CHIEDIAMO AI GIOVANI...
di Luigino Bruni
Editoriale - Avvenire, 19 Maggio 2013
foto: Evento Giovani per un Mondo Unito "Be the Bridge", Terra Santa, Aprile-Maggio 2013
Non
era solo colpa della finanza. Gli spread e le borse sono migliorati ma la
nostra crisi invece di finire sta mostrando la sua vera dura natura: la
disoccupazione, e soprattutto l’assenza di lavoro per i giovani. Ci stiamo
accorgendo che la finanza speculativa ha soltanto accelerato e aggravato la
malattia di un sistema economico italiano e sudeuropeo che era in affanno già
da alcuni decenni.
Certo, una finanza meno avida e più capace di capire e sostenere i progetti
innovativi, e una classe di economisti e di operatori economici meno miope e
più lungimirante avrebbero potuto rendere quest’età di passaggio meno
drammatica e dolorosa. Ma il tramonto di interi sistemi economicoproduttivi
covava da tempo sotto la cenere della nostra società. E così oggi ci ritroviamo
con molti dubbi sul nostro presente e futuro, e con una certezza: dobbiamo
reinventarci nuovo lavoro, che in buona parte sarà diverso, e molto, da quello
che noi e i nostri genitori hanno
presente
e futuro, e con una certezza: dobbiamo reinventarci nuovo lavoro, che in buona
parte sarà diverso, e molto, da quello che noi e i nostri genitori hanno
conosciuto.
Intrapresa audacissima, perché dovremmo avere la spirito e la forza di agire,
contemporaneamente, su più livelli, tutti coessenziali, iniziando, come si
dovrebbe sempre fare in ogni buona società, dai bambini e dalle bambine. Vanno
aggiornati, e in molti casi riscritti, i loro codici simbolici del lavoro. La
generazione oggi adulta ha realizzato un mondo dei mestieri e delle professioni
fatto di immagini e di simboli che si stanno progressivamente allontanando dai
bambini e dai giovani.
Servono nuove 'lingue' e una nuova capacità di capirsi tra generazioni parlanti
ormai idiomi diversi. Noi da piccoli giocavamo con ruspe, trattori, bambole e
mini-laboratori, che creavano nella nostra fantasia il lavoro di domani, un
lavoro futuro che vedevamo nel presente degli adulti attorno a noi, nelle
letture della scuola, nei racconti dei vecchi. Giocando crescevamo, e ci
preparavamo al lavoro. Oggi i giochi dei bambini sono mostri a quattro teste,
sempre più nei video e nei telefonini, e sempre più lontani dai luoghi e dai
simboli del lavoro. E, soprattutto, i bambini passano sempre più tempo giocando
da soli, al chiuso e di fronte alla tv. È stata l’organizzazione comune di
giochi, di partite ci calcio, di cacce al tesoro, di corse, la palestra dove
ieri si imparava a cooperare, a competere, a risolvere i conflitti, a elaborare
le sconfitte e i nostri limiti, e poi – un giorno – a lavorare grazie anche a
quelle esperienze fondative del nostro carattere.
Serve uno sforzo collettivo enorme per ricreare le immagini e i sogni
professionali dei nostri bambini e giovani: come faranno a inventarsi da adulti
un lavoro, e soprattutto un mestiere, se non l’hanno visto, né tantomeno
sognato da bambini? E a cooperare nelle imprese di domani? Per questo compito
difficile servirebbero anche gli artisti, che con la poesia, la pittura, la letteratura,
i cartoni, le storie, i giochi, l’architettura, si mettano accanto ai bambini e
ai giovani, a scuola e fuori, per ricreare nuove immagini e nuove storie del
lavoro e della vita in comune.
Nel frattempo, però, occorre generare subito lavoro con e per tanti giovani che
non stanno lavorando oggi, e non lavoreranno domani.
Per questo occorrerebbe una forma di virtù civile di cui si avverte una grande
carestia: la consapevolezza etica che i primi a sapere che cosa serve ai
giovani sono loro stessi.
«Ask the boy», chiedi al ragazzo.
Questa splendida frase di Baden Powell, il fondatore degli Scout, è una delle
intuizioni più profonde sul giusto rapporto tra adulti e giovani. Un’idea
certamente carismatica, perché troppo vera e universale.
Un’espressione, tra l’altro, che è una delle più efficaci declinazioni del
'principio di sussidiarietà' nell’educazione: non faccia l’adulto ciò che può
fare il ragazzo. La ragazza, il ragazzo, i giovani sono loro, prima di tutti e
di tutto, che devono pensare e dire come risolvere i loro problemi, compreso
quel problema cruciale che è l’assenza di lavoro. Il mondo
adulto
può e deve far molto, ma solo dopo aver creduto e riconosciuto questa
precedenza. La mancanza di lavoro dipende anche da nuove potenzialità e competenze
dei giovani che, anche per mancanza dei giusti ascolti e delle giuste domande,
non riescono a diventare reddito, lavoro, mestieri. Ma per fare le domande
giuste ai nostri giovani occorre essere intelligenti, cioè saper 'leggere
dentro' la loro anima e il cuore, oltre la superficie che spesso nasconde una
vocazione professionale ignota al giovane stesso. «Sