta di qualità e di attenzione al lettore bambino, qualsiasi siano le sue abilità di lettura e gli scogli che deve superare per godersi un buon libro. Ma anche una risposta al desiderio di leggiadria che ci spinge a sfogliare un altro libro.

Comunque nei prossimi giorni, gustare un’arancia non sarà più la stessa cosa…

Ma ascoltate cosa ci dice l'autore, che, fortunato lui,  registra in un posto incantevole...

https://www.facebook.com/inuovicoloridelmondo/videos/1877911079215281


pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it


sabato 15 ottobre 2022

Adolescenti e il balsamo del riconoscimento

 


La ferita del pregiudizio e il balsamo del riconoscimento   è un intervento dell'autrice Cristina Buonaugurio, psicologa e psicoterapeuta, che già è stata ospitata i questo blog per altri  contributi molto significativi. Mi ha colpito la profondità del suo trattare un tema estremamente complesso e attuale. Ci aiuta a mettere a fuoco un aspetto essenziale della relazione con gli adolescenti e ci rassicura che i ragazzi sono davvero molto seri... quando si rapportano con gli adulti. E si aspettano ciò che è giusto e doveroso: essenzialmente essere riconosciuti per  quel che sono. Glielo dobbiamo... in una società dove troppo spesso scopriamo come  li usi e li ignori. 

FONTE: CITTÀ NUOVA  on line    13 ottobre 2022

Il riconoscimento degli altri è molto importante per ciascuno di noi, ma soprattutto per gli adolescenti, che lo vivono con sofferenza. Come aiutarli.

Se c’è una cosa che ferisce profondamente gli adolescenti questa è il pregiudizio. Innanzitutto il pregiudizio degli adulti, i quali li ritengono ingestibili, problematici, inadeguati ad affrontare la complessità della vita, in vario modo incompleti, se non del tutto sbagliati. Ma anche il pregiudizio dei coetanei, sempre pronti a cogliere ciò che rende un ragazzo diverso dal gruppo, come se la differenza possa rendere una persona da meno rispetto agli altri. Dovunque alberghi l’incapacità di cogliere la completezza di chi si ha di fronte si crea una ferita. E per gli adolescenti questa ferita, anche se nascosta per difesa, è decisamente profonda. 

Potremmo definire il pregiudizio come una pre-comprensione dell’altro, basata su quello che conosciamo di lui o che altri ci hanno detto a suo riguardo, la quale si trasforma in una specie di fretta che ci impedisce di comprendere quello che realmente una persona sta mostrando di sé, perché pensiamo di sapere già tutto ciò che c’è da sapere. Questo significa che il pregiudizio ci impedisce di incontrare l’altro, dal momento che ci mette in contatto solo con l’idea che noi abbiamo di lui e non con la sua realtà. Nelle relazioni questo equivale a mettere un muro tra noi e loro, un muro che impedisce di vedere gli altri per ciò che autenticamente essi sono. 

La presenza di un simile muro rappresenta un grande problema nell’adolescenza, perché a quell’età forse ancor più che in altre i ragazzi hanno bisogno di essere rispecchiati da chi gli sta intorno per capire chi sono e chi possono diventare. Il compito degli adulti, infatti, è quello di essere specchi che rimandano l’immagine dei più giovani per rendere loro possibile comprendere cosa stanno diventando e a cosa possono aspirare. Ma se quegli specchi, invece di essere limpidi, riflettono un’immagine distorta dal pregiudizio, diventa impossibile definire in modo sano la propria identità. Il pregiudizio è infatti una semplificazione – distorta e parziale – della realtà che non potrebbe mai contenerla nella sua interezza e che, soprattutto, mai e poi mai potrebbe rispecchiare la realtà in continuo mutamento di chi sta ancora esplorando il mondo e se stesso nel mondo.

