16 Novembre 2010 di Violetta Conti Fonte: Città Nuova editrice Intervista a Michele De Beni, autore del libro “Educare. La sfida e il coraggio”. Il richiamo alla funzione educativa degli adulti nel mondo d’oggi. In una società che oggi sempre più si bea dell’ utilizzo smodato di termini quali "emergenza educativa", l’anelito alla propositività in ambito formativo sembra sempre meno l’obiettivo preponderante di una cultura ormai alla deriva. Paradosso di un’epoca, la nostra, che con forza dimostra la sua vocazione all’interattività e alla comunicazione. «Come il sonno della ragione – aveva dichiarato mons. Coletti, alla conferenza stampa dell’assemblea della Cei sull’educazione –, così anche una libertà senza scopo, senza fine, produce mostri». Non siamo più abituati a vedere nell’altro una risorsa, e cosa ancora più grave, nelle nuove generazioni; venendo meno al significato stesso del termine "educazione", dal latino ex-ducere, cioè condurre fuori. L'educatore, colui che con arte maieutica "tira fuori"da ciascun individuo il meglio di sé, ha una responsabilità che investe in realtà ogni adulto. Su queste tematiche è da alcune settimane in libreria, Educare. La sfida e il coraggio di Michele De Beni, pedagogista, psicoterapeuta e professore presso la facoltà di Scienze dell'Educazione di Verona. Lo abbiamo intervistato. Perché questo titolo? «Sembra paradossale, ma oggi, proprio in un’epoca di grande ricchezza culturale e disponibilità di conoscenze, gli adulti non sembrano esser più in grado di educare, che è la più antica e nobile, irrinunciabile opera di civiltà. Si fa fatica a leggere i mutamenti sociali in atto. Ci si lascia piuttosto abbandonare alla logica del “così fan tutti”. E le soluzioni, spesso delegate ad altri, come alla televisione, a internet, al “fai da te”. Crisi di fiducia nella vita e di volontà di futuro, inevitabilmente legate alla crisi dell’educazione stessa». Ci sono soluzioni o ricette più riuscite? «Certo, educare è difficile, perché non sempre si possono vedere i frutti del nostro impegno. Per educare oggi occorre accettare la sfida posta da un ricorrente relativismo, ma soprattutto da un certo disimpegno nei confronti della responsabilità educativa. Urge un nuovo, generoso slancio procreativo delle generazioni adulte nei confronti di quelle più giovani, ma questo chiede un cambiamento di rotta, un patto sociale per l’educazione che trasversalmente coinvolga istituzioni, gruppi, famiglia e scuola. Per questo ci vuole il coraggio di meglio conoscere e comprendere il cambiamento, riuscendo a coltivare insieme ai giovani uno sguardo che sappia mirare più in avanti e più in alto. Soprattutto, imparando con loro, ogni giorno l’arte del “ricominciare”» Chi sono i destinatari… «È un pubblico di adulti. Non solo educatori in senso stretto, ma quanti oggi hanno titolo svolgono una funzione di “educatori” sociali. Pensiamo non solo alla famiglia o alla scuola, ma a chi ha funzioni politiche o di indirizzo economico, ad un dirigente…; a chi comunque ha compiti di coordinamento o di guida. Pensiamo al condizionamento di certi modelli televisivi o alle mode. Ogni nostra azione o decisione comunque influenza quella degli altri. Tutti partecipiamo a questa collettiva, reciproca azione educativa, che può esser educativa o diseducativa. Potremmo dire: “Non si può non educare”. Mi chiedo se ne siamo coscienti. E se ne sappiamo trarre responsabilmente le conseguenze sul piano dell’azione. Il libro intende risvegliare proprio questa presa di consapevolezza. Come opportunamente sottolinea anche il prof. Daniele Bruzzone dell’Università Cattolica di Piacenza, oggi all’educazione viene chiesto di rigenerare un nuovo slancio, un ethos che non sia semplicemente la riproposizione di ciò che è stato, ma l’invenzione di ciò che ancora non c’è» Il Rapporto Unesco della Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI secolo si intitolava “Nell’educazione un tesoro” . Ma è davvero così o il continuo mutamento della società richiede altro? «Di per sé, l’educazione è il vero tesoro dell’umanità. Lo hanno ben compreso quei governi che più investono nello sviluppo dell’educazione. Ne va del futuro non solo culturale, ma anche economico e scientifico. Mi sembra, tuttavia, che ci sia una specie di fraintendimento da superare, cioè quello che tenta di rappresentare l’educazione come una specie di supermercato tecnologico o di sistema aziendale. Non bisogna dimenticare che l’educazione non è solo scambio di conoscenze, perché non riguarda solo il sapere e la scienza: poiché essa impegna la vita, è prima di tutto una questione di amore, di condivisione di una medesima saggezza. Mi viene in mente uno slogan di qualche anno fa che cercava di racchiudere l’educazione scolastica in tre I: Inglese, Impresa, Internet. Evidentemente, tre buoni obiettivi, ma non sufficienti a far dell’istruzione una vera opportunità educativa. Ma questa è l'educazione richiesta dal nostro mondo tecnologico... Ben più acute e impegnative mi sembrano le tre I, che il famoso psicologo americano Howard Gardner indica come finalità basilari per l’educazione del XXI^ secolo: Intelligenze (sviluppo integrale della persona e di tutte le sue forme di intelligenza), Intuizione (capacità creativa e d’innovazione), Integrità (l’essere virtuoso dell’uomo, rivolto al bene). Questioni che portano direttamente il discorso educativo al centro dell’essere e del dover essere, del senso del pensare e dell’agire, che nel mio libro ho cercato di declinare attraverso tre grandi prospettive: l’educazione al “sentire”, cioè alle emozione e ai sentimenti; al “pensare”, cioè all’uso riflessivo della propria mente; all’”amare”, cioè all’orientamento costruttivo della propria vita per il bene comune. Il rischio, non troppo remoto, è che ci si aggrappi esclusivamente a una tecnologia o a un metodo. Perché educare richiede principalmente far incontrare il giovane con la sua libertà, sostenendolo nel discernimento, nelle scelte e nei comportamenti». I giovani sono orientati al fai da te... «Invece no, bisogna far sì che insieme si scopra come dare un senso buono alla vita propria e altrui. Per questo, non servono solo competenze tecnologico-scientifiche, pur indispensabili. Occorre orientare la vocazione educativa e ritrovare quella passione vera, che è cura della relazione e amore per la persona, al di là di ogni sua condizione, far sentire ogni giovane che ci viene affidato degno di fiducia, perché a sua volta guardi con fiducia alla vita, vedendo tutti come fratelli, degni di essere amati. Non può esserci paradigma più elevato, coraggioso e ineffabile, per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo» |
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martedì 16 novembre 2010
Educazione, tesoro dell'umanità
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Grazie! E' proprio quello che volevo sapere...faccio un pensierino sul libro.
RispondiEliminaPierluigi