Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

domenica 9 novembre 2025

Ragazzi, chi cerca la perfezione si allontana dalla felicità. Di Marco Erba, prof e scrittore

 


Ragazzi, chi cerca la perfezione si allontana dalla felicità

di Marco Erba, insegnante e scrittore

fonte: Avvenire -  8 novembre 2025

Quando si parla di problemi adolescenziali o devianza giovanile vengono in mente bullismo e trasgressioni. Ma anche l’ossessione per l’eccellenza è una forma di dipendenza.

Luciana studia tantissimo, padroneggia ogni dettaglio. Ottiene voti impressionanti in tutte le materie, con una costanza mai vista. Riempie quaderni su quaderni di appunti, le pagine dei libri di note. Non si concede una sbavatura. In classe è sempre attentissima. Ma è anche sempre imbronciata. Diffida di tutto, crede che le amiche le parlino alle spalle, è angosciata da ciò che i compagni pensano, o potrebbero pensare, di lei. Teme il giudizio altrui e, allo stesso tempo, ne è dipendente. Chiude le relazioni, non accetta errori dagli altri, come non ne accetta da sé. Non tollera quella dose di ambiguità, di falsità, di caduta che chiede misericordia presente in ogni rapporto umano. Non devono esistere sbavature né in lei, né intorno a lei.

Una volta si offre per farsi interrogare. Ha studiato tutto nel dettaglio, come sempre. Padroneggia ogni aspetto della materia, si è formata una sua opinione su ogni argomento e sa sostenerla, ha una proprietà di linguaggio strabiliante. Alla fine le faccio i complimenti, le do dieci. Torna al posto mantenendo quel suo solito broncio fino alla fine dell’ora. Mentre spiego, mi guarda storto. Mi sale la tensione: cosa sta succedendo? Cosa c’è che non va? Alla fine della lezione mi ferma, mi chiede di parlare: «Prof» mi dice, prendendomi in disparte, «lo ammetta: lei mi ha dato dieci solo perché le sono simpatica. Non è un voto meritato, è regalato. Io lo so.» Cado dalle nuvole. Mi spavento. Come può avere una percezione della realtà così distorta, così falsata? Le dico che non è vero, le motivo il voto, le spiego che era preparatissima e che quel dieci è del tutto meritato. Non mi crede: se ne va sbuffando, ostile. Luciana non è felice.

Qual è il contrario di felicità? Quando lo chiedo alle mie classi, quasi tutti mi rispondono che il contrario di felicità è infelicità. Qualcuno allarga la prospettiva, prova con altro: tristezza, insoddisfazione. Tutto vero, ma c’è qualcosa di ancora più distruttivo, di ancora più opposto alla felicità, di ancora più antitetico. Il contrario di felicità è perfezione. Luciana è infelice perché vuole essere perfetta, perché vuole un mondo perfetto. E quando vuoi essere perfetta, niente è mai abbastanza, perché sei tu a non sentirti mai abbastanza. Nessun voto, nessun trofeo, nessun risultato potrà mai soddisfarti, potrà riempire il vuoto che hai dentro, potrà spegnere quella fame vorace che tutto ingoia.

 Silvia ha una sfilza di voti impressionanti, in tutte le materia. Apro il registro, li guardo: nove e mezzo, dieci, dieci, dieci, nove, nove e mezzo, nove e mezzo, dieci, dieci. Poi guado le presenze a scuola: d’un tratto, il registro si fa tutto rosso: assente, assente, assente… Da quel punto, di voti non ce ne sono più, ci sono solo assenze. Perché Silvia, la migliore della classe, a metà anno smette di venire a scuola, si chiude in camera sua,

E quando vuoi essere perfetta, niente è mai abbastanza, perché sei tu a non sentirti mai abbastanza. Nessun voto, nessun trofeo, nessun risultato potrà mai soddisfarti, potrà riempire il vuoto che hai dentro, potrà spegnere quella fame vorace che tutto ingoia. Silvia ha una sfilza di voti impressionanti, in tutte le materia. Apro il registro, li guardo: nove e mezzo, dieci, dieci, dieci, nove, nove e mezzo, nove e mezzo, dieci, dieci. Poi guado le presenze a scuola: d’un tratto, il registro si fa tutto rosso: assente, assente, assente… Da quel punto, di voti non ce ne sono più, ci sono solo assenze. Perché Silvia, la migliore della classe, a metà anno smette di venire a scuola, si chiude in camera sua, non vuole uscire. Silvia inizia a farsi del male per punirsi di colpe che non ha, per colpe che ci sono solo nella sua testa. Silvia rifiuta un mondo che le mette troppa pressione, una pressione a cui si ribella chiudendosi e distruggendosi. Silvia scappa da una realtà che è convinta le chieda di essere perfetta, anche se non è così. La realtà non chiede perfezione, chiede amore.

La perfezione è il contrario della felicità. Quando si parla di devianza giovanile, di problematiche adolescenziali, vengono in mente soprattutto comportamenti legati al bullismo, alle dipendenze, alla trasgressione; pensiamo magari ai cosiddetti «maranza», mai agli allievi modello. Ma anche l’ossessione per la perfezione è una devianza, anche la ricerca dell’eccellenza a ogni costo è una forma di dipendenza. La perfezione è il contrario della felicità. Sono convinto che ciascuno di noi, nel nostro ruolo di genitore, educatore, docente, debba averlo bene in mente. Solo così, attraverso il nostro stile educativo, potremo creare un clima sereno, nel quale si chiede impegno, ma si accetta anche l’errore come insostituibile strumento di crescita, come preziosa occasione e non come fallimento personale.

L’Eneide di Virgilio, il grande poema sul troiano progenitore dei Romani, uno dei capolavori più straordinari di ogni epoca, non sarebbe arrivata fino a noi, se avesse prevalso l’esigenza di perfezione. Virgilio, l’autore, chiese infatti nel suo testamento di distruggere l’opera, che, a suo dire, non era ancora stata sottoposta a un adeguato lavoro di labor limae e conteneva alcune sbavature. La volontà dell’autore, per fortuna di noi tutti, non fu rispettata: pare sia stato l’imperatore Augusto in persona a chiedere agli amici di Virgilio di diffondere comunque l’Eneide. Si dice infatti, anche se non c’è alcuna certezza al proposito, che Augusto avesse udito declamare in anteprima alcune parti dell’opera, commuovendosi profondamente. Anche oggi, leggendo l’Eneide, si è travolti dall’emozione. Enea è un eroe umanissimo, disposto al sacrificio di sé per i suoi, capace di sentimenti profondi. È un personaggio a tutto tondo, non un perfetto eroe senza macchia e senza tentennamenti. E, giunti al finale dell’opera, un finale che resta aperto, all’inizio si è un po’ sconcertati da questa incompiutezza, poi se ne resta affascinati.

Secoli dopo Virgilio, nel Medioevo, anche Francesco Petrarca, strepitoso poeta, cercò la perfezione nei suoi versi. Era certo che avrebbe ottenuto fama immortale dalle sue opere in latino, la lingua di cultura dell’epoca. Tra queste opere, però, ne compose un’altra: un’opera, a suo avviso, di minor valore, tanto che la chiamò «Rerum vulgarium fragmenta», cioè «frammenti di cose volgari». Si trattava di una raccolta di poesie in volgare, una lingua che per Petrarca era troppo popolare per essere utilizzata nella vera letteratura. Nella raccolta in volgare il poeta mette a nudo il proprio io con una lucidità e una modernità sconvolgente: racconta il suo travagliato amore per Laura, la sua tensione verso ciò che è assoluto, ma anche le sue cadute, la sua schiavitù a ciò che è mondano. Oggi, se Petrarca è conosciuto e studiato in tutto il mondo, è grazie alla sua opera che giudicava minore, i Rerum vulgarium fragmenta, meglio noti come il Canzoniere. Petrarca è divenuto immortale grazie all’opera che giudicava imperfetta, perché scritta in una lingua imperfetta, inadatta ai veri intellettuali. E le sue opere latine? Non è andata come il poeta si aspettava: sono oggetto di studio quasi solo per gli specialisti.

Tutti noi siamo un po’ l’Eneide e il Canzoniere.

 Noi e i nostri studenti, noi e i nostri figli.

La nostra bellezza, il nostro essere capolavori, passa dall’imperfezione, quell’imperfezione che è crepa capace di far trapelare la luce. Quell’imperfezione che è l’unico varco dal quale possono passare i desideri più autentici, ciò in cui crediamo, ciò che pensiamo, ciò che davvero siamo. Quell’imperfezione che chiede accoglienza e insegna ad accogliere davvero.


in foto: opera  di S.P. 

 

 

 

sabato 8 novembre 2025

Un libro per aiutarci a capire l'educazione di genere




 IDENTITA’ FLUIDE IN UNA SOCIETA’ LIQUIDA 
 di DOMENICO BELLANTONI 
 EDITRICE CITTA’ NUOVA 

Recensione di 
Annamaria Gatti 

E’ assolutamente urgente aggiornare le proprie conoscenze su tutto ciò che lo scorrere dei giorni e dei pensieri sta trasformando la realtà che viviamo. 
E se non esiste più la possibilità di trincerarsi dietro ad espressioni come “ai miei tempi” o “è così e basta”, non è procrastinabile l’impegno per ogni adulto, educatore o meno, di capire come e cosa sta ribaltando ogni aspetto della crescita e della formazione dei nostri bambini, ragazzi e giovani. 
Il nuovo libro di Domenico Bellantoni, docente universitario, psicologo e psicoterapeuta, “Identità fluide in una società liquida - educazione di genere nel contesto contemporaneo” edito da Città Nuova per i Percorsi dell’Educare, riassume in oltre un centinaio di dense pagine (e ben quindici di bibliografia) gli strumenti per aprire un sipario autorevole sul tema della definizione della propria identità, che interagisce con gli aspetti culturali occidentali e di come cioè tali caratteristiche influenzino il processo di costruzione proprio dell’identità personale e di genere nei giovani. 

Nel capitolo su cui fermo l’attenzione del lettore, dal titolo “Educare al tempo del genere: istruzioni per l’uso”, l’autore offre validi suggerimenti di natura psicoeducativa in relazione al tema della percezione e definizione della propria identità di genere. E lo fa con precise osservazioni documentate nel corso dell’esposizione nei capitoli precedenti, chiarendo lucidamente posizioni e decodificando i modelli proposti, individuando alcune proposte inadeguate presenti soprattutto in internet e riferentesi anche alla possibilità di scelte di minori senza l’accompagnamento dei genitori. 

Bellantoni riconosce la difficoltà per i genitori di educare al genere con la dovuta lungimiranza e attenzione, e offre la possibilità di trovare in questo volume una guida che, senza essere ovviamente esaustiva, dà però le indicazioni giuste e motivate per lavorarci su. Dall’accompagnamento di cura raccomandato, all’affinamento delle capacità di ascolto, dall’obbligo di conoscere e formarsi sulle dinamiche in gioco nei processi di definizione dell’identità di genere, all’approfondimento del disagio manifestato verso l’identificazione circa il genere di prima assegnazione. Dall’educazione al rispetto di ogni tipo di diversità, alla testimonianza e alla coerenza a cui è chiamato ogni educatore, e questo è tanto vincente quanto è palesata la testimonianza del proprio vissuto gioioso della relazione di genere, affettiva e sessuale. 

Restano pilastri quindi l’accoglienza e l’alleanza che è auspicabile i genitori vivano quotidianamente nella relazione educativa, evitando di esasperare la tensione che può crearsi, accompagnando invece l’adolescente in un percorso di conoscenza e di orientamento. 

E’ nell’adolescenza che si sviluppa il processo di scoperta della propria identità di genere, ed è questa l’età più fragile, e spesso in balia di messaggi soprattutto veicolati da internet, di enfasi dell’autodeterminazione riguardo alla definizione di sé. Lì è fondamentale la presenza di adulti affidabili e consapevoli. 

Vi sono adulti che si irrigidiscono e rifiutano di comprendere, altri che per quieto vivere aderiscono e sono acritici e assenti, però, scrive lo psicoterapeuta… 

“…Esiste una terza posizione caratterizzante quegli adulti che accettano di fare da ponte fra le generazioni, nella consapevolezza che non c’è progresso senza radicamento nelle tradizioni e non c’è fedeltà ai valori tradizionali che non necessiti di una loro rivisitazione in relazione al progresso scientifico sociale e culturale. Tali adulti raccolgono la sfida educativa consapevoli, ma non incatenati ai propri valori e si propongono non già per lo scontro ma per l’incontro con i giovani innescando percorso di reciproca comprensione e dialogo, stabilendo relazioni educative in cui veicolare modelli e contenuti utili alla crescita personale di sè e dell’altro “ (pag.104) 

Adulti presenti, che sanno incontrare e che sanno individuare i bisogni e le risposte più adeguate e significative per chi sta crescendo, nella cura e nel rispetto.

giovedì 6 novembre 2025

Quanto è importante l'efficace relazione con le famiglie nella scuola? Un libro non solo per i docenti.

 


ALLEANZE EDUCATIVE
COSTRUIRE RELAZIONI EFFICACI TRA SCUOLA E FAMIGLIA
di ANNAMARIA GIAROLO
Edizioni ERICKSON
Annamaria Giarolo, pedagogista e già insegnante, fornisce uno strumento decisamente interessante su un tema centrale che fa della scuola una esperienza  di qualità. Professionista di notevole esperienza educativa e pubblicazioni rivolte agli insegnanti, scrive di ciò che ha sperimentato, a garanzia di quello che propone in riflessioni e vissuti. Vorrei sottolineare come sia un manuale non solo per insegnanti, ma di utilità anche per i genitori, il cui ruolo nell' alleanza è fondamentale per essere definita tale. Ecco perchè l'etichetta del blog riporta entrambe le agenzie educative.

 Riporto qui la bella presentazione  editoriale:
"Quando scuola e famiglia si parlano davvero, nascono alleanze capaci di trasformare l’educazione in un autentico percorso di vita. Questo libro è un invito, rivolto a tutti gli insegnanti, a riconoscere il proprio ruolo come snodo centrale nella costruzione di relazioni educative autentiche e solide. Non si tratta di semplice buona volontà, ma di una professionalità che si esprime nel creare ponti, nell’accettare la sfida della complessità, nel sapersi mettere in discussione per trovare sempre nuove strade verso il benessere dell’altro. Perché è nelle relazioni — con gli studenti, le famiglie, i colleghi, i collaboratori, gli specialisti — che l’identità del docente prende forma e significato. Attraverso riflessioni, esperienze e strategie, il testo offre spunti concreti per affrontare le fatiche quotidiane della scuola e per dare voce ai bisogni educativi — speciali e non — che popolano ogni classe. Un libro che parla di cura, di ascolto, di cambiamento, e che riconosce l’insegnamento come la professione più alta e più umana che ci sia."

Pubblicato da Annamaria Gatti
gatti54@yahoo.it


venerdì 31 ottobre 2025

I santi rifioriranno sempre.

 


                             I santi rifioriranno sempre (e amano anche gli antipatici)

                                                   di Maurizio Patriciello

                                           fonte: Avvenire 30 ottobre 2025

La santità è gioco. Giocare con Dio. Tentare di capire, di arrivare al fulcro, al centro, al cuore di questo Mistero che affascina e spaventa. Dio è amore

Péguy: «E quando si dice che la Chiesa ha ricevuto promesse eterne, che si possono radunare in una promessa eterna, bisogna quindi rigorosamente intendere che non soccomberà mai sotto il suo invecchiamento, sotto il suo indurimento, sotto il suo irrigidimento, sotto la sua abitudine e sotto la sua memoria… e che i santi rifioriranno sempre». 

Anche oggi, anche domani, anche con l’avvento dell’Intelligenza artificiale e delle mille astruserie che ai vecchi ancorati alle loro abitudini, fanno paura. Santità non è sacrificio, penitenza, perfezione. O, almeno, non solo questo. Santità è relazione. Il frammento si rispecchia nel Tutto e dal Tutto si sente attratta e annichilita. La goccia cerca il torrente senza il quale sente di evaporare. La santità è gioco. Giocare con Dio. Tentare di capire, di arrivare al fulcro, al centro, al cuore di questo Mistero che affascina e spaventa. Dio è amore. 

Il santo ama. Chi? Tutti. Anche gli antipatici? Anche quelli. Ma gli altri sono cattivi. Vanno aiutati a esserlo di meno. Lui, il tuo Dio, li ama. E ti chiede di fare altrettanto. Ce la sussurriamo la verità in questa giornata dedicata a loro, ai santi? Giudicare è più facile che amare. Ti mette sul piedistallo e ti fa guardare dall’alto coloro che Dio ha voluto guardare negli occhi. Selezionare, incasellare, etichettare, litigare, condannare: tutto questo ci mette al riparo dalla fatica di dover amare. Attenzione ai paraventi. 

Chi ama ha vinto la paura – ogni paura – perché si fida. Il coraggio dei santi affonda qua le sue radici. Si fida. E ritorna bambino. Capace di meraviglia e di stupore, bisognoso si dialogo e carezze. Si guarda attorno e “vede”, finalmente “vede”. Vede il sole e le castagne; i crisantemi e i campanili; il piccolo appena nato e l’altro che viene gettato nella fogna. Vede l’acqua del fiume inquinato e quella del battesimo. “Vede” il Pane che diventa Dio e Dio che si fa pane da mangiare. 

Una magia? No, un gioco. Perché un padre ama giocare con i suoi bambini. E gli uomini, che fin troppo si prendono sul serio, devono imparare a giocare per diventare veramente uomini. E i peccati? Dove li mettiamo i peccati? Dove li ha relegati Iddio. Gli antichi monasteri vuoti non sono un fallimento, ma testimonianza di fede di fratelli e sorelle che hanno amato Dio e gli uomini in quel luogo, in quel tempo. State sereni, nulla è andato perduto. Ogni secolo ha avuto i suoi santi. Ma guai ad abituarsi troppo. Guai a trasformare i santi in “santini”. Faremmo un torto allo Spirito Santo che è perenne novità; a Dio che ci spiazza sempre.

Per dodici secoli la Chiesa e il mondo hanno fatto a meno di Francesco di Assisi. Fino a quando non arrivò questo giovane, originale, un po' folle, un po' strano, incompreso dai religiosi del tempo. S’innamorò. Di chi? Del lebbroso? Della foresta? Del canto degli uccelli? No, si innamorò di Cristo. Voleva lui, cercava lui, voleva giocare con lui, rimanere con lui. Un solo pensiero lo tormentava: offenderlo, pur senza volerlo. E ripercorse le antiche vie già tracciate dalla Chiesa e ne scoprì altre. 

Chi ama teme di fare del male alla persona amata, ed ecco l’assisano farsi severo con sé stesso e gli altri. Forse troppo. E se – il solo pensiero mi fa male – e se dicevo, per il futuro nessun giovane sentisse il fascino di indossare il saio? Per quindici secoli la Chiesa e il mondo non hanno saputo chi fosse Ignazio di Loyola e i gesuiti. E così via. Come sono diversi tra loro, i santi. Al punto che – poverini – qualche volta si sono guardati in cagnesco. La santità si declina in mille, diecimila, centomila modi. Perché ovunque volgi lo sguardo, Dio ti ammalia. Fino a oggi ne abbiamo appena sfiorati alcuni, il bello non è ancora arrivato. 

Non è facile rimanere sereni mentre il mondo cambia. Guardiamoci indietro. Ripercorriamo a ritroso la nostra storia. Che hanno in comune l’adolescente Carlo Acutis e il martire Ignazio di Antiochia? E i piccoli portoghesi, Francesco e Giacinta Marto, che ci fanno accanto a Tommaso d’Aquino e ad Agostino? Questa santità – perenne novità - mi attrae. Mi incanta la fantasia di Dio. 

Spalanco gli occhi: un bimbetto che sgambetta appena ha raccolto nel prato un minuscolo fiorellino giallo e lo ha regalato al suo papà milionario. Mi fermo, li scruto. Voglio imparare. Osservo la gioia del piccolo che ha donato tutto ciò che aveva di più bello, ma, soprattutto, quella del babbo che stringe al cuore il suo bambino, il bene più prezioso. 

I santi rifioriranno sempre. Anche oggi. Anche in mezzo a noi. E – perché no? – anche noi stessi possiamo fiorire in questo giardino dai mille fiori e mille profumi. Fiducia. Umiltà. Tanta, tanta, tanta umiltà. Amore. Oggi abbiamo una sola cosa da fare: amare. Cominciamo subito, senza preamboli, senza opporre resistenza, senza cercare appigli per sfuggire all’unico nostro dovere. Senza distinzioni, senza preclusioni. Noi non possiamo non amare coloro che Dio stesso ama. E se Dio ha tanta pazienza da rispettare i tempi dei “peccatori”, i loro ritardi, le loro giustificazioni, le loro bugie, le loro cadute, chiede a noi, peccatori perdonati, di imitarlo. “Ama e fa quello che vuoi”. Ho capito, Signore. Sono pronto. Mettiamoci in cammino. Soli Deo gloria.


pubblicato da Annamaria Gatti

foto: Focus,it

giovedì 30 ottobre 2025

Ultimo appuntamento favola 7. Doni a saperli vedere: Tramonto e grazie

Scrivevo... e vi ripropongo questa favola, perchè in questi giorni occorre vedere i doni che ci circondano e senza chiederci nulla. Facciamolo con i nostri bambini.

Carissimi tutti che seguite il blog. O carissimi affezionati  lettori del periodico Città Nuova. Questa è l'ultima favola pubblicata sul cartaceo di Città Nuova di cui sono autrice e di cui Eleonora è illustratrice. E di questa opportunità che ci ha entusiasmato e rese migliori... ringraziamo la redazione di  Città Nuova. 

E' stato bellissimo accogliere i vostri commenti e il vostro entusiasmo. Altri viaggi bellissimi senz'altro si apriranno,  ma volevo lasciarvi parte di un commento di Chiara M. che ringrazio,  giuntomi poche ore fa che mi ha commosso e che mi pare il più bel saluto a tutti, bambini, genitori, insegnanti e nonni che ci avete seguito. E' stato un bellissimo cammino.

Ho letto (la favola). Semplicemente splendida🥰Grazie! Sai far sognare e questo è bellissimo.



TRAMONTO  E GRAZIE 

favola di Annamaria Gatti              illustrazione di Eleonora Moretti

fonte:  Città Nuova, novembre 2023 


Dopo aver scoperto che la natura è una meraviglia, anche nelle più piccole cose, Lucia aveva ammesso: “Non avevo mai notato tanta bellezza.”

Carlo, che governava con maestria la mongolfiera, aveva aggiunto: “Beh, io l’avevo vista ma non l’avevo osservata ed era come se non ci fosse. Sono stato proprio distratto!”

La mongolfiera aveva sussurrato: “Voglio svelarvi un altro segreto…” Ma non fece in tempo a continuare, perché un lampo di luce rosso fuoco la scosse tutta e i due bambini  spaventati si aggrapparono alle funi della mongolfiera che li rassicurò:

“Scusate ragazzi, il sole ha sempre un modo originale di salutarmi. Ora se ne va un po’ più in là, a ovest, e mi  regala i colori del tramonto…”

I lampi si susseguirono nel cielo e i due amici erano affascinati da quello sfolgorio. Fasci di luce a sfumature d’ambra, vermiglio, corallo, ciclamino e violetto si alternavano  fino a confondersi in uno spettacolo multicolore.

Carlo e Lucia si chiedevano: “Come può accadere tutto questo?”

Il sole sornione, già pronto a far posto al crepuscolo, cercò di chiarire: “Questione di cirri, bambini. Le nuvole alte, sospese nell’atmosfera, sono fatte da cristalli di ghiaccio, che io illumino durante il tramonto, e ne viene fuori tutta questa meraviglia. Sono un eccellente pittore vero?”

“E’ vero. Ma ora dobbiamo tornare sulla Terra, nel parco, e tu Lucia, al tuo castello” aveva comunicato un po’ dispiaciuto il responsabile Carlo, che promise. “Verrò a trovarti Lucia e anche tu potrai venire qui al parco a giocare.” “Certo verrò sicuramente, ma ora atterriamo laggiù,  ci sono  bambini e bambine con cui possiamo fare amicizia” suggerì la principessa.

Laggiù nel parco, erano tutti a naso in su, un po’ per la bella mongolfiera e un po’ per gli splendidi colori del cielo. Lucia era raggiante per la possibilità di stare ancora con  altri bambini,  che la invitarono a godersi insieme quel tramonto e a indovinare il nome dei colori e delle nuvole, mentre Carlo assicurava la mongolfiera, che finalmente poteva riposare. Anzi no, nessun riposo per il pallone aerostatico,  a causa del chiasso quando tutti i bambini esplosero in un formidabile " GRAZIE!!!" che arrivò fino al sole. E tutti si sentirono profondamente contenti.

Anche tu, che leggi o ascolti queste storie, ti senti felice quando esprimi il tuo grazie a qualcuno? Dai ora racconta tu...

domenica 26 ottobre 2025

Si può fare un errore e non essere persone sbagliate. Cosa significa questo per i nostri ragazzi.


Condivido questo siginificativo contributo di Angela Mammana, psicoterapeuta e firma di Città Nuova. Dialoga con il  bambino o la bambina che siamo stati/e,  incontra  gli adulti che siamo oggi, lasciando un semplice e verissimo messaggio, che può rassicuraci: "...si può fare un errore e non essere persone sbagliate..." ma questo ci conferma che "Un ragazzino ha bisogno di un adulto accanto che dica in modo autentico: «Tu sei diverso da me, mi piaci così, vai bene»".

PROTAGONISTI DI VITA

                                                  di Angela Mammana

                                     fonte Città Nuova -  24 ottobre 2025

"Diventare protagonisti della propria storia sembra quasi un buon titolo per un prossimo libro, uno slogan dei mentori più in voga del momento, una frase ad effetto che può essere motivante. 

Non ci credete! Non è semplice per nulla.

Se vi chiedessi come avete preso le ultime decisioni importanti?

Qualcuno vi ha consigliato?

Quale criterio avete usato?

Avete seguito quello che vi hanno insegnato in passato, o vi siete fatti delle domande autentiche su quello che è importante per voi?

Essere protagonisti vuol dire sentire che dentro di noi tiene il timone della nave una parte adulta e saggia, che sceglie con consapevolezza, che trova soluzioni creative, non segue la massa, ma un pensiero metabolizzato, si fa domande scomode, accoglie le proprie emozioni. Tutto ciò è complesso quando la nostra storia è stata puntellata da esperienze traumatiche, o da piccoli traumi relazionali che si sono ripetuti nel tempo come cattive abitudini.

Alle volte ascolto studenti che si bloccano davanti a libri che sembrano macigni. Come F., che ogni volta che guarda il suo programma di studio ha paura di non dimostrare di essere all’altezza delle aspettative dei genitori.

A., nonostante stia facendo dei progetti meravigliosi con gli studenti delle scuole, le settimane prima del lavoro è assalita da dubbi sulle sue capacità, si dà della “scema”, pur avendo conseguito diversi risultati accademici e professionali.

S., invece, quando torna dalla sua famiglia d’origine non si sente in grado di dire “no” alle richieste che le fanno, nonostante abbia notevoli capacità e competenze che utilizza nel lavoro.

Poi, F. che è in crisi perché il nuovo ruolo di coordinamento la fa sprofondare in quella bambina di sette anni che è stata, che faceva fatica a fare i compiti e subiva le urla della mamma.

Questi uomini e donne sono stati i bambini di ieri che non hanno vissuto guerre o abusi sessuali, ma sono stati al gioco della rigidità, non si sono sentiti compresi e voluti per come erano.

Un ragazzino ha bisogno di un adulto accanto che dica in modo autentico: «Tu sei diverso da me, mi piaci così, vai bene». Se questo non è mai avvenuto il bambino interiore si porterà dietro insicurezze, paure bloccanti, e credenze limitanti come “non sono capace”, “non valgo”, “non sono abbastanza”…

Come fai a credere di essere protagonista della tua vita quando ogni giorno combatti con queste zavorre? La strada per andare da A a B non sarà dritta, ma tortuosa, se trasciniamo traumi la procrastinazione la farà da padrona e i passi verso gli obiettivi saranno faticosissimi.

Ma non è tutto perduto!

Se ci facciamo i conti queste idee irrazionali e svalutanti si possono modificare, sono tutti tranelli che parlano dell’essere. Lavorarci è faticoso e fondamentale per ritrovarsi.

Possiamo essere capaci e sbagliare.

