Benvenuti ai genitori...e ai bambini!

Questo blog nasce dal desiderio di condividere "lievemente" le gioie, le speranze, le sorprese, le favole e i dubbi che...
rallegrano e stimolano le scelte quotidiane dei genitori.

venerdì 31 maggio 2019

"Storia di una matita"... e company. Quasi una recensione collettiva.


L'autore e alcuni suoi libri
"ogni sogno è un seme"

"gli ideali non sono altro che idee con le ali"
(Michele D'Ignazio)

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E nel blog dell'autore trovate interviste, programmi, foto... un autore e un mondo da scoprire che attirerà la simpatia e la curiosità e un un po' di suspence

STORIA DI UNA MATITA, STORIA DI UNA MATITA A SCUOLA, 
STORIA DI UNA MATITA A CASA
PACUNAIMBA
RIZZOLI

Sono arrivati in un  tiepido pomeriggio i libri a sorpresa e quando si ricevono libri con dedica,  l’emozione  ha un sobbalzo : l’attenzione umana e artistica fa la differenza e qualifica una persona.
E D’Ignazio colora i suoi libri di questa caratteristica,  che molti, troppi? tengono chiusa in animo e forse trepidano nel farne esercizio, per migliorare la propria vita e quella degli altri.

Michele D’Ignazio no, invece e per fortuna, si è messo in viaggio e ha scoperto un modo per rendere palesi, pur nascondendole fra parole e immagini, pezzi di vita e di desideri e di uomini e donne alla ricerca. Lo fa con leggerezza e sottile convinzione che  la vita vada vissuta con tenacia e creatività e che ogni passo, o accadimento, condizione o incontro ha il suo bel tassello colorato in  questo mondo. Se ci stai.

Nella storia matta, divertente, disperatissima e anticonvenzionale  di chi si trova nella condizione di diventare una bella matita, STORIA DI UNA MATITA, forse qualche adulto ci si trova in imbarazzo, i bambini no, perché in fondo a ciascuno di noi è balenata l’idea di essere assurdamente altro e l’abbiamo ridimensionata e nascosta prontamente, mentre per i bambini è la normalità. Una bella normalità, prima che te la spengano,  con un touch assassino…

Dire che il protagonista è buffo è poco. Limitante. Lapo è un tenace,  gentile,  ma non ingenuo  poeta.  Si trasforma è vero, ma la poesia sta nelle sue scelte, nei rapporti con la gente, come incontra donne (singolare, occasionale all’apparenza,  eppure normalissima linearità il raccontare della madre) e uomini,   bambini (adoro le proteste e le trasformazioni dei suoi allievi!) , personaggi strambi perchè diventano anche loro quello che fanno o amano, timbri, palloni,  sigarette, moci…e convenzionali, tutti si congedano da Lapo, artista senza approdi,  e dalle pagine  di D’Ignazio  con quel qualcosa in più,  che li rende puliti e forti, lieti e veri.  Anche in  … “Storia di una matita a scuola” e “Storia di una matita a casa”  l’uso della narrazione piana e vicina al sentire dei bambini,  e di chi l’animo bambino se lo coltiva dentro, le parole scelte ci stupiscono,  perché il gioco di assemblare immagine e …lessico ci fa sperimentare immagini insolite e divertenti accostamenti .

Poi in Pacunaimba le cose… non cambiano! Solo è più evidente  la  protesta mascherata da avventura di chi vuole viversi davvero la vita e l’amore,  con l’aiuto di un umorismo che avvolge il mondo del potere e della supponenza, per scaricarlo nel mondo della fantasia. Il generoso giovane  Emanuele,  che parte per cercare in Brasile un  parente  per strappargli il  voto per il sindaco del  suo paese,  non proprio onesto, affronta un viaggio  per nulla ordinario, con un cammino costellato di assurdi e di  straordinari incontri, che gli confermano quanto la vita vada vissuta in coscienza e conoscenza.
Un romanzo di iniziazione quindi definito efficacemente  “magico e visionario”, ed è così,  dove la raffinatezza lessicale  si coniuga con la sorpresa,  che condivido volentieri perché è l’espressione che mi ha “intrigato” di più: “… la luce a cavallo tra il giorno e la notte. Per me la più bella! … E’ magica, ma dura poco, scivola via velocemente.” Ecco,  è la luce  che anch’io preferisco, precede il crepuscolo e lì, a quell’ora… le cose appaiono davvero per quel che sono.