Il bisogno di rispecchiamento da cui sono caratterizzati bambini e ragazzi è l’espressione di quel bisogno di riconoscimento che denota ciascun essere umano, giovane o anziano che sia. A qualsiasi età, infatti, ognuno di noi ha insita dentro di sé la necessità di instaurare contatti interpersonali in cui possa sentirsi visto e compreso per ciò che autenticamente è, così da poter dare forma alla propria identità. Dal momento che la natura umana è essenzialmente relazione, non basta la consapevolezza di sé che ognuno di noi si costruisce nel tempo per sentirci completi ed appagati: abbiamo bisogno di essere riconosciuti dalle altre persone.

 Ciò vuol dire che l’identità di una persona non è mai un dato immediato, bensì il risultato dell’incessante dialogo tra il sé e l’altro: dare forma alla propria identità implica inoltre riconoscere l’altro che è in dialogo con me, riconoscerne il valore, perché per conoscere me stesso ho bisogno della sua mediazione. Chiaramente l’unica relazione in grado di rendere possibile tutto questo e di permetterci di realizzare la nostra identità è quella che Martin Buber definiva come relazione “Io-Tu”, in cui costituiamo per l’altro una persona dotata di dignità e di sentimenti propri, e non un oggetto privo di valore.

Come vivere tutto questo con i ragazzi che accompagniamo a vario titolo nella crescita, così da fornire loro il balsamo capace di curare le ferite del pregiudizio? 

Imparando a vederli per ciò che autenticamente sono, senza tralasciare quello che non rientra nei nostri schemi o nelle precomprensioni che abbiamo su di loro, perché essi saranno sempre più di quello che possiamo “com-prendere”. Imparando a riconoscerli per ciò che sono, rimandando loro in modo limpido e senza distorsioni tutto quello che vediamo della loro essenza affinché possano vederlo anche loro. Imparando ad accettarli per quello che sono, il che non vuol dire evitare di correggerli se fanno qualcosa di inadeguato, bensì sapere distinguere tra il comportamento da modificare e la persona, la cui essenza è sempre valida.

 Ma soprattutto imparando ad amarli per come sono, senza pretendere (più o meno consapevolmente) che cambino parti di sé per adeguarsi alle nostre aspettative e ai nostri desideri. 

Il tutto senza aver paura di metterci in gioco autenticamente, evitando di fingere di essere qualcosa che non siamo, perché per diventare fonte di quel riconoscimento di cui i ragazzi hanno bisogno è necessario che prima di tutto veniamo accettati e riconosciuti noi come degni di fiducia. E con la fiducia dei ragazzi non si scherza!

martedì 4 ottobre 2022

La scuola è fatta dagli insegnanti e dai dirigenti, e fanno la differenza! Un evento WE CARE EDUCATION

Charlie Mackesy è sempre fonte di emozioni. 
determinazione coraggio speranza
 
Sentire alcuni docenti preoccupati di quanto sta avvenendo non mi sorprende, i tempi sono duri ed usciamo da anni difficili. 
L'orizzonte non è dei più sereni, appunto per questo credo fermamente che amare la scuola, perchè si amano i ragazzi, che meritano di essere accolti e di vivere il più possibile serenamente con adulti di riferimento forti e competenti, e capaci di condivisione questi anni già segnati da durezze, sia un imperativo e un corretto approccio per il benessere di tutti, bambini, docenti, famiglie. 
Trafficare talenti con coraggio e determinazione è possibile!

Allora ... Avanti con la ricerca delle strategie che possono far stare meglio anche i docenti e per questo l'appello che viene rivolto da più parti si estende ai dirigenti, che fanno la differenza! 

... In proposito...

Mi piace ricordare un evento interessante proposto  il 22 e il 23 ottobre in Italia a Loppiano,  per i docenti: protagonisti dello scambio di esperienze, altri docenti, finalisti di Global Teacher Prize! Questo il link dove prendere visione nel dettaglio la proposta. Io sarò presente come coordinatrice di alcuni momenti dell'evento:

https://www.focolaritalia.it/2022/09/14/corso-di-formazione-cosa-fanno-gli-insegnanti-fanno-la-differenza/