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martedì 12 settembre 2023

Primo giorno di scuola della maestra Laura, racconto

 Dal libro  IO AMO LA SCUOLA  

di  Annamaria Giarolo e  Annamaria Gatti 

 Edizioni la meridiana,  Molfetta 

Ragazzi, maestra e spazi da creare

La maestra Laura ricorda il primo approccio con la gestione organizzativa degli spazi a scuola.

L’unico suo apporto personale era stato un mazzo di fiori gialli che l’aveva accompagnata in quel primo giorno, in una classe terza, dopo un viaggio di un’ora di treno. I bambini seduti in doppia fila nei “quartieri”, così chiamate le colonne di banchi in aula, si erano presentati alla maestra e avevano dato subito prova di voler rendersi utili, chi cancellando la lavagna appena imbrattata per la prova-gesso, chi testando con disinvoltura la resistenza di sediole e tavolini.


Laura, dopo un primo momento di perplessità era riuscita a gestire la faccenda con qualche punto a suo favore dato dalla giovinezza, dalla bella voce e da qualche canzone mimata davvero “giusta”, con l’aggiunta di un’autorevolezza innata di cui avrebbe voluto però conoscere meglio la natura e la prosecuzione più adeguata. Ci aveva perso il sonno quella notte, ma poi la faccenda era rientrata: come ogni cosa in educazione avrebbe avuto il suo cammino lento ma fruttuoso, se avesse mantenuto gli occhi fissi sulla meta educativa e sui valori per cui aveva scelto quella professione.

La mappa dell’aula diventò all’epoca un chiodo fisso della sua ricerca, anche perché presupponeva da parte dell’insegnante una scelta di qualità pedagogico-didattica che non le era indifferente. Si era chiesta: che messaggio analogico doveva passare attraverso la gestione e la disposizione dei banchi, degli armadi, della lavagna e soprattutto della cattedra?

Avrebbe voluto avere subito le idee chiare, ma si era resa conto che invece per fare la scelta giusta avrebbe dovuto attendere di conoscere meglio i bambini e la loro realtà socio-affettiva. E quell’imperativo tecnico aveva sempre accompagnato tutti gli altri “primigiornidiscuola” della sua carriera, almeno fino alla sede scolastica definitiva o all’inizio di un nuovo ciclo.

Dato per scontato il ruolo autorevole dell’insegnante, che decide il meglio per tutti, avrebbe inaugurato comunque il suo ruolo di insegnante-consulente, proprio con l’esame delle proposte dei bambini su come disporre l’arredo dell’aula. E così uno degli elementi più apprezzati fu proprio quello del “peggiore”, segnalato in atrio da ammiccanti e significative occhiate (attenta a quello lì) dei colleghi “vecchi” del plesso: l’aula era al servizio dei bambini e del loro lavoro. Anche il “tu” familiare si poteva accettare, vista l’età degli alunni e il contesto.

-        Maestra, quando ti ascoltiamo e tu ci spieghi possiamo stare così, ma quando facciamo insieme qualcosa possiamo metterci in cerchio.

Accogliendo il suggerimento, Laura aveva anche aggiunto: - Oppure a due per due, per lavorare a coppie!

- Bella idea! Io non lavoro con lui però. - aveva sussurrato il “migliore”.

- L’unico problema è che faremo parecchio rumore a spostare il tutto. - aveva osservato Paola.

- E allora io sto attento che spostiamo pian pianino, così il preside non si accorge di niente e non viene a vedere cosa succede. -  aveva aggiunto il figlio del vigile.

- Adesso però, - aveva disposto Laura, - devo approvare le vostre scelte, solo se vi prendete la responsabilità di quello che avete proposto. Vediamo quanti accettano queste decisioni.

E la cosa era partita così. Ed era partita bene, ma poi c’era chi non vedeva bene alla lavagna, chi non poteva stare vicino alla finestra, chi… chi…

Laura prendeva tempo, annotava con gesto teatrale sul suo maxi-notes le segnalazioni e le richieste di presa in incarico del disagio e a quel gesto rassicurante ogni alunno BES o meno che fosse si sentiva ascoltato, utile e meno trasparente ogni giorno di più. Dopo 15 giorni Laura aveva già ricevuto sette domande di “matrimonio” dalle piccole pesti, compreso il “peggiore”, ma anche il “migliore”.

Trovare l’angolo della lettura silenziosa, del laboratorio del bambino iperattivo, o dell’alunno disabile era stata un’impresa titanica per gli spazi, ma era stato sufficiente eliminare qualche ingombro, ascoltare in brainstorming il collega di sostegno che l’aveva sfidata amabilmente nelle trovate creative e trovare spazio in atrio per armadi monumentali, per gestire senza sorprese le richieste dei suoi bambini e far sentire “loro” quell’aula.

Visto che un’aula ha proprio solo 4 pareti, anche la maestra più cre-attiva doveva rassegnarsi a voli d’alta quota, e quindi anche Laura, con i colleghi delle altre aree educative, che l’avevano eletta referente di classe, aveva concordato l’alternarsi della disposizione, senza causare ogni volta turbe mentali e proteste da parte dei bambini (e dei docenti), sempre pronti a ricordare ai loro insegnanti i patti e le decisioni prese in sede “governativa” di cittadinanza partecipata.

C’era stato anche il momento del NO, autorevole, motivato ma fermo, ad alcune proposte, perché si era resa necessaria, vista la precarietà di alcune situazioni che si erano delineate, l’attenzione alle relazioni fra i bambini e le bambine, che si potevano avvantaggiare da alcune collaborazioni con alcuni compagni, anziché con altri. Talvolta occorreva rimettere tutto in discussione, perché la responsabilità fosse esercitata con puntualità: su questo Laura non poteva transigere, per esperienza diretta e sofferta.

Non sempre negli anni Laura era stata fortunata nel trovare colleghi e colleghe collaboranti. C’era in alcuni una sorta di paura, che non permetteva loro di superare la disposizione frontale. Era per qualcuno una comprensibile sicurezza di dominio della disciplina, che non era facile stravolgere senza creare maggiori squilibri. E in quelle situazioni Laura aveva talvolta pazientemente accettato momentaneamente la fissità, concordata per tempi ristretti e con valutazione periodica. Informati i bambini dell’esperimento, insegnanti e alunni avevano poi lavorato per dimostrare la loro competenza, anche nel gestire lo spazio in modo più funzionale.

La risposta più esauriente era stata quella di una madre, che in occasione di un “visitone” aveva accennato, con certo orgoglio, al fatto che il suo “peggiore” aveva preteso di aggiustare la disposizione dei mobili secondo criteri di opportunità di funzione anche a casa, asserendo che l’aveva imparato a scuola. Poi con una certa ritrosia aveva chiesto: - Scusate, da casa mancano alcuni cuscinoni, per caso li ha portati a scuola per il laboratorio di lettura?

Già. Ecco da dove venivano i morbidi cuscini su cui andava a sbollentare i momenti duri il nostro oppositivo! Laura aveva sorriso e aveva accettato l’offerta dei cuscini come dono della madre del “peggiore” di cui i genitori però stavano scoprendo delle attitudini insperate. 

La sera aveva dedicato qualche tempo alla visione di stralci del film “Snoopy and friends” godendosi la definizione di “bella persona” fatta dalla ragazzina dai capelli rossi. Aveva deciso così di premiare i ragazzi con la visione del film, da cui avrebbero imparato a rinforzare qualche buona convinzione!

 https://www.lameridiana.it/io-amo-la-scuola.html

pubblicato da Annamaria Gatti

 

 

 

 

 

 

 


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