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Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

giovedì 3 aprile 2025

Ancora Scuola: Perchè insegno? Un libro per crederci davvero e fare la differenza.

 


Ancora in difesa della buona scuola: non possiamo non dar voce a chi la scuola la fa ogni giorno e ci crede davvero. Questo libro, a cui sono onorata di aver contribuito e di cui pubblico un cenno introduttivo, anticipa un evento creato con competenza e paziente lungimiranza per i giovani insegnanti, in particolare, una SUMMER SCHOOL di cui racconterò a breve.


Dall'introduzione del prof. Michele De Beni, che ha creduto in questa raccolta di testimonianze di alto profilo e che continua a curare percorsi e inziative affiancandosi a docenti e studenti in formazione per l'insegnamento. Un professionista che crede fortemente nell'impegno a promuovere una scuola migliore e a sostenere progetti che mettono al centro la formazione di docenti appassionati e preparati. Pedagogista-psicoterapeuta. Esperto in Processi formativigià Professore di Docimologia e di Pedagogia all'Università di Verona, professore di Programmazione e Valutazione dei processi formativi, Istituto Universitario Sophia, Loppiano (FI).Coordinatore di ricerca per l’Italia, Progetto internazionale Co.R.T (Cognitive Research Thinking) diretto da Edward de Bono.Membro del Centro Studi Interculturali, Università di Verona. Condirettore della collana "Fondamenti e Percorsi dell'educare" Editrice Città Nuova.I suoi interessi di ricerca sono rivolti principalmente allo studio dei processi del pensiero strategico, del comportamento prosociale e delle dinamiche familiari.


                                             A cosa serve conoscere?

Si comprende, allora, come nonostante i nostri continui richiami all’intelligenza, forse oggi è il tempo di occuparsi anche della saggezza. Perché, se ci si preoccupa di diventare saggi, non è così difficile poi diventare anche intelligenti. Se si comincia invece dal voler essere intelligenti si hanno poche speranze di diventare saggi, perché è facilissimo cadere nella trappola dell’intelligenza.

È questo, in fondo, anche il semplice ma profondo messaggio dei racconti di buone pratiche scolastiche riportate nel libro. In questi ambienti dove si sperimenta un nuovo senso di sé e di reciproca appartenenza, di alta motivazione all’impegno e alla responsabilità, e si punta alla formazione dell’eccellenza morale, gli studenti raggiungono anche straordinari gradi di successo scolastico. Nella sua disarmante semplicità si cerca, allora, di dimostrare, che se si insegna ai ragazzi ad esser “bravi”, si può anche imparare ad esser “grandi”, “nel senso ampio e più autentico del termine, eccellenti nello studio, cittadini partecipi e onesti: un’alta finalità educativa che potremmo sinteticamente racchiudere nella frase “Pensare bene per fare il bene”, sguardo profetico di un’educazione dinamicamente orientata allo sviluppo di un vero ben-essere della persona e della comunità.

Educare, quindi a scuola non solo è possibile ma, nel flusso continuo dei cambiamenti, assume oggi carattere di priorità. “Istruire per educare”: è questo, in fondo, il semplice ma radicale messaggio di buone pratiche scolastiche qui riportate. In ambienti dove si sperimenta un positivo senso di sé e di reciproca appartenenza, e si punta alla formazione di uno spirito critico-costruttivo e di una mente aperta gli studenti raggiungono anche straordinari gradi di successo scolastico. Una “scuola buona”, questa, che ci dice quanto intelligenza e saggezza, studio e pratica dei valori, siano inscindibili.

Come raccomanda il famoso Rapporto UNESCO sull’educazione per il XXI secolo[1], non basta “conoscere” e  “fare”, ma occorre saper “essere”. Può accadere anche che a scuola ci si accontenti di qualche idea generale e astratta, magari di un bel “programma” educativo, ma che nella pratica poi non venga applicato. Le teorie possono diventare cattive compagne se ci allontanano dall'esistenza per confinare l’essere umano in categorie astratte. Solo nel cuore dell'umanità di quel bambino, di quel ragazzo, la cui intelligenza tende a fondere parola e vita, teoria e pratica, si può puntare alla verità ed educare alla vera saggezza. 

È anche il messaggio più profondo che questo libro vuole indirizzare a quanti dell’istruzione intendono farne palestra di educazione. Occorre, quindi, dare maggior visibilità a queste “buone pratiche”, perché - riconosciamolo - sulla scuola incombe un pessimismo diffuso. Abbiamo difficoltà ad assumerci le nostre responsabilità di adulti. Il merito di questo libro è di aver messo in evidenza la passione e la dedizione, la creatività e l’incessante arte di ricominciare che animano ancora tanti educatori, non semplici competenze da trasmettere e da esercitare, ma fulcro di vita da cui immaginare strade nuove per l’educazione.

[1] J. Delors (a cura di),  Nell'educazione: un tesoro ( rapporto  della Commissione Internazionale all'UNESCO sull'Educazione per il XXI secolo), Armando, Roma 1997.


Pubblicato da  Annamaria Gatti  

gatti54@yahoo.it

 

 


martedì 1 aprile 2025

La Scuola va amata. Perchè e come? Forte editoriale di Elvira Zaccagnino

 

Scuola con la lettera maiuscola

Pubblico questo editoriale (di qualche mese fa, ma così attuale!) di grande verità della direttrice de "la meridiana" e la ringraziamo tutti per aver messo in parole l'anelito di tanti. Mie le segnalazioni in grassetto e le sottolineature. Per l'editrice "la meridiana"  in anni recenti Annamaria Giarolo ed io abbiamo pubblicato il libro "Io amo la scuola", che tanto racconta di come gli insegnanti possano  davvero fare la differenza e vadano aiutati realmente in questa scelta. Non sono tempi facili questi, ma occorre il coraggio di condividere ciò che ci sta a cuore per il benessere delle giovani generazioni e di chi di loro si occupa. 


"Ci sono cose che vanno dette e le diciamo" 

di Elvira Zaccagnino

"Io amo la scuola" 

Forse dovremmo partire da qui, quest’anno. Dal dirci, con sincerità, che la scuola va innanzi tutto amata. E lavorarci per un intero anno scolastico tenendo la bussola orientata a questa idea da ripetere come un mantra, non per convincerci ma per dare un senso a ciò che facciamo.

Perché è la Scuola che va amata, non l’insegnamento, o gli alunni, o il mestiere del docente. Quelli sono fatica, routine, scartoffie, riunioni, compiti da correggere, lezioni da preparare, colleghi da sopportare e supportare, genitori con cui parlare, studenti da incontrare ogni giorno. Tutto questo rende la scuola pesante, un lavoro e basta: come tutti i lavori, se non li ami ti alienano. La scuola ti aliena di più.

La Scuola va amata e serve come il pane perché è una istituzione democratica di un Paese civile, presidio educativo in grado di garantire a tutti, nessuno escluso, pari opportunità. I regimi la aboliscono o la vietano alle donne, ad esempio.

Quale scuola va amata? 

Una scuola che è alla portata di tutti, che usa la modernità al servizio del suo compito, come quella che portò il maestro Manzi quando insegnò a leggere e scrivere a un popolo analfabeta nell’Italia degli anni sessanta, usando il media allora più popolare.

Una scuola rivoluzionaria perché fa una scelta politica di parte come quella che fece Lorenzo Milani tenendo in classe la Costituzione e il dizionario, per non dimenticarci che siamo uguali e che è il numero di parole che possediamo che ci fanno sudditi o cittadini.

Una scuola capovolta nelle dinamiche di insegnamento e apprendimento dove gli alunni, le alunne, gli studenti e le studentesse non sono imbuti da riempire ma talenti da scoprire e accompagnare a fiorire, come quella che fecero Mario Lodi, Gianni Rodari, Francesco Berto, Emma Castelnuovo, Maria Montessori, Grazia Honegger Fresco, Gianfranco Zavalloni.

Va amata, anche, la Scuola come valore. Come necessità per restare umani noi e far innamorare chi è affidato alle nostre cure dell’umanità di cui siamo parte, perché è ciò che di sacro dimora in noi.

Amiamo una scuola che non educa al futuro, ma all’oggi dal quale il futuro poi dipende.

 

Un atto di obiezione

 

Amare la Scuola oggi, nel nostro Paese, è un atto di obiezione verso una narrazione che colpevolizza chi insegna, chi impara, verso le regole, i programmi, gli spazi e i tempi dell’educare e dell’imparare di ognuno e ognuna. Un atto di obiezione a testa alta verso chi la declassa e la depriva spogliandola del ruolo politico che l’educare ha. Perché educare è fare politica.

