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martedì 11 marzo 2025

L'educazione in pericolo

 


Le parole sono parole.

Può un pedagogista disinteressarsi di politica? Certamente no, soprattutto quando è in grande pericolo l’educazione, minati i cervelli   e   le   coscienze   dei   più   piccoli.   

Ne      motivo l’umiliazione russo-americana scatenata contro il presidente ucraino   Volodymyr   Zelens'kyj.   Qualsiasi   opinione   si   abbia sulla guerra di resistenza con cui egli difende la libertà del suo   popolo,   questo   disumano   uso   delle   parole   porta   in   sé qualcosa di inquietante. 

Per questo, come educatore, sento il dovere di esprimere indignazione per il clima di odio che ci infesta.Le sprezzanti parole rilanciate dai media non possono passare sotto   silenzio.   I   giovani   ce   ne   chiederanno   conto.   

Ciò   che succede   oggi  è   quanto   puntualmente   precede  ogni  guerra: parole   come   proiettili   per   provocare,   intimorire,   ridurre   al silenzio.   Senza   entrare   nel   merito   di   come   oggi   si   sta “promuovendo”   la   pace,   non   si   può   nascondere   il   gioco perverso di spartizione delle spoglie ucraine da parte della Casa   Bianca   e   del   Cremlino.   Indipendentemente   da   una possibile fine della guerra (dopo la quale però non è facile ora immaginare   una   vera   pace)   non   possiamo   voltare   la   testa indifferenti di fronte a parole come “bastardino nazista, cane infestato di pulci…pazzo e pericoloso...meglio sopprimerlo in silenzio, senza sofferenza”. 

Ma ben altre e più raccapriccianti sono le espressioni usate quotidianamente ad ogni tentativo della vittima di rialzare la testa e chiedere rispetto, umanità, libertà. Quello   che   sorprende   è   l’indifferenza   di   fronte   a   questa invasione semantica, al significato perverso delle parole. 

Non dimentichiamo che la mancanza di rispetto è il primo grande crimine   dell’umanità,   da   cui   discendono   altri   crimini. Discredito,   disinformazione,   aggressività   verbale,   facce   da combattimento.   La   guerra   è   già   finita   prima   ancora   di vincerla:   parole   svendute   come   bombe   sul   mercato   di   una pace azzoppata che cammina con la forza della disperazione. Non sa se sarà vera pace. Non è discutere di geopolitica il compito primario di chi vive ogni giorno tra i giovani. Ma siccome i giovani ci guardano e ci sentono, ognuno che si occupi di educazione (non solo in famiglia   e   a   scuola,   ma   nel   proprio   modo   di   comportarsi) dovrebbe aver a cuore l’uso che si fa delle parole. 

Con esse si può dare la vita ma anche decretare la morte: parole come ali, se usate per promuovere; parole come pietre se scagliate per distruggere. Proprio   ieri   ero   all’inaugurazione   dell’anno   accademico   nel mio piccolo ma coraggioso Istituto Universitario Sophia. La lectio   magistralis   del   prof.   Fabio   Petito,   professore   di Relazioni   internazionali   all’Università   del   Sussex,   e   gli interventi di altri Relatori hanno più volte sottolineato il ruolo determinante,   pur   a   lungo   termine,   svolto   dall’educazione. L’Educazione all’uso di parole di pace dovrebbe esser il primo obiettivo di un vero leader, di ogni Educatore che in quanto tale è leader agli occhi dei più piccoli. Come hanno fatto i grandi   sognatori   di   un’umanità   giusta   e   fraterna,   quali Gandhi,   Martin   Luther   King…o   i   visionari   fondatori   di un'Europa Unita come Schumann o De Gasperi… 

Parole per comprendere la complessità di contesti e punti di vista diversi, per mediare, sostenere, unire. È   compito   della   famiglia,   della   scuola,   dell'intera   comunità percorrere insieme ai giovani sentieri di pace, ogni giorno, esercitati  a  seguirne   le   tracce   e  a  ripassarle  più  volte  per segnare   la   via.   Senza   comprensione   e   lunghi   esercizi applicativi non si formano abitudini. Se si fa fatica perfino a mantener   in   ordine   la   propria   stanza,   figurarsi   la perseveranza che serve per imparare la pace. Come ci si può facilmente   abituare   al   male,   allo   stesso   modo   ma   con   più determinazione prender dimestichezza con il bene. La guerra non è nel nostro retaggio evoluzionistico.  Come ci siamo più volte arresi all’inevitabile destino della guerra allo stesso ci possiamo testardamente armare per la pace: sentieri su   cui   spesso   si   perdono   le   tracce,   da   percorrere   e ripercorrere   più   volte   per   non   perderne   la   memoria.   Per questo occorrerebbe nei telegiornali e nei salotti confrontarci di   più   del   “come"   allenarci   alla   pace.   

Educatori,   Scuola   e Famiglia,   ogni   forma   di   aggregazione   civile,   associazioni giovanili   e   adulte   non   possono   stare   alla   finestra   mentre, fuori, disinformazione e urla   disumane  la fan da padroni   e occupano le vie. Bisogna con pazienza e lungamente abituarci ad usare parole buone. 

La pace avrà il mio volto  e  le mie mani, le mie parole.

                                             Michele De Beni

                                     docente Università Sophia


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