Ragazzi, chi cerca la perfezione si allontana dalla felicità
di Marco Erba, insegnante e scrittore
fonte: Avvenire - 8 novembre 2025
Quando si parla di problemi adolescenziali o devianza
giovanile vengono in mente bullismo e trasgressioni. Ma anche l’ossessione per
l’eccellenza è una forma di dipendenza.
Luciana studia tantissimo, padroneggia ogni dettaglio.
Ottiene voti impressionanti in tutte le materie, con una costanza mai vista.
Riempie quaderni su quaderni di appunti, le pagine dei libri di note. Non si
concede una sbavatura. In classe è sempre attentissima. Ma è anche sempre
imbronciata. Diffida di tutto, crede che le amiche le parlino alle spalle, è
angosciata da ciò che i compagni pensano, o potrebbero pensare, di lei. Teme il
giudizio altrui e, allo stesso tempo, ne è dipendente. Chiude le relazioni, non
accetta errori dagli altri, come non ne accetta da sé. Non tollera quella dose
di ambiguità, di falsità, di caduta che chiede misericordia presente in ogni
rapporto umano. Non devono esistere sbavature né in lei, né intorno a lei.
Una volta si offre per farsi interrogare. Ha studiato tutto
nel dettaglio, come sempre. Padroneggia ogni aspetto della materia, si è
formata una sua opinione su ogni argomento e sa sostenerla, ha una proprietà di
linguaggio strabiliante. Alla fine le faccio i complimenti, le do dieci. Torna
al posto mantenendo quel suo solito broncio fino alla fine dell’ora. Mentre
spiego, mi guarda storto. Mi sale la tensione: cosa sta succedendo? Cosa c’è
che non va? Alla fine della lezione mi ferma, mi chiede di parlare: «Prof» mi
dice, prendendomi in disparte, «lo ammetta: lei mi ha dato dieci solo perché le
sono simpatica. Non è un voto meritato, è regalato. Io lo so.» Cado dalle
nuvole. Mi spavento. Come può avere una
percezione della realtà così distorta, così falsata? Le dico che non è
vero, le motivo il voto, le spiego che era preparatissima e che quel dieci è
del tutto meritato. Non mi crede: se ne va sbuffando, ostile. Luciana non è felice.
Qual è il contrario
di felicità? Quando lo chiedo alle mie classi, quasi tutti mi rispondono
che il contrario di felicità è infelicità. Qualcuno allarga la prospettiva,
prova con altro: tristezza, insoddisfazione. Tutto vero, ma c’è qualcosa di
ancora più distruttivo, di ancora più opposto alla felicità, di ancora più
antitetico. Il contrario di felicità è perfezione. Luciana è infelice perché
vuole essere perfetta, perché vuole un mondo perfetto. E quando vuoi essere
perfetta, niente è mai abbastanza, perché sei tu a non sentirti mai abbastanza.
Nessun voto, nessun trofeo, nessun risultato potrà mai soddisfarti, potrà
riempire il vuoto che hai dentro, potrà spegnere quella fame vorace che tutto
ingoia.
Silvia ha una sfilza
di voti impressionanti, in tutte le materia. Apro il registro, li guardo: nove
e mezzo, dieci, dieci, dieci, nove, nove e mezzo, nove e mezzo, dieci, dieci.
Poi guado le presenze a scuola: d’un tratto, il registro si fa tutto rosso:
assente, assente, assente… Da quel punto, di voti non ce ne sono più, ci sono
solo assenze. Perché Silvia, la migliore della classe, a metà anno smette di
venire a scuola, si chiude in camera sua,
E quando vuoi essere
perfetta, niente è mai abbastanza, perché sei tu a non sentirti mai abbastanza.
Nessun voto, nessun trofeo, nessun risultato potrà mai soddisfarti, potrà
riempire il vuoto che hai dentro, potrà spegnere quella fame vorace che tutto
ingoia. Silvia ha una sfilza di voti impressionanti, in tutte le materia. Apro
il registro, li guardo: nove e mezzo, dieci, dieci, dieci, nove, nove e mezzo,
nove e mezzo, dieci, dieci. Poi guado le presenze a scuola: d’un tratto, il
registro si fa tutto rosso: assente, assente, assente… Da quel punto, di voti
non ce ne sono più, ci sono solo assenze. Perché Silvia, la migliore della
classe, a metà anno smette di venire a scuola, si chiude in camera sua, non
vuole uscire. Silvia inizia a farsi del male per punirsi di colpe che non ha,
per colpe che ci sono solo nella sua testa. Silvia rifiuta un mondo che le
mette troppa pressione, una pressione a cui si ribella chiudendosi e
distruggendosi. Silvia scappa da una realtà che è convinta le chieda di essere
perfetta, anche se non è così. La realtà
non chiede perfezione, chiede amore.