Ah… il momento più angosciante? Quando, giunto in Brasile, Santo Emanuele perde il cellulare, fate voi! 

(ndr: non incontri inquietanti o quasi mostruosi ,  ma il sentirsi  soli, sperduti, senza più appoggi e collegamenti, insomma, finalmente …liberi!!!)
                                                                                                          Annamaria Gatti
Pubblicato da Annamaria Gatti
foto da: www.dovevailpaese.altervista.org

venerdì 24 maggio 2019

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https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/non-dimentichiamo-mehmed-questo-male-quei-figli
Questo è il link a cui accedere per leggere quanto Marina Corradi scrive oggi in Avvenire riguardo al bambino di due anni  ucciso dal padre.  Riporto:

"«Visto l’orrore di quello che c’è stato, non ci sarà nessuna conferenza stampa». Il capo della Squadra Mobile di Milano è certo un uomo che ne ha viste tante. Ma questa sua frase dell’altra mattina, riferita dai cronisti di tutte le testate giornalistiche, se ti fermi a pensarci pesa come piombo. Un dirigente della Polizia in una grande metropoli sa a memoria violenze, omicidi, stupri. Ma quel bambino di due anni, riverso e immoto in una stanza di una casa popolare occupata a San Siro, il corpo tumefatto di lividi, i piedi fasciati come se qualcuno, alla buona, avesse tentato di medicarlo: l’immagine di quel bambino martoriato è troppo, perfino per il capo della Squadra Mobile."

L'orrore. 
E noi a chiederci perchè e come è stato possibile. E il fatto prende forma nelle righe così umane e così tragiche di Corradi e anche la nostra angoscia, rinnovata ogni giorno dal male fatto a bambini.
E questo bambino è qui, in Italia, nella Milano evoluta e dura. 
Possibile che accada proprio questo? 
....
"Eppure temiamo che di Mehmed, in certi caseggiati del Lorenteggio o del Giambellino, (ndr ...e di tanti altri quartieri di grandi città o di paesi in Italia) ce ne siano altri. E abbiano urgentemente bisogno di aiuto e di amore. Bisogno  che ...il cuore del made in Italy, il modello di un’Italia laboriosa e ostinata, si chini su queste periferie, apra le porte chiuse dalla diffidenza e dall’emarginazione. Se non altro perché dietro quelle porte stanno anche dei bambini come Mehmed. E sono, ci potremmo giurare, fin negli occhi e nelle domande, identici ai figli nostri."

Allearsi tutti per difendere l'infanzia  dalla violenza fisica e morale è un imperativo sempre, ovunque...

pubblicato da Annamaria Gatti
foto da Aforisticamente

mercoledì 22 maggio 2019

Cosa pensa un insegnante? dal libro "IO AMO LA SCUOLA"



Io amo la scuola
Qualche minuto per ripensare alle complessità della professione docente. Ed entrare in empatia con questa fetta enorme di persone, che ogni giorno farebbero e fanno  la differenza per il futuro di questa società.Formarli con generosità ed autorevolezza ai valori della persona, sostenerli, fornire loro i mezzi per le buone prassi e la serenità della scuola, vigilare certo, ma anche riconoscere, quando si deve, il loro valore e rispettarli, è doveroso per tutta la società e i governi.
Pena... un futuro problematico e assai povero di umanità.

Tutto questo per le nostre bambine e  i nostri bambini, per le nostre ragazze  e i nostri ragazzi. Ora è il  tempo!


Siamo reduci da una presentazione laboratoriale di "Io amo la scuola"  a Molfetta,  con un gruppo di insegnanti, provenienti da diverse zone della Puglia, molto motivati,  che ci hanno entusiasmato e che ringraziamo per questa loro testimonianza di passione e di eccellenza, in una scuola come quella italiana,  spesso sofferente  e attaccata da vari fronti.
Le buone risorse e le buone prassi sono traversali e ce lo hanno dimostrato il 10 maggio insegnanti di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado,  nella sede della Editrice LA MERIDIANA,  che ringraziamo per l'accoglienza e la stessa passione, nella persona di Elvira Zaccagnino  e di tutto il notevole team.


Da "IO AMO LA SCUOLA 

Come insegnare e stare bene in classe" 
Edizioni La Meridiana, di A. Gatti e A. Giarolo, 

pag.33-34  

(ndr. La presentazione del problema nel  capitolo Parlare e ascoltare, su questo aspetto della complessità dell'insegnamento  da un assai probabile input di un'insegnante...)

