Le parole sono parole.
Può un pedagogista disinteressarsi di politica? Certamente no, soprattutto quando è in grande pericolo l’educazione, minati i cervelli e le coscienze dei più piccoli.
Ne dà motivo l’umiliazione russo-americana scatenata contro il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj. Qualsiasi opinione si abbia sulla guerra di resistenza con cui egli difende la libertà del suo popolo, questo disumano uso delle parole porta in sé qualcosa di inquietante.
Per questo, come educatore, sento il dovere di esprimere indignazione per il clima di odio che ci infesta.Le sprezzanti parole rilanciate dai media non possono passare sotto silenzio. I giovani ce ne chiederanno conto.
Ciò che succede oggi è quanto puntualmente precede ogni guerra: parole come proiettili per provocare, intimorire, ridurre al silenzio. Senza entrare nel merito di come oggi si sta “promuovendo” la pace, non si può nascondere il gioco perverso di spartizione delle spoglie ucraine da parte della Casa Bianca e del Cremlino. Indipendentemente da una possibile fine della guerra (dopo la quale però non è facile ora immaginare una vera pace) non possiamo voltare la testa indifferenti di fronte a parole come “bastardino nazista, cane infestato di pulci…pazzo e pericoloso...meglio sopprimerlo in silenzio, senza sofferenza”.
Ma ben altre e più raccapriccianti sono le espressioni usate quotidianamente ad ogni tentativo della vittima di rialzare la testa e chiedere rispetto, umanità, libertà. Quello che sorprende è l’indifferenza di fronte a questa invasione semantica, al significato perverso delle parole.
Non dimentichiamo che la mancanza di rispetto è il primo grande crimine dell’umanità, da cui discendono altri crimini. Discredito, disinformazione, aggressività verbale, facce da combattimento. La guerra è già finita prima ancora di vincerla: parole svendute come bombe sul mercato di una pace azzoppata che cammina con la forza della disperazione. Non sa se sarà vera pace. Non è discutere di geopolitica il compito primario di chi vive ogni giorno tra i giovani. Ma siccome i giovani ci guardano e ci sentono, ognuno che si occupi di educazione (non solo in famiglia e a scuola, ma nel proprio modo di comportarsi) dovrebbe aver a cuore l’uso che si fa delle parole.
Con esse si può dare la vita ma anche decretare la morte: parole come ali, se usate per promuovere; parole come pietre se scagliate per distruggere. Proprio ieri ero all’inaugurazione dell’anno accademico nel mio piccolo ma coraggioso Istituto Universitario Sophia. La lectio magistralis del prof. Fabio Petito, professore di Relazioni internazionali all’Università del Sussex, e gli interventi di altri Relatori hanno più volte sottolineato il ruolo determinante, pur a lungo termine, svolto dall’educazione. L’Educazione all’uso di parole di pace dovrebbe esser il primo obiettivo di un vero leader, di ogni Educatore che in quanto tale è leader agli occhi dei più piccoli. Come hanno fatto i grandi sognatori di un’umanità giusta e fraterna, quali Gandhi, Martin Luther King…o i visionari fondatori di un'Europa Unita come Schumann o De Gasperi…
Parole per comprendere la complessità di contesti e punti di vista diversi, per mediare, sostenere, unire. È compito della famiglia, della scuola, dell'intera comunità percorrere insieme ai giovani sentieri di pace, ogni giorno, esercitati a seguirne le tracce e a ripassarle più volte per segnare la via. Senza comprensione e lunghi esercizi applicativi non si formano abitudini. Se si fa fatica perfino a mantener in ordine la propria stanza, figurarsi la perseveranza che serve per imparare la pace. Come ci si può facilmente abituare al male, allo stesso modo ma con più determinazione prender dimestichezza con il bene. La guerra non è nel nostro retaggio evoluzionistico. Come ci siamo più volte arresi all’inevitabile destino della guerra allo stesso ci possiamo testardamente armare per la pace: sentieri su cui spesso si perdono le tracce, da percorrere e ripercorrere più volte per non perderne la memoria. Per questo occorrerebbe nei telegiornali e nei salotti confrontarci di più del “come" allenarci alla pace.
Educatori, Scuola e Famiglia, ogni forma di aggregazione civile, associazioni giovanili e adulte non possono stare alla finestra mentre, fuori, disinformazione e urla disumane la fan da padroni e occupano le vie. Bisogna con pazienza e lungamente abituarci ad usare parole buone.
La pace avrà il mio volto e le mie mani, le mie parole.
Michele De Beni
docente Università Sophia