La perfezione è il
contrario della felicità. Quando si parla di devianza giovanile, di
problematiche adolescenziali, vengono in mente soprattutto comportamenti legati
al bullismo, alle dipendenze, alla trasgressione; pensiamo magari ai cosiddetti
«maranza», mai agli allievi modello. Ma
anche l’ossessione per la perfezione è una devianza, anche la ricerca
dell’eccellenza a ogni costo è una forma di dipendenza. La perfezione è il
contrario della felicità. Sono convinto che ciascuno di noi, nel nostro ruolo
di genitore, educatore, docente, debba averlo bene in mente. Solo così, attraverso il nostro stile educativo, potremo creare un
clima sereno, nel quale si chiede impegno, ma si accetta anche l’errore come
insostituibile strumento di crescita, come preziosa occasione e non come
fallimento personale.
L’Eneide di Virgilio, il grande poema sul troiano
progenitore dei Romani, uno dei capolavori più straordinari di ogni epoca, non
sarebbe arrivata fino a noi, se avesse prevalso l’esigenza di perfezione.
Virgilio, l’autore, chiese infatti nel suo testamento di distruggere l’opera,
che, a suo dire, non era ancora stata sottoposta a un adeguato lavoro di labor
limae e conteneva alcune sbavature. La volontà dell’autore, per fortuna di noi
tutti, non fu rispettata: pare sia stato l’imperatore Augusto in persona a
chiedere agli amici di Virgilio di diffondere comunque l’Eneide. Si dice
infatti, anche se non c’è alcuna certezza al proposito, che Augusto avesse
udito declamare in anteprima alcune parti dell’opera, commuovendosi
profondamente. Anche oggi, leggendo l’Eneide, si è travolti dall’emozione. Enea è un eroe umanissimo, disposto al
sacrificio di sé per i suoi, capace di sentimenti profondi. È un personaggio a
tutto tondo, non un perfetto eroe senza macchia e senza tentennamenti. E, giunti al finale dell’opera, un finale
che resta aperto, all’inizio si è un po’ sconcertati da questa incompiutezza,
poi se ne resta affascinati.
Secoli dopo Virgilio, nel Medioevo, anche Francesco Petrarca, strepitoso poeta,
cercò la perfezione nei suoi versi. Era certo che avrebbe ottenuto fama
immortale dalle sue opere in latino, la lingua di cultura dell’epoca. Tra
queste opere, però, ne compose un’altra: un’opera, a suo avviso, di minor
valore, tanto che la chiamò «Rerum vulgarium fragmenta», cioè «frammenti di
cose volgari». Si trattava di una raccolta di poesie in volgare, una lingua che
per Petrarca era troppo popolare per essere utilizzata nella vera letteratura.
Nella raccolta in volgare il poeta mette a nudo il proprio io con una lucidità
e una modernità sconvolgente: racconta
il suo travagliato amore per Laura, la sua tensione verso ciò che è assoluto,
ma anche le sue cadute, la sua schiavitù a ciò che è mondano. Oggi, se
Petrarca è conosciuto e studiato in tutto il mondo, è grazie alla sua opera che
giudicava minore, i Rerum vulgarium fragmenta, meglio noti come il Canzoniere. Petrarca è divenuto immortale grazie
all’opera che giudicava imperfetta, perché scritta in una lingua imperfetta,
inadatta ai veri intellettuali. E le sue opere latine? Non è andata come il
poeta si aspettava: sono oggetto di studio quasi solo per gli specialisti.
Tutti noi siamo un po’ l’Eneide e il Canzoniere.
Noi e i nostri
studenti, noi e i nostri figli.
La nostra bellezza,
il nostro essere capolavori, passa dall’imperfezione, quell’imperfezione che è
crepa capace di far trapelare la luce. Quell’imperfezione che è l’unico
varco dal quale possono passare i desideri più autentici, ciò in cui crediamo,
ciò che pensiamo, ciò che davvero siamo. Quell’imperfezione che chiede
accoglienza e insegna ad accogliere davvero.
in foto: opera di S.P.

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