A. QUAL È IL PROBLEMA?


1.    “Non posso parlare e anche ascoltare!”

“Ultima novità, ultima trovata di quelli che di scuola ne capiscono poco o niente: ascolto attivo, lo chiamano, ascolto impossibile è quello che penso io! Come potrei spiegare, ascoltare, pensare, rivedere, riformulare ed essere coerente con i miei e i pensieri dei miei alunni e non uscirne poi pazzo!? Ma conoscono la realtà di una classe scolastica? Un bambino ti chiama, un altro ti ripete la stessa domanda e non ascolta la risposta, un altro ha gli occhi rossi e lo guardi con apprensione e un altro ancora non vuol saperne di starsene fermo e seduto: spesso torno a casa senza più voglia di guardare in faccia qualcuno e guai se i miei figli si fanno avanti! Mi serve almeno mezz’ora per riprendere fiato prima di poter affrontare un altro essere umano e rispondere con cortesia!”.  


In molte situazioni il mestiere dell’insegnante chiede doti che a volte rasentano il limite delle possibilità umane. È anche vero, del resto, che, spesso, a rendere così stressante la giornata scolastica, è la fatica legata alla mancanza di competenze utili per la gestione delle situazioni complesse: sono strategie che non fanno parte del bagaglio personale di un insegnante al momento del suo ingresso a scuola.
Proviamo a ragionare con ordine.

Gestire una classe, soprattutto di alunni piccoli di Scuola Primaria, chiede talvolta una capacità elevata di autocontrollo e le energie impiegate vanno recuperate quotidianamente in contesti al di fuori di quello scolastico.
Può accadere di dover rispondere contemporaneamente ad un bambino che chiede spiegazioni, ad un altro che si lamenta del compagno, ad un altro ancora che soffre di mal di pancia e vuole tornare a casa. Per non dire di chi, un po’ più grande, rifiuta di collaborare e si mette a protestare adducendo motivazioni che riducono al minimo le possibilità di comprendere; e ancora ci sono bambini che vorrebbero diventare dello stesso colore delle pareti pur di non farsi notare, non parlano, non disturbano, non intervengono e passano, talvolta, per alunni modello nascondendo un profondo disagio interiore.

Il tutto esce decisamente da una mera questione didattica e si rivela sempre più una faccenda di relazione, di crescita educativa e di maturazione affettiva. E l’insegnante deve far riferimento a delle competenze ‘altre’, quelle che facilitano la lettura del contesto, quelle che aiutano a stare nella situazione senza farsene travolgere, quelle che permettono un controllo adeguato eppure fermo e deciso, che allontanano cioè il rischio evidente di burn out.

Niente di trascendentale e, spesso, quello che già il docente mette in atto in situazioni simili a quella descritta è di per sé buono ed efficace: effettua una valutazione veloce sulle necessità più urgenti e poi agisce dando priorità assoluta a ciò che mette in pericolo sicurezza e benessere. Purtroppo, accade di passare in secondo piano, e talvolta di dimenticarsene, richieste sottili, che arrivano in punta di piedi, a volte sussurrate e che, se prese in considerazione, aiutano a comprendere, aiutano a leggere emozioni e sentimenti che altrimenti rimarrebbero nascosti.
È qui che si parla di ascolto attivo, quella capacità di sentire che mette in attesa la presunzione di capire, quel saper guardare l’altro con occhi vivaci e mente aperta, con le braccia allargate e le mani che accolgono, con l’interesse presente di chi vorrebbe intendere anche se ancora non sa come. Mettersi nei panni dell’altro è uno dei segreti: sentirne la sofferenza, coglierne la fatica, avvertire il dolore, accettare senza condizione quel comportamento sapendo di poterne rimandare il significato.
Ecco, accettare senza sapere e senza giudicare ma con il desiderio di comprenderne le ragioni, quando e se sarà possibile, è mettersi nei panni dell’altro, è riuscire ad ascoltare con empatia. È soprattutto evitare di giudicare e non fornire risposte frettolose proprio perché non c’è la condizione adatta per soluzioni coerenti e competenti.

Di cosa si tratta allora? Non servono doti magiche ma certamente una riflessione approfondita aiuta, e non poco, a cercare di sbrogliare quella matassa sempre più ingarbugliata che è il ricco mondo delle relazioni, ancor più denso quando il contesto è quello della scuola. Insegnante e allievo si incontrano su strade parallele che, sì vanno nella stessa direzione, ma non sono le stesse. I ruoli sono diversi e asimmetrici: a scuola, docente e studente non sono amici, non devono e non possono esserlo. L’uno è un riferimento per l’altro e non viceversa. L’insegnante ascolta, l’alunno dice e parla di sé. Accade che attraverso l’apprendimento, i contenuti che vengono veicolati nelle ore di insegnamento agiscano da convogliatori, da trasportatori di emozioni, sentimenti, pensieri e storie di vita che ne rivelano la complessità.

A scuola serve soprattutto saper fare silenzio: utilizzare una postura di ascolto che invita l’altro a dire anche qualcosa di più, guardare negli occhi, tendere le mani, appoggiarne una delicatamente sulle spalle, sorridere e, con questo, sostenere, incoraggiare, accettare.
Serve rimandare la comprensione a quando sarà possibile, quando l’alunno ci fornirà le ragioni, quando vi sarà una maggiore apertura e/o una maggiore capacità di dire e dirsi. C’è e rimarrà comunque un quid di incomprensibile, quella parte della storia dell’altro che non ci è dato di sapere e che, non solo va messa in conto, ma ne reclama il rispetto.

È utile fare domande, certamente, ma meglio se sono aperte, quel tipo di richieste che spingono a specificare e a raccontare anche altro (anziché “ti piace giocare?” chiedo “qual è il gioco che ti piace tanto?”). È importante anche saper rimandare all’altro il sentimento che sta provando (“vedo che sei stanco”) e utilizzare la parafrasi (“Se ho capito bene hai detto che ti sei stancato di giocare con lui”).
E come non sottolineare quanto è importante recarsi al lavoro riposati e carichi, sia fisicamente che mentalmente. Tutto ciò che riguarda le controversie e le difficoltà legate alla professione va lasciato fuori dall’aula, sarà un’altra la sede nella quale potremo affrontare battaglie legate alla necessità di un maggior riconoscimento, economico ma anche sociale, dell’essere insegnante. 

Quando entra in relazione con i propri alunni, quando affronta un colloquio con le famiglie, quando fa parte di commissioni di lavoro, quando progetta e si confronta con i colleghi, quando predispone attività e pratiche educative, il docente deve fare spazio nella propria mente e porre al centro lo studente, il suo apprendimento, il suo benessere, il suo progetto di vita: è un professionista che mette sul tavolo, davanti a sé tutte le sue competenze di docente preparato e motivato, capace di farsi portavoce di una necessità relazionale che riempie il suo bagaglio di docente esperto. In poche parole, parliamo di professione docente.

(Puoi leggere i post precedenti su questo blog, dedicati a "Io amo la scuola Come insegnare e stare bene in classe")


pubblicato da Annamaria Gatti
foto: Elvira Zaccagnino de La Meridiana e le autrici

lunedì 13 maggio 2019

Tema : i compiti per le vacanze estive. Programmare per tempo.

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Ogni anno è la stessa musica: i compiti delle vacanze estive. 

Vacanze sono giorni di riposo.
Vacanze sono giorni per fare esperienze diverse. 
Per stare con i propri familiari. 
Qualche volta sono tempi difficili per chi ha difficoltà famigliari. 
Teniamo presente queste considerazioni per favore.

E le madri si passano le informazioni. (Ho visto raramente  i padri preoccuparsi dei compiti, qualcuno è volonteroso ed entra in empatia con i soggetti del caso).
C'è chi sorride comprensiva, chi si spaventa, chi fa quattro calcoli e pianifica. Chi alza gli occhi al cielo. E basta.

Poi ci sono i docenti che devono assegnarli. E il discorso torna al senso del compito personale, alla sua opportunità ed efficacia, ma soprattutto alla sua modalità e quantità.
Quel che è certo è che anche i compiti delle vacanze debbono essere  a misura bambino o ragazzo, motivanti, interessanti, creativi, individualizzabili... alternativi anche!
(Io chiederei anche ai ragazzi come preferirebbero consolidare le loro abilità... ne uscirebbero delle belle)

Possiamo fare un decalogo guida? Proviamoci noi docenti nei nostri team.
  • Dopo aver fatto il conto dei giorni di vacanza, calcoliamo il lavoro che abbiamo intenzione di svolgere nel periodo di vacanza, libero tempo quindi, e chiediamo ai nostri studenti lo stesso impegno temporale. (ad. E. Confalonieri. Compiti a casa, in Psicologia e scuola 5/2019, pag,28/33)
  • Proponiamo compiti creativi, adeguati all'età, agli interessi personali e stimolanti all'autonomia. 
  • Se accompagneremo i compiti con "emozioni calde" (anche qui, la warm cognition ci aiuta) avremo un impatto positivo.
  • ...libri da leggere,  diario di bordo con approfondimenti anche multimediali di esperienze, visite a musei e affini o ambienti, o a persone significative (anche i nonni...), concerti, cinema, teatro,  parchi, campi estivi... con relativi investimenti nei vari ambiti (storico-scientifico-geografico-matematico).
  • E i ragazzi che non possono essere autonomi per diverse ragioni?  Accetteremo e valorizzeremo quel che potranno fare?
  • Quindi prepariamo per tempo strutture flessibili e indicazioni anche personalizzate, soprattutto per alunni con bisogni educativi speciali.
  • Non assegneremo  pagine di studio e lavori per completare il programma, iniziativa scorretta e inutile.
  • Lasceremo loro la possibilità di scegliere i tempi e gli step, dentro i quali scelgano: ambiti di lavoro e modalità di esecuzione e visualizzazione dei risultati del loro lavoro.
  • Programmiamo che li correggeremo tutti (in team possiamo dividere il lavoro), così che sappiano che lavoreranno e avranno un nostro riscontro, magari di condivisione e apprezzamento o di aiuto.
  • Felici  vacanze... a tutti!


pubblicato da Annamaria Gatti
foto da: AIFemminile.com

martedì 7 maggio 2019

I nostri giovani meritano fiducia, cura ed esempi forti.



Risposta di Ezio Aceti
Fonte Città Nuova on line  Maggio 2019

Ma i giovani d’oggi dove sono? Sembra che non incidano più come un tempo nella vita sociale… perché?
Stefano (Livorno)
Carissimo Stefano, la tua riflessione contiene una parziale verità, perché ci mostra come nel tessuto sociale le generazioni si siano accorciate, e soprattutto come sembra scomparso il pensiero ideale e utopico. La caratteristica dei giovani è sempre stata quella dell’idealità, dell’utopia, delle scelte spesso ai margini, quasi trasgressive.
Il mondo dei grandi di solito reagiva in modo normativo e rigido, ma era comunque costretto a constatare la propria inefficacia su molti interventi. Oggi, dove i quarantenni sembrano adolescenti, dove il gossip la fa da padrone, dove i populismi sembrano trionfare nella loro emotività sfrenante, dove sono i grandi ideali? C’è ancora l’utopia?
Perché senza utopia una società prima o poi si appiattisce, si spegne nel tran tran quotidiano, scivolando verso il torpore dell’autosufficienza e della stagnazione. Questo avviene a tutti i livelli, da quello scolastico a quello lavorativo ed economico. L’analisi ci porterebbe lontano, ma in questa rubrica mi preme individuare una causa pedagogica che ritengo molto rilevante: l’atrofia del pensiero ideale.
Gli studi scientifici dimostrano (Piaget ne è stato lo scopritore con i suoi esperimenti sull’aspetto cognitivo del bambino e del giovane) che durante l’adolescenza e la gioventù il pensiero, il modo di ragionale diventa ipotetico deduttivo, cioè in grado di grandi idealità e di grandi visioni.
Certo, il giovane non ha l’esperienza, ma la sua mente, la sua ragione è in grado di elevarsi al di sopra della realtà e immaginare grandi scoperte, grandi novità, differenti da quelle conosciute. Ebbene questa capacità dei giovani oggi viene spesso sottovalutata e derisa da un mondo solo emotivo e coercitivo, che non è più in grado di mostrare fiducia nella capacità di questo pensiero giovanile.
Siamo sommersi continuamente da parole emotive e frivole, carenti di grandi ideali e creatività. Occorre invece fidarci di più dei giovani, dar loro l’opportunità di coltivare grandi idee, e soprattutto presentare loro le sfide planetarie con fiducia nelle loro possibilità di risolverle.
Orientare in modo forte la loro idealità verso la soluzione dei grandi problemi del mondo e non fermarsi solo al piccolo orticello di casa propria. Sarebbe un amore concreto verso le loro capacità e la loro persona, foriero magari di nuove utopie positive.
Sì, i giovani meritano tutta la nostra fiducia e passione!