Dal capitolo "La Valutazione" del libro
IO AMO LA SCUOLA
Come insegnare e stare bene in classe
di Annamaria Gatti e Annamaria Giarolo
Ed. La Meridiana
Una rivisitazione che ben illustra ancora il clima di questi giorni: VALUTARE. Un compito non facile e dai risultati non sempre facilmente condivisi. Immagino tanti Consigli di classe. Immagino e spero sempre siano momenti in cui si cresce tutti e ci si allea con un unico scopo: fare meglio, fare bene per bambini e ragazzi.
Riporto l'esperienza della maestra Laura, protagonista della sezione esperienziale del libro.
Ogni capitolo di IO AMO LA SCUOLA presenta infatti un argomento riferito alle criticità che si incontrano a scuola, che è proposto in 3 sezioni:
A) Quale è il problema - descrizione della tematica
B) Un aiuto in più - indicazioni di lavoro riassunte in tabelle
C) La narrazione esperienziale di una insegnante e del suo team di lavoro
C) A
SCUOLA CON LA MAESTRA LAURA
“Quel
che può fa, quel che non può non fa”
(Alberto Manzi)
La
scuola è fatta per fare felici i ragazzi che la frequentano. Laura aveva questo
chiodo fisso, che si scontrava puntualmente con tanti di quei limiti, che la
figura di insegnante-Don Chisciotte non le sembrava poi così improbabile.
Però
tale sogno l’aveva sempre appagata e consolata quando, nel suo piccolo percorso
professionale, aveva esercitato la “valutazione” con la “docimologia dell’eccellenza”.
Non è
dato sapere se avesse mutuato la misura più da Don Milani, da Montessori o da
qualche altro “grande”, ma certo valutare un bambino sull’abilità “aver dato il
meglio di se stesso ed essere arrivato a mete apprezzabili”, ed essere felice
di questo, le aveva risolto molti quesiti e problemi di coscienza. Poi
l’entusiasmo che aveva caratterizzato alcune posizioni poco conformiste, ma
tanto salutari come la decisione (sanzionata) del maestro Alberto Manzi di
rifiutarsi di valutare con voti, ma con
“QUEL
CHE PUO’ FA, QUEL CHE NON PUO’ NON FA”, aveva fatto il resto.
La
valutazione del raggiungimento di obiettivi
formativi non era semplice, soprattutto per chi era cresciuto in una scuola
competitiva e selezionatrice. Anche se le maestre con la penna rossa in mano erano da tempo superate, le risultava che penne
rosse ne giravano ancora molte. Troppe.
-
Cos’è questa storia delle penne colorate per la
correzione? - le aveva chiesto il maestro Sergio un giorno.
-
Semplice: chiedo a loro con che colore
preferiscono che segnali gli errori che dovranno correggersi. Il rosso me lo
chiedono in pochi, ma va molto l’arancione, il fucsia e le sfumature di verde…
- aveva risposto Laura divertita.
Sergio,
che voleva stupire, aveva aggiunto: - Io
continuerò con la mia fedele rossa! Credo che possano dare il massimo anche,
anzi soprattutto, con questo segnale di allarme.
Lo
sguardo arcigno e seccato di Sergio le confermava che le penne servivano solo
ai maestri e lei invece avrebbe voluto che fosse arcobaleno anche la correzione.
In team
la valutazione quadrimestrale era
sempre stata un momento difficile, direi di più, controverso.
- Il nostro ruolo è quello di determinare il
livello raggiunto in capacità
organizzative, impegno, in stabilizzazione dell’insegnamento. Per questo
però dobbiamo uniformarci: numeri o lettere che siano, io il 10 o la A non la
darò mai, men che meno nel primo quadrimestre, nella scheda di valutazione -
aveva stabilito Sergio.
L’insegnante
Anita non era dello stesso parere: - Forse
hai paura di dare voti alti? Temi che non mantengano il livello nel secondo
quadrimestre?
- No, non li do per partito preso, se si vuol dire
così. A me nessuno ha mai dato 10, un 10 è troppo pericoloso. E poi chi ha una
prestazione così pulita da meritarselo? Nessuno.
Laura
aveva pensato che si poteva avviare un bel dibattito scanzonato: - Ai nostri
tempi non esisteva una scala docimologica abitualmente così espansa, per cui il
massimo era un otto, ok, oggi non è più
così. Non credi che ci si potrebbe adeguare alle indicazioni senza troppi
timori, o forse sarebbe meglio approfondire didatticamente e pedagogicamente il
problema. Se tanti sono alla ricerca di chiarezza, e questo sarebbe molto
interessante e salutare, potremmo di nuovo chiedere un aggiornamento o un auto aggiornamento sul tema.
Pietro
era sempre più pensieroso. Poi era sbottato, con un lampo di stanchezza negli
occhi: - Non male come idea, per esempio mi scontro ancora con il problema
delle valutazioni per gli alunni con
disabilità o con bisogni educativi
speciali: la loro valutazione non può seguire le modalità del gruppo, ma
attenersi agli obiettivi formativi ed educativi del PEI (Piano Educativo
Individualizzato) o del PDP (Piano Didattico Personalizzato). Alcuni miei
colleghi faticano a comprendere che non possono dare un giudizio uniformandosi
ai criteri della classe, così fioccano 5 e 6,
….dove invece io riscontro miglioramenti di performance significativi, che
meriterebbero voti migliori!
- Beh, se non raggiungono determinati standard di
apprendimento…è giusto! - aveva obiettato Sergio.
- Non dimenticare che questi tuoi (e nostri)
allievi hanno un Piano Educativo
Individualizzato o un Piano
Didattico Personalizzato, che sono stati stesi collegialmente e approvati
da specialisti e famiglie con i loro
obiettivi. Disattenderli o ritenerli insuperabili ci costringe a rivedere, con
genitori e specialisti, i contenuti e le metodologie: serve cioè una revisione
formale - aveva ricordato Laura con un
moto di impazienza di cui si era subito pentita. Ma non tanto in fondo!
- Allora, -
aveva aggiunto Caterina, - lasciamoci guidare e aggiornare
dall’insegnante di sostegno di questo team. Ricordiamoci le linee guida e la
corretta valutazione, perché la scuola
sia davvero fonte di crescita per tutti, momento di esercizio delle proprie
capacità e superamento dei propri punti deboli. Fuori le idee!!!
Il
brainstorming era iniziato e tutti avevano detto la loro:
- Diamo allora questi voti, sì, spiegandoli ai
ragazzi, motivando le nostre scelte, valorizzando le capacità messe in gioco e
l’impegno, dove c’è stato.
- Cerchiamo fra noi del team un’unitarietà di valutazione…
- Troviamoci un’altra volta dopo aver rivisto
personalmente i nostri giudizi in quest’ottica.
- Io non rivedo nulla… ma ci rifletterò su.
- Perché non chiediamo ai genitori di venire a
discutere dei voti con i ragazzi stessi, perché si responsabilizzino? Ormai sono grandi e non si accontentano più
di un giudizio generale.
-
Che esagerazione! Su questo non sono d’accordo!
Troppa carne al fuoco, si dice…
- A me non dispiace l’idea, l’autonomia si
favorisce anche così! E noi abbiamo bisogno che diventino autonomi.
Laura
aveva tirato le somme:
- Possiamo condividere qualsiasi scelta riteniamo
più adeguata. Manteniamo però sempre il nostro ruolo: essere di stimolo, aperti
al dialogo, promuovere il ragazzo, anziché giudicarlo per quel che non è
riuscito a fare. Poi ci mettiamo in discussione: se molti non sono arrivati
alla meta, forse dobbiamo correggere il percorso scelto per raggiungerla dopo
aver conosciuto meglio i ragazzi stessi.
Un primo
“match” era stato chiarificatore, ma sul tappeto altri nodi avrebbero dovuto
essere risolti.
Si erano
poi lasciati davvero con il compito di valutare l’area didattica alla luce
delle considerazioni di “eccellenza=successo=dare il meglio di sé=felicità” ed
era troppo bello questo percorso per non condividerlo con i ragazzi e i loro
genitori.
Laura quella sera aveva
dovuto combattere ancora con un sonno inquieto, a cui aveva risposto quindi con
una lettura avvincente: il quarantaquattresimo romanzo poliziesco di Simenon
“Maigret ha un dubbio” che nella versione francese del 1954 però era intitolato
“Maigret a scuola”. Ecco ora i conti tornavano: la scuola talvolta è un
romanzo…poliziesco
Da "IO AMO LA SCUOLA COME INSEGNARE E STARE BENE IN CLASSE"
pubblicato da Annamaria Gatti