Non sarà un anno facile: non comincia nel migliore dei modi. Sarà un anno dove genitori, insegnanti e ragazzi saranno di volta in volta colpevolizzati, redarguiti, censurati, usati. Per questo è l’anno giusto per un atto d’amore verso la Scuola. Un amore che libera e non costruisce relazioni tossiche. Che, anzi, ci salva da queste. Una Scuola che difendiamo e mettiamo in atto perché sappiamo che è il solo luogo, tempo e spazio dove la relazione può essere appresa e sperimentata crescendo noi e facendo crescere gli altri.

Se ognuno cresce solo se sognato, quest’anno proviamo a sognare insieme la Scuola e a farla crescere nel sogno di un Paese che l’ha gradualmente dismessa e impoverita.

Io amo la scuola: diciamolo a voce alta. Perché l’amore può cambiare e cambiarci. Farci fare follie e anche rivoluzioni. Non dormire la notte per trovare soluzioni e palpitare per ogni sguardo che riceviamo.

Io amo la Scuola e parteggio perché ce la faccia. E se ce la fa lei, ce la facciamo tutti. Oggi per il domani.

Elvira Zaccagnino

pubblicato da Annamaria Gatti

sabato 15 marzo 2025

Un'altra favola di Paolina per raccontare la speranza e la bellezza: Paolina primavera

                              

PAOLINA PRIMAVERA

di Annamaria Gatti

Illustrazione di Eleonora Moretti 

Fonte:  Città Nuova Marzo 2022

dedicata a Sofia

Paolina era stata in letargo nella sua tana e ora si stava svegliando.

“Oh, che dormita. Chissà cosa farà ora Sandro…” stava pensando, proprio mentre la voce dell’orsetto l’aveva invitata.

“Paolina esci, ho una fame! Facciamo colazione?”

L’orsacchiotta aveva afferrato l’inseparabile peluche orsobimbo e si era precipitata fuori.

Si era stropicciata gli occhi perché il sole era già alto e splendente.

“Cavolo! Orsobimbo, guarda com’è diventato magro Sandro e il bosco non è più rosso e giallo come nel mio bel disegno! Ci sono foglioline nuove sui rami dei larici e l’abete ha gli aghi verde chiaro!”

“Il bosco è diverso, ma cosa è accaduto?” aveva chiesto Sandro.  

“Ops! Sono inciampata in una zolla fiorita… Sono primule. E ohi,  stavo per schiacciare una bellissima farfalla gialla! ”

“Queste sono margheritine, ma chi ce le ha messe? E le formiche hanno ripreso a fare lunghe file per procurarsi qualche seme” aveva aggiunto Sandro stupito.

“Dobbiamo scoprire chi ha fatto queste bellissime cose.” Paolina era decisa e voleva capire. Intanto si stiracchiava e pensava alla colazione: il pancino suo e di Sandro brontolavano. Solo orsobimbo era pacifico come sempre, chissà perché.

Fu allora che un fringuello sfiorò Paolina con un frullio d’ali: “Paolina, ben svegliata! PISTAAAAAA, devo preparare il nido per i miei piccolini.”

“Oh bella, ma che succede?” Ma l’uccellino era già volato via.

“Non vedi orsetta? E’ arrivata la primavera!” aveva spiegato una capinera di passaggio.

“Prima-cosa?!”era sbottato Sandro.

“P - R - I - M -A- V -E -R -A, Sandro. Quella cosa che c’è più luce e calore e…”

“…E scoiattolo Rossino si risveglia e ricomincia ad arrampicarsi e a borbottare?”

“Ecco proprio così, ma non so chi combina tutto questo. Vieni, facciamo colazione da nonno Gianni così chiediamo a lui.”

Si incamminarono verso la dimora di nonno Gianni e quando furono lì, finalmente il mistero fu…quasi svelato.  

“Cari orsacchiotti, cara nipotina, è l’amore il responsabile di tutta la primavera. La natura obbedisce all’amore che l’aiuta a mettere nuovi frutti, foglie e nuove creature. Non è meraviglioso?”