Si può “fare” un errore e non “essere” persone sbagliate. Questo ci mantiene in uno stato di apprendimento dall’esperienza e di gentilezza verso chi siamo. La nostra identità è l’insieme dei fatti della nostra vita, delle esperienze che come un puzzle costituiscono il nostro sfondo, la nostra storia.

L’essere protagonisti è un’opportunità che ci concediamo, una responsabilità che ci dà un “potere” di agire, di fare qualcosa che è buono per noi e per il mondo.

Piano piano le credenze limitanti a cui accennavo sopra si possono trasformare in: “sono capace e posso fare errori”, “io vado bene così”, “sono abbastanza, sono ok”.

 I grandi fanno il meglio che possono, che a volte può non essere il meglio per noi.

Oggi che siamo grandi possiamo fare il meglio per quel bambino o quella bambina che vive dentro e possiamo prendercene cura con amore.

Protagonisti si diventa."


Pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it

Foto: greenMe

martedì 21 ottobre 2025

Doni a saperli vedere 6. Favola FRUTTI

Una storia di frutti speciale. 
A saperli vedere questi doni, che lastricano il sentiero della speranza.
Raccontiamoli ai nostri bambini, perchè restino fedeli al loro futuro.


FRUTTI

     di Annamaria Gatti     

                  illustrazione di Eleonora Moretti    

  Fonte: favola da Città Nuova, settembre 2023        

I semi dalle diverse forme e consistenze erano planati pian piano sulla Terra, lasciando i due bambini ad osservare stupiti, mentre la mongolfiera che li cullava nel cielo azzurro era diventata pensierosa: aveva qualcosa di particolare da raccontare, ma le mongolfiere parlano?

“Certo che possono parlare” aveva ammesso la mongolfiera.

“Hai detto qualcosa Lucia? “ aveva chiesto Carlo.

“No, è stata la mongolfiera a dire qualcosa.”

Carlo aveva  osservato il suo pallone aerostatico con curiosità:

“Che sorpresa! E perché non lo hai fatto prima?”

“Amici miei, parlo ora perché voglio raccontarvi una cosa bellissima. Guardate qui sotto…” e  pian piano era scesa verso un prato alberato. Oscillando si era fermata sopra ad alcuni filari: erano piante di pere.

Carlo aveva protestato: “Cosa vedi di strano in un filare di peri?”

La mongolfiera aveva sussurrato: “Carlo, ci sono doni che bisogna saper vedere, altrimenti te li perdi. Per esempio, qui sotto, vedi quel pero? Ebbene, innestato su quel ramo c’è il ramo di un secondo pero… e, come se si dessero la mano, sul secondo vedi che è innestato il ramo di un altro albero fratello…”

“Innestato? E cosa vuol dire?” aveva chiesto Lucia.

“Vuol dire abbracciato uno all’altro, unito uno nell’altro… Ma la cosa straordinaria è che il secondo e il terzo albero non hanno radici, non hanno il tronco nella terra.”

“Non è possibile!” aveva protestato Carlo. “ Sui rami di tutti e tre ci sono foglie e pere, come potrebbero crescere senza radici e senza nutrimento?”

“Appunto questa è la magia. Il primo albero dà il nutrimento agli altri due con l’innesto, avvenuto forse  con il movimento dei rami mossi dal vento. Così un albero robusto ha trasmesso vita e linfa agli altri due che stavano morendo.”

Le pere dai tre alberi occhieggiavano splendenti alla luce  dorata del tramonto e stavano bene insieme, come sorelle in un unico miracolo.

Carlo era il più stupito: “Non ci posso credere!”

Invece Lucia aveva spiegato: “Vuoi dire che la natura è così generosa che, se una pianta si trova in difficoltà, è capace di aiutarla con le piante vicine?”

“Proprio così, Lucia” aveva confermato la mongolfiera.

“Proprio così” avevano canticchiato le pere in bella vista sui tre alberi. “Siamo tutte sorelline, vedi? Si vive bene ad avere cura uno dell’altro.”

Carlo e Lucia avevano capito. E la mongolfiera era orgogliosa di aver permesso loro di vedere un altro dono. 


Pubblicato da Annamaria Gatti

gatti54@yahoo.it