Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

venerdì 29 luglio 2022

Le avventure di Uffabaruffa: siamo quel che dobbiamo essere. Un inno all'autenticità. Recensione

 

Recensione di Cristina Buonaugurio
Cristina Buonaugurio, psicologa psicoterapeuta romana, ha saputo vedere nella narrazione tutto quel che c'era da capire e da portare alla luce. Non mi stupisco. L'autrice di due recenti volumi (La più grande delle magie e Manuale di incantesimi per apprendisti educatori ed. Città Nuova) che ci accompagnano alla scoperta della saga di Harry Potter come intrigante strumento di conoscenza di sè e di guida al cammino della crescita,  non poteva ignorare il filo d'oro che anche Uffabaruffa riesce a districare per avere la possibilità di vivere appieno la propria identità. Ecco dunque questa profonda e illuminante recensione (anche per me!)


Una strega dal cuore d’oro

Pubblicato la prima volta nel 1997 da Città Nuova, tradotto all’estero e vincitore del Premio letteratura per l’infanzia “L’Aquilone d’oro” nel 1999, torna quest’anno per i tipi di Edizione La Meridiana il libro Uffabaruffa come sei buffa! Una fiaba per conoscersi ed essere felici

Corredata dalle meravigliose illustrazioni di Laura Cortini, la storia, nata 25 anni fa dalla penna di Annamaria Gatti, racconta le avventure di una «giovane strega un po’ paffutella, che portava grandi occhiali da sole su un bel naso a patata». 

Ma Uffabaruffa è una strega decisamente fuori dai canoni: piuttosto che imparare stregonerie preferisce andare al mare e invece della bacchetta magica ha sempre con sé paletta, secchiello e setaccio per giocare sulla spiaggia. 

Già solo per questa sua passione è un personaggio che entra immediatamente nelle simpatie dei piccoli lettori: ho avuto modo di toccare con mano l’effetto magnetico che ha sui bambini leggendolo ai miei figli di 5 e 8 anni, i quali mi hanno vietato di posare il libro fino a che non siamo arrivati all’ultima pagina.

Ad affascinare chi legge è sicuramente la simpatia che Uffabaruffa riesce ad attirarsi con la sua voglia di una scopa che faccia per lei patatine fritte e castelli di sabbia e con la sua inseparabile “borsaportatuttoquellocheserve”, ma ciò che la fa restare nel cuore dei lettori è la sua bontà, la gentilezza che la contraddistingue e l’amore che nutre per i bambini. Tutte caratteristiche che poco si addicono ad una strega, al punto che saranno proprio i bimbi amici di Uffabaruffa (che con i loro occhi puri sanno cogliere la realtà dietro le apparenze) a proporle di intraprendere una “carriera” totalmente diversa da quella a cui sembrava destinata - ma poco adatta -, abbandonando la stregoneria per diventare… una fata!

Ed ecco la vera magia di questo libro: 

la storia della strega che diventa fata dice ai giovani lettori che hanno il diritto di essere ciò che sentono di voler essere, che non devono obbligarsi a corrispondere alle aspettative altrui e che non sono sbagliati se sono diversi da quello che altre persone vorrebbero. 

Spesso, infatti, dietro critiche e giudizi, c’è l’incapacità di cogliere l’essenza profonda di una persona, incapacità che spesso porta chi non viene compreso a credere di non possedere un grande valore e, di conseguenza, lo conduce alla tristezza. 

Le avventure di Uffabaruffa sono invece un inno all’autenticità: non è giusto mortificare parti di sé per far contenti gli altri; è molto più sano mostrarci per come siamo veramente, così da comprendere chi siamo e chi vogliamo essere, per portare a compimento quelle che sono le nostre caratteristiche e le nostre peculiarità!

In questa direzione vanno anche i brevi giochi e le semplici attività a corredo della storia, che si pongono 3 precisi obiettivi: conoscere se stessi e aumentare l’autostima; superare i pregiudizi, accogliere tutti e saper scegliere; rinforzare l’empatia e la resilienza. Si tratta senza dubbio di tematiche fondamentali nella crescita, a cui è bene che chi educhi dia la dovuta attenzione sin da subito e rispetto alle quali a mio parere una lettura guidata e ragionata di questa fiaba si rivelerebbe oltremodo utile. Uffabaruffa è infatti vittima di pregiudizi e ha bisogno dell’aiuto dei bambini per darsi il giusto valore e non sentirsi sbagliata, bambini che dimostrano con i fatti cosa significhi accogliere e coltivare l’empatia. Aiutare i bambini a ragionare sulle loro avventure e a scoprire come qualcosa di simile possa accadere a loro o chi sta loro accanto sarebbe sicuramente un modo alternativo ed efficace per educare al rispetto, all’accoglienza e all’empatia.

C’è un ultimo insegnamento di Uffabaruffa che non può passare inosservato e che diventa fondamentale in un mondo egocentrico come il nostro: fare del male agli altri non rende più felici, anzi. Uffabaruffa l’ha compreso e, non essendo per nulla sciocca, ha scelto di fare il bene… e lei sì che è felice!

Cristina Buonaugurio

psicologa psicoterapeuta autrice

Trovi il libro a questo link   https://www.lameridiana.it/uffabaruffa-come-sei-buffa.html

sabato 23 luglio 2022

Dramma: morire a 18 mesi per abbandono. Non un caso isolato. Contributi per prevenire

 

                                      


                                Quante Diana ci sono in Italia? Usciamo a cercarle

                                                                  di Sara De Carli 

Fonte: VITA.IT

...

A quanto ci restituiscono ad oggi le cronache, dalle dichiarazione degli inquirenti e dalle interviste raccolte tra i vicini, anche Alessia - 36 anni, madre della bambina - è un’ombra: una giovane mamma sola, con una bimba nata prematura e partorita in casa, con i parenti lontani e un compagno nuovo che viveva anche lui lontano. 

Pare che la sua situazione non fosse nota ai servizi sociali, né alla Caritas né al terzo settore, in un territorio in cui non si può dire che manchino servizi, associazioni, porte a cui bussare. Cosa non ha funzionato allora nella rete dei servizi e prima ancora nella comunità, per far sì che questa bambina e la sua mamma, con il loro bisogno di aiuto, siano state a tutti invisibili? 

«Casi così ci rivelano – in modo estremo e tragico – una verità che va al di là della singola situazione: troppe volte, noi adulti trattiamo i bambini come soprammobili. Li appoggiamo da qualche parte nelle nostre vite, mentre andiamo avanti a fare tutto il resto come se loro non ci fossero», ha scritto Alberto Pellai. 

«I bambini che muoiono psicologicamente e moralmente per la trascuratezza di genitori malati e solo apparentemente lucidi sono molti di più di quelli di cui si parla in cronaca», ha affermato invece in un post durissimo lo psichiatra Luigi Cancrini. «Folle e cioè gravemente malati» sono per lui non solo Alessia, ma anche «i servizi sociali e sanitari che di quella madre e della sua bambina avrebbero dovuto occuparsi in un paese civile fin dal momento in cui quella povera bambina è nata. 

Qualcuno si accorgerà un giorno del fatto che la gravidanza, la nascita e i primi anni di vita possono e dovrebbero essere protetti da una rete capillare di servizi capaci di intervenire nelle situazioni in cui le persone stanno troppo male per chiedere aiuto?».

Situazioni come questa ci impongono di prendere atto che ci sono famiglie e bambini che cadono nei buchi della rete e che restano invisibili ai servizi. Ma i servizi non possono stare negli ambulatori e negli uffici ad aspettare le famiglie. È un lavoro diverso, che richiede la capacità di essere nella comunità, di presidio delle intersezioni possibili nella comunità

Paola Milani, referente nazionale del programma PIPPI

È questo il punto: non basta che ci siano i servizi, le associazioni, le porte a cui bussare. Occorre uscire per andare a cercare chi non sa che può chiedere aiuto, chi non sa di aver bisogno di aiuto, chi sta troppo male persino per chiedere aiuto. «Situazioni come questa ci impongono di prendere atto che ci sono famiglie e bambini che cadono nei buchi della rete e che restano invisibili ai servizi. Dobbiamo potenziare i servizi con l’approccio delle presa in carico multidimensionale ma ancor prima occorre che i nostri servizi cambino, che facciano un lavoro di comunità», afferma Paola Milani, ordinaria di Pedagogia Sociale e Pedagogia delle Famiglie a Padova e referente del programma PIPPI. «I servizi non possono stare negli ambulatori e negli uffici ad aspettare le famiglie. È un lavoro diverso, che richiede la capacità di essere nella comunità, di presidio delle intersezioni possibili nella comunità. Occorre frequentare le parrocchie, le associazioni, i nidi, i pediatri di base, avere un raccordo con l'ospedale al momento delle dimissioni dopo il parto, con i servizi di ostetricia territoriali… 

Sono trent’anni che ribadiamo l’importanza del parenting support e dei primi mille giorni per la vita di un bambino e finalmente i colleghi giuristi stanno iniziando a riflettere su un diritto al parenting support, cosa che darebbe la possibilità al programmatore sociale di invidiare un Leps. Ci sono situazioni, specie quando i bimbi sono così piccoli, in cui ospedali e pediatri sono le uniche vie possibili per incontrare le famiglie: ma occorre andare nelle case non solo facendo home visiting e concentrandosi sugli aspetti sanitari del post partum o sull’allattamento, ma portando anche il parenting support, con azioni di accompagnamento alla genitorialità, educative, di prevenzione del maltrattamento. Dove ci sono mamme e bambini, il sociale, l’educativo e il sanitario devono andare insieme, sempre. Spezzettando le risposte, infatti, non si coprono i bisogni della famiglie».

 

Ecco, se qualcuno fosse andato a bussare alla porta di Alessia, sistematicamente, con un programma di home visiting o di parenting support, le cose sarebbero andate lo stesso in questo modo? O le fragilità di Alessia qualcuno le avrebbe viste? Perché no, non esistono soltanto “buone mamme” - che sarebbe utopico - nè esistono soltanto mamme “sufficientemente buone”. Non è un marchio d'infamia, potrebbe essere anche solo una situazione temporanea, che ha soltanto bisogno di un aiuto. 

Quello che Paola Milani coordina, PIPPI, è infatti il programma nazionale per innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie cosiddette negligenti, così da ridurre il rischio di maltrattamento dei bambini e il conseguente allontanamento dei bambini dal nucleo familiare d’origine, come forma di messa in protezione. È partito nel 2011 e in questi dieci anni PIPPI ha lavorato con 10mila famiglie, con 260 ambiti coinvolti e 10mila operatori formati ad un approccio multidimensionale che prevede la contaminazione, piuttosto rara, fra l’ambito della tutela dei minori e quello del sostegno alla genitorialità. «Prevenire l’allontanamento non significa “non allontanare”», precisa Milani: «L’allontanamento è una misura di protezione del minore e tutti i dati dicono che in Italia allontaniamo meno degli altri paesi». Prevenzione significa però arrivare prima, prima che sia troppo tardi, com’è stato per Diana. Prima che gli stessi che ieri chiedevano “allontanamenti zero” oggi chiedano “dov’erano i servizi?”.

 

Occorre andare nelle case non solo facendo home visiting e concentrandosi sugli aspetti sanitari del post partum o sull’allattamento, ma portando anche il parenting support, con azioni di accompagnamento alla genitorialità, educative, di prevenzione del maltrattamento. Dove ci sono mamme e bambini, il sociale, l’educativo e il sanitario devono andare insieme, sempre. Spezzettando le risposte, infatti, non si coprono i bisogni della famiglie

Paola Milani

 

Proprio in questi giorni Milani sta avviando il lavoro con nuovi 400 ambiti territoriali, «grazie agli 80 milioni di euro stanziati nel PNRR per il finanziamento della prevenzione della vulnerabilità delle famiglie». La novità dell’estate 2021 infatti è che nel Piano degli interventi e dei servizi sociali è stato introdotto per la prima volta un livello essenziale delle prestazioni (LEPS) finalizzato a rispondere al bisogno di ogni bambino di crescere in un ambiente stabile, sicuro, protettivo e “nutriente”. Le azioni possibili per dare corpo a questo nuovo Leps - per renderlo esigibile, come si dice in termini tecnici - sono state individuate in quelle già sperimentate in questi dieci anni dal programma PIPPI. Che cosa cambia? «Tutte le famiglie che avvertono una situazione di vulnerabilità - che sia psicologica, sociale, economica, relazionale, educativa - ora hanno diritto a un progetto di accompagnamento, con dispositivi sia gruppo che individuali, sia di natura formale che informale: uno è proprio l’educativa domiciliare», spiega Milani. «L’ideale sarebbe che questo Leps fosse così conosciuto nella popolazione che le famiglie siano in grado di richiedere autonomamente l’attivazione, ma sappiamo che è difficile. Intanto puntiamo sulla formazione e la capacitazione dei servizi: non possiamo aspettare di arrivare a questi estremi o renderci conto che la famiglia vive una situazione così grave che bisogna mettere in protezione il bambino. Occorre lavorare per intercettare precocemente le famiglie quando i bambini sono piccoli, nella fascia 0-3 anni: attraverso i pediatri, i nidi, il reddito di cittadinanza».


pubblicato da A. Gatti

foto di NN

venerdì 22 luglio 2022

Ezio Aceti - Alfabetizzazione genitoriale seconda tappa

 

Un prezioso contributo da non perdere



Nel cominciare questo percorso di alfabetizzazione genitoriale, lo psicologo dell’età evolutiva Ezio Aceti ci ha parlato dei pregiudizi che spesso offuscano i nostri occhi quando guardiamo i nostri figli: è importante imparare ad amarli per come sono e non per come vorremmo che fossero.

 In questo secondo appuntamento, invece, Aceti si chiede, riflette su chi siamo, da dove veniamo, chi sono i nostri figli. Per chi crede, questo presuppone uno sguardo verso l’Alto, verso quel Dio che, creandoci, ci ha donato un elemento fondamentale: la nostra libertà. Siamo esseri relazionali, che hanno bisogno degli altri per realizzarsi. Ecco il video del secondo step.

https://www.cittanuova.it/alfabetizzazione-genitoriale-seconda-tappa-ezio-aceti/?ms=003&se=010


pubblicato da a. gatti

foto milanotoday.it

lunedì 18 luglio 2022

Ma conviene fare il male? Uffabaruffa ha la sua teoria

 



Uffabaruffa è una strega un po’ pasticciona ma simpatica, buona come un gelato al pistacchio, sempre pronta ad aiutare gli altri. Ma ha un problema, si chiama: scuola. A lei la stregoneria non interessa proprio. 

Preferisce giocare sulla spiaggia e volare con la sua scopa brontolona.

Ama i bambini, si intenerisce di fronte alla natura, adora i vestiti stravaganti e buffi e, nella sua “borsaportatuttoquelcheserve”, la cioccolata non manca mai. Finché un giorno i suoi amici le fanno scoprire se stessa: allora sì che si impegna, studia addirittura, fino ad essere una fata che trasforma tutto ciò che è grigio e serio in colore e in gioco.

Alla fiaba di Uffabaruffa, illustrata da Laura Cortini, si affiancano giochi e attività in cui i giovani lettori possono cimentarsi per conoscere se stessi, accrescere la loro autostima, superare i pregiudizi, rinforzare empatia e resilienza.

https://www.lameridiana.it/uffabaruffa-come-sei-buffa.html

pubblicato da annamaria gatti

gatti54@yahoo.it






venerdì 15 luglio 2022

Favola di Paolina: per crescere ci vuole pazienza

 PAOLINA VOLAVIA
Fonte Città Nuova, Luglio  2022 
favola di Annamaria Gatti
illustrazione di Eleonora Moretti

Paolina e il suo pupazzetto di peluche orsobimbo (“scrivilo con la lettera maiuscola, ormai è diventato un personaggio” mi ha suggerito una bambina) passeggiavano nel prato.

Paolina scrutava le siepi nella mattina estiva. “Dove sarà finito il bruco Smeraldo che ho conosciuto un po’ di giorni fa?” Neppure Orsobimbo lo sapeva, infatti era rimasto zitto zitto.

Poi una voce nasale aveva risposto da un rametto : “Ciao Baolina, sodo qui, sodo sembre io…

Paolina si era voltata di scatto: ma chi aveva parlato? Era la voce del bruco, ma al posto di Smeraldo, con le sei zampette e le ventose sul pancino e che mangiava in continuazione, c’era una strana scatoletta.

Eccobi, da uovo, sodo diventato larva e bruco e priba di trasforbarbi bi sono chiuso in questa crisalide, un astuccio robusto per dorbire bene. E crescere, boi uscirò fuori.”

“Guarda un po’, ogni giorno c’è una sorpresa” pensava Paolina. Anche Orsobimbo osservava che tutti crescono: Paolina, Sandro, la sorellina Gioia, le cinciallegre, i fiori, il vento, le nuvole, la luna… Orsobimbo aveva sorriso nel cuore: lui invece non diventava grande, così poteva stare sempre vicino a Paolina.

Paolina, dopo alcune notti di luna,  era tornata, ma la crisalide era rotta: 

“Chi sei tu?” aveva chiesto a una farfalla multicolore che stava posata lì vicino, sul ramo.

“Sono sempre Smeraldo” disse la farfalla che non aveva più la voce nasale, “ma sono diventato una  farfalla arcobaleno! Vedi?  Ho le ali ancora umide e accartocciate  per fare il mio primo volo.  Devo aspettare che le ali si asciughino. Ohhh, questo sole è provvidenziale, grazie!” E poi era volato via!

Paolina guardò riconoscente il sole: i suoi raggi erano sfolgoranti e come risplendeva il suo amico Smeraldo, diventato farfalla!

 


venerdì 8 luglio 2022

La storia vera di Andrei e di Enea, lo sguardo che salva ogni bambino

 



Guardami! E' l'invito fatto di tutta la sofferenza del mondo, che si legge negli occhi di una moltitudine di bambini. Ogni giorno ovunque. Ci sono, fammi capire che ci sono... che "SONO". Non servono spesso diagnosi rocambolesche per trovare la cura a tanti mali del cuore, serve lo sguardo. Quello giusto. Per esempio quello di Enea per Andrei. 

RIGENERATO 

 di Giorgio Paoletti 

 fonte:     Ripartenze  -  Avvenire  - 8 luglio 2022

Andrei se ne sta tutto il giorno immobile e silenzioso sulla carrozzina. Ha quatto anni, ospite di una comunità dove la madre l'aveva lasciato; tetraplegico, pesa solo nove chili, non si alimenta da solo. 

Enea è un volontario che fa giocare i bambini una volta alla settimana. Gli mette in mano delle costruzioni che il piccolo riesce a impilare a malapena, braccio sinistro bloccato, il destro tremante. Ma le mani e il sorriso di Enea accompagnano i tentativi del bambino. 

Dopo qualche settimana la pila delle costruzioni si allunga, le braccia si sciolgono e si articolano, lo sguardo si illumina, Andrei manifesta segni di una vitalità mai vista prima e i medici che lo seguono si stupiscono dei progressi compiuti. Anche Enea è stupito del bene che cresce nel suo cuore per quel bambino. 

L'amicizia che fiorisce tra i due rigenera la piccola vita rattrappita che sembrava condannata a vegetare. «Se la sente di prenderlo in affido?», propone la psicologa della comunità. 

Cinque mesi dopo il loro primo incontro, Andrei va a vivere a casa di Enea e della moglie, all'affido segue l'adozione, diventa il loro primo figlio. 

In un tema si racconta così: «Ero fermo sulla sedia, Enea mi ha guardato e io mi sono sentito vivo per la prima volta». 

In uno sguardo, la potenza rigeneratrice dell'amore

pubblicato da Annamaria Gatti

Foto sangerardo.org