Aveva un sguardo birichino e dolce il nonno, da dietro le lenti degli occhiali posati sul suo nasone di vecchio orso. Quante cose sanno i nonni!

Paolina e Sandro restarono a bocca aperta increduli. Poi orsobimbo partì alla ricerca dell’amore per ringraziarlo di quella bellezza.

Pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it



 



martedì 11 marzo 2025

L'educazione in pericolo

 


Le parole sono parole.

Può un pedagogista disinteressarsi di politica? Certamente no, soprattutto quando è in grande pericolo l’educazione, minati i cervelli   e   le   coscienze   dei   più   piccoli.   

Ne      motivo l’umiliazione russo-americana scatenata contro il presidente ucraino   Volodymyr   Zelens'kyj.   Qualsiasi   opinione   si   abbia sulla guerra di resistenza con cui egli difende la libertà del suo   popolo,   questo   disumano   uso   delle   parole   porta   in   sé qualcosa di inquietante. 

Per questo, come educatore, sento il dovere di esprimere indignazione per il clima di odio che ci infesta.Le sprezzanti parole rilanciate dai media non possono passare sotto   silenzio.   I   giovani   ce   ne   chiederanno   conto.   

Ciò   che succede   oggi  è   quanto   puntualmente   precede  ogni  guerra: parole   come   proiettili   per   provocare,   intimorire,   ridurre   al silenzio.   Senza   entrare   nel   merito   di   come   oggi   si   sta “promuovendo”   la   pace,   non   si   può   nascondere   il   gioco perverso di spartizione delle spoglie ucraine da parte della Casa   Bianca   e   del   Cremlino.   Indipendentemente   da   una possibile fine della guerra (dopo la quale però non è facile ora immaginare   una   vera   pace)   non   possiamo   voltare   la   testa indifferenti di fronte a parole come “bastardino nazista, cane infestato di pulci…pazzo e pericoloso...meglio sopprimerlo in silenzio, senza sofferenza”. 

Ma ben altre e più raccapriccianti sono le espressioni usate quotidianamente ad ogni tentativo della vittima di rialzare la testa e chiedere rispetto, umanità, libertà. Quello   che   sorprende   è   l’indifferenza   di   fronte   a   questa invasione semantica, al significato perverso delle parole. 

Non dimentichiamo che la mancanza di rispetto è il primo grande crimine   dell’umanità,   da   cui   discendono   altri   crimini. Discredito,   disinformazione,   aggressività   verbale,   facce   da combattimento.   La   guerra   è   già   finita   prima   ancora   di vincerla:   parole   svendute   come   bombe   sul   mercato   di   una pace azzoppata che cammina con la forza della disperazione. Non sa se sarà vera pace. Non è discutere di geopolitica il compito primario di chi vive ogni giorno tra i giovani. Ma siccome i giovani ci guardano e ci sentono, ognuno che si occupi di educazione (non solo in famiglia   e   a   scuola,   ma   nel   proprio   modo   di   comportarsi) dovrebbe aver a cuore l’uso che si fa delle parole. 

Con esse si può dare la vita ma anche decretare la morte: parole come ali, se usate per promuovere; parole come pietre se scagliate per distruggere. Proprio   ieri   ero   all’inaugurazione   dell’anno   accademico   nel mio piccolo ma coraggioso Istituto Universitario Sophia. La lectio   magistralis   del   prof.   Fabio   Petito,   professore   di Relazioni   internazionali   all’Università   del   Sussex,   e   gli interventi di altri Relatori hanno più volte sottolineato il ruolo determinante,   pur   a   lungo   termine,   svolto   dall’educazione. L’Educazione all’uso di parole di pace dovrebbe esser il primo obiettivo di un vero leader, di ogni Educatore che in quanto tale è leader agli occhi dei più piccoli. Come hanno fatto i grandi   sognatori   di   un’umanità   giusta   e   fraterna,   quali Gandhi,   Martin   Luther   King…o   i   visionari   fondatori   di un'Europa Unita come Schumann o De Gasperi… 

Parole per comprendere la complessità di contesti e punti di vista diversi, per mediare, sostenere, unire. È   compito   della   famiglia,   della   scuola,   dell'intera   comunità percorrere insieme ai giovani sentieri di pace, ogni giorno, esercitati  a  seguirne   le   tracce   e  a  ripassarle  più  volte  per segnare   la   via.   Senza   comprensione   e   lunghi   esercizi applicativi non si formano abitudini. Se si fa fatica perfino a mantener   in   ordine   la   propria   stanza,   figurarsi   la perseveranza che serve per imparare la pace. Come ci si può facilmente   abituare   al   male,   allo   stesso   modo   ma   con   più determinazione prender dimestichezza con il bene. La guerra non è nel nostro retaggio evoluzionistico.  Come ci siamo più volte arresi all’inevitabile destino della guerra allo stesso ci possiamo testardamente armare per la pace: sentieri su   cui   spesso   si   perdono   le   tracce,   da   percorrere   e ripercorrere   più   volte   per   non   perderne   la   memoria.   Per questo occorrerebbe nei telegiornali e nei salotti confrontarci di   più   del   “come"   allenarci   alla   pace.   

Educatori,   Scuola   e Famiglia,   ogni   forma   di   aggregazione   civile,   associazioni giovanili   e   adulte   non   possono   stare   alla   finestra   mentre, fuori, disinformazione e urla   disumane  la fan da padroni   e occupano le vie. Bisogna con pazienza e lungamente abituarci ad usare parole buone. 

La pace avrà il mio volto  e  le mie mani, le mie parole.

                                                          Michele De Beni             docente Università Sophia

Pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it

Illustrazione da C. Mackesy "Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo"



sabato 22 febbraio 2025

Vicini a Papa Francesco

 


Non è facile in questi giorni di martirio nel mondo per la violenza e le guerre che colpiscono tanti popoli, aggiungere una ulteriore grande preoccupazione per la salute di Papa Francesco.

A chi lo ha incontrato e apprezzato, a chi lo ascolta e segue l'evoluzione della sua  malattia,  resta nel cuore il vivo desiderio di rivederlo presto ristabilito.

Cari auguri Papa Francesco! direbbero i bambini. Ti pensiamo, preghiamo per te e siamo sempre  con te che ci vuoi bene.

E la preghiera dei bambini sappiamo vale molto molto di più.




pubblicato da Annamaria Gatti
foto da redazioneweb



mercoledì 19 febbraio 2025

Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo. Un libro splendido dagli otto ai cento anni

 


di Charlie  Mackesy
Editore Salani, ottobre 2020

Quasi una recensione di Annamaria Gatti

Un evento questo libro di Charlie Mackesy,  un successo internazionale, e tutto meritato planato su un incredibile tempo, quello del lock down. 

Mi piace ripresentarlo per il motivo che stiamo attraversando anni di tensione al meglio a fronte di giorni bui di retrocessione umana e valoriale. E increduli ci chiediamo se avremo la tenacia per raccontare ai ragazzi che possiamo farcela, che a tutto questo male e questa violenza si può e si devono opporre concreti gesti di compassione e amore.

Questo resta un libro senza età e senza confini. 
Un libro verissimo e forse più poesia che prosa.
Basta sfogliare e immergersi nelle prime pagine.
  • Dedica alla mamma dolce e gentile - Ecco dove nasce tutto...
  • La premessa è un messaggio per il lettore, qualsiasi lettore e sono quattro paginette scritte in corsivo, come tutto il libro, in cui saluta, in cui il talento è essenzialmente umiltà, desiderio di aiutare l'altro a essere sereno, ma anche felice.
  • Il libro inizia con un CIAO. Che pare voglia dire: ci sono per te, tu sei lì per me, eccoci, proseguiamo insieme...
  • Le prime pagine riaffiorano dalle radici del senso di questo libro: l'incontro vero fra tre animali e un bambino che cerca. Cerca le risposte alle sue domande.
  • Qualche volta gliele fanno; "Cosa vuoi fare da grande?" "Essere gentile" disse il bambino. Ecco qui sta tutto.
  • Poi il libro prosegue nell'incontro con una volpe, ops scusate la volpe, e il cavallo, forse il maestro. Certo,  affascinante guida nella tempesta, nella solitudine, nell'errore, nella vita.
Sono così poche le parole in ogni pagina solo perchè sono pesantissime, vivide e vere, concentrate, infinite. 
Il fascino di queste pagine lascia in animo un'impronta inquietante, eppure siamo adulti, eppure ne abbiamo letti di libri... ma quelle pagine sono altro e ci riportano a quei libri che non si dimenticano, perchè hanno fotografato la tua anima.
                "Essere gentile con te stesso 
               è uno dei più grandi atti di gentilezza che ci siano."
                "Quale è la cosa più coraggiosa che hai mai detto?
Chiese il bambino. 
-Aiuto- rispose il cavallo".
    "Chiedere aiuto non significa arrendersi 
ma  rifiutarsi di arrendersi"
 "La vita è dura ma c'è chi ti ama"
                                                                    Grazie


Pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it








lunedì 17 febbraio 2025

Favola di carnevale anche in Podcast: Chi ha rubato i colori ad Arlecchino?

 


In questi giorni di grandi tristezze, vogliamo raccogliere tutte le forze per raccontare il bene che c'è, anche Arlecchino ci ha provato e i colori perduti sono tornati. Una favola che già  molti conoscono ma ora  da ascoltare!

CHI HA RUBATO I COLORI DI ARLECCHINO?     

Narrata con garbo e dolcezza da Gabriella Maggiora

di Annamaria Gatti 

illustrazione di Eleonora Moretti

Fonte Città Nuova

https://www.cittanuova.it/multimedia/2023/2/16/rubato-colori-arlecchino-ascolta-la-favola-carnevale/

Ecco il testo:

Arlecchino dorme tranquillo nel suo letto, quand’ecco una voce lo sveglia di soprassalto:
“Arlecchino! Dove sei? Svegliati, è l’ora di andare al mercato!”
Arlecchino è proprio assonnato e stanco.
“Voglia di mercato, saltami addosso!” bisbiglia appena. Si veste con calma e poi ha un brivido.
“Brr, fa freddo! Torno a letto.”
E si tuffa nel piumone soffice.
“Arlecchino! Vieni qui aiutami ti prego!”
“Arlecchino! Angiolino ti aspetta per aggiustare la gabbietta del canarino.”
“Arlecchino! La signora Elvira deve sistemare il giardino…”
Ma lui dormicchia…
“Arlecchino… Arlecchino! Sempre di me c’è bisogno? Io oggi sto sotto le coperte.”
Arlecchino si riappisola sotto le coperte, poi apre un occhio e subito dopo l’altro, piano piano, senza fretta. Subito però li richiude spaventato.
“Ma… sono tutto grigio!”
Si guarda nello specchio dell’armadio grande: dov’è finito il suo bel vestito multicolore? Che sia uno scherzo di Carnevale?
Apre la finestra e giù nella strada è già cominciato il Carnevale: le maschere si preparano alla festa e un’occhiata di sole le sollecita già agli scherzi!
“E adesso come faccio?” si dispera Arlecchino. “Non posso certo presentarmi così, con queste pezze grigie. Guarda anche il cappello e la maschera sono grigiastri”
Un pettirosso ha ascoltato il lamento di Arlecchino e impietosito lo rassicura:
“Non ti disperare amico! E’ il grigiore dell’animo che intacca l’abito e l’umore. Dimmi cosa hai combinato stamattina di così strano?”
“Niente, non ho fatto niente. Beh, ho proprio deciso di chiudere il cuore…se proprio lo vuoi sapere!”
“Vedi tu!” sospira il pettirosso.
Arlecchino fa un balzo, non per paura, né per sconforto: riprende possesso del suo cuore, spazza tutto il buio e sorride a se stesso. Poi recita la sua filastrocca:
Arlecchino è a colori
un insieme di tesori
pronto a vivere contento,
della vita ogni momento.
Pronto a dare il suo aiuto,
anche a te ogni minuto,
perché al tristissimo grigiore
preferisce i colori dell’amore.

“Arlecchino! Per favore!”
“Vengo, vengo!”
E avviandosi alla porta, passa davanti allo specchio dell’armadio grande, dove si ferma: i colori stanno ritornando più vivaci di prima, su, su, dalle scarpe al cappello.
Anche lo stomaco riprende a brontolare. Allora, rivolgendosi all’Arlecchino multicolore riflesso nello specchio e prostrandosi in un bell’inchino, decide:
“Prima farò un’abbondante colazione: coi colori mi è tornato l’appetito! La vita e’ proprio bella! ”
“E’ sempre il solito!” fischietta allegro il pettirosso svolazzandogli appresso.