di Annamaria Giarolo e Annamaria Gatti
Edizioni la meridiana, Molfetta
Ragazzi, maestra e spazi da creare
La maestra
Laura ricorda il primo approccio con la gestione organizzativa degli spazi a
scuola.
L’unico suo apporto personale era stato un mazzo di fiori gialli che l’aveva accompagnata in quel primo giorno, in una classe terza, dopo un viaggio di un’ora di treno. I bambini seduti in doppia fila nei “quartieri”, così chiamate le colonne di banchi in aula, si erano presentati alla maestra e avevano dato subito prova di voler rendersi utili, chi cancellando la lavagna appena imbrattata per la prova-gesso, chi testando con disinvoltura la resistenza di sediole e tavolini.
Laura, dopo un primo momento di perplessità era riuscita a gestire la faccenda
con qualche punto a suo favore dato dalla giovinezza, dalla bella voce e da
qualche canzone mimata davvero “giusta”, con l’aggiunta di un’autorevolezza
innata di cui avrebbe voluto però conoscere meglio la natura e la prosecuzione
più adeguata. Ci aveva perso il sonno quella notte, ma poi la faccenda era
rientrata: come ogni cosa in educazione avrebbe avuto il suo cammino lento ma fruttuoso, se avesse
mantenuto gli occhi fissi sulla meta educativa e sui valori per cui aveva
scelto quella professione.
La mappa
dell’aula diventò all’epoca un chiodo fisso della sua ricerca, anche perché
presupponeva da parte dell’insegnante una scelta
di qualità pedagogico-didattica che non le era indifferente. Si era
chiesta: che messaggio analogico doveva passare attraverso la gestione e la disposizione dei banchi, degli armadi, della lavagna e
soprattutto della cattedra?
Avrebbe
voluto avere subito le idee chiare, ma si era resa conto che invece per fare la
scelta giusta avrebbe dovuto attendere di conoscere
meglio i bambini e la loro realtà socio-affettiva. E quell’imperativo
tecnico aveva sempre accompagnato tutti gli altri “primigiornidiscuola” della
sua carriera, almeno fino alla sede scolastica definitiva o all’inizio di un
nuovo ciclo.
Dato per
scontato il ruolo autorevole
dell’insegnante, che decide il meglio per tutti, avrebbe inaugurato
comunque il suo ruolo di insegnante-consulente, proprio con l’esame delle proposte dei bambini su come disporre
l’arredo dell’aula. E così uno degli elementi più apprezzati fu proprio quello
del “peggiore”, segnalato in atrio da ammiccanti e significative occhiate
(attenta a quello lì) dei colleghi “vecchi” del plesso: l’aula era al servizio
dei bambini e del loro lavoro. Anche il “tu” familiare si poteva accettare,
vista l’età degli alunni e il contesto.
-
Maestra, quando ti ascoltiamo e tu ci spieghi
possiamo stare così, ma quando facciamo insieme qualcosa possiamo metterci in
cerchio.
Accogliendo
il suggerimento, Laura aveva anche aggiunto: - Oppure a due per due, per
lavorare a coppie!
- Bella
idea! Io non lavoro con lui però. - aveva sussurrato il “migliore”.
- L’unico
problema è che faremo parecchio rumore a spostare il tutto. - aveva osservato
Paola.
- E
allora io sto attento che spostiamo pian pianino, così il preside non si
accorge di niente e non viene a vedere cosa succede. - aveva aggiunto il figlio del vigile.
- Adesso
però, - aveva disposto Laura, - devo approvare le vostre scelte, solo se vi
prendete la responsabilità di quello che avete proposto. Vediamo quanti
accettano queste decisioni.
E la
cosa era partita così. Ed era partita bene, ma poi c’era chi non vedeva bene
alla lavagna, chi non poteva stare vicino alla finestra, chi… chi…
Laura
prendeva tempo, annotava con gesto teatrale sul suo maxi-notes le segnalazioni
e le richieste di presa in incarico del disagio e a quel gesto rassicurante
ogni alunno BES o meno che fosse si sentiva ascoltato, utile e meno trasparente ogni giorno di più. Dopo 15
giorni Laura aveva già ricevuto sette domande di “matrimonio” dalle piccole
pesti, compreso il “peggiore”, ma anche il “migliore”.
Trovare
l’angolo della lettura silenziosa, del laboratorio del bambino iperattivo, o
dell’alunno disabile era stata un’impresa titanica per gli spazi, ma era stato sufficiente eliminare qualche ingombro,
ascoltare in brainstorming il collega di sostegno che l’aveva sfidata
amabilmente nelle trovate creative e trovare spazio in atrio per armadi
monumentali, per gestire senza sorprese le richieste dei suoi bambini e far sentire “loro” quell’aula.
Visto
che un’aula ha proprio solo 4 pareti, anche la maestra più cre-attiva doveva
rassegnarsi a voli d’alta quota, e quindi anche Laura, con i colleghi delle
altre aree educative, che l’avevano eletta referente di classe, aveva
concordato l’alternarsi della disposizione, senza causare ogni volta turbe
mentali e proteste da parte dei bambini (e dei docenti), sempre pronti a ricordare
ai loro insegnanti i patti e le decisioni prese in sede “governativa” di
cittadinanza partecipata.
C’era
stato anche il momento del NO, autorevole, motivato ma fermo, ad alcune
proposte, perché si era resa necessaria, vista la precarietà di alcune situazioni
che si erano delineate, l’attenzione alle relazioni fra i bambini e le bambine,
che si potevano avvantaggiare da alcune collaborazioni con alcuni compagni,
anziché con altri. Talvolta occorreva rimettere tutto in discussione, perché la
responsabilità fosse esercitata con puntualità: su questo Laura non poteva
transigere, per esperienza diretta e sofferta.
Non
sempre negli anni Laura era stata fortunata nel trovare colleghi e colleghe
collaboranti. C’era in alcuni una sorta di paura, che non permetteva loro di
superare la disposizione frontale. Era per qualcuno una comprensibile sicurezza
di dominio della disciplina, che non era facile stravolgere senza creare
maggiori squilibri. E in quelle situazioni Laura aveva talvolta pazientemente accettato momentaneamente la fissità,
concordata per tempi ristretti e con valutazione periodica. Informati i bambini
dell’esperimento, insegnanti e alunni avevano poi lavorato per dimostrare la
loro competenza, anche nel gestire lo
spazio in modo più funzionale.
La risposta
più esauriente era stata quella di una madre, che in occasione di un “visitone”
aveva accennato, con certo orgoglio, al fatto che il suo “peggiore” aveva
preteso di aggiustare la disposizione dei mobili secondo criteri di opportunità
di funzione anche a casa, asserendo che l’aveva imparato a scuola. Poi con una
certa ritrosia aveva chiesto: - Scusate, da casa mancano alcuni cuscinoni, per
caso li ha portati a scuola per il laboratorio di lettura?
Già.
Ecco da dove venivano i morbidi cuscini su cui andava a sbollentare i momenti
duri il nostro oppositivo! Laura aveva sorriso e aveva accettato l’offerta dei
cuscini come dono della madre del “peggiore” di cui i genitori però stavano
scoprendo delle attitudini insperate.
La sera aveva dedicato qualche tempo alla visione di stralci del film “Snoopy and friends” godendosi la definizione di “bella persona” fatta dalla ragazzina dai capelli rossi. Aveva deciso così di premiare i ragazzi con la visione del film, da cui avrebbero imparato a rinforzare qualche buona convinzione!
pubblicato da Annamaria Gatti
Comunque questo è uno dei post più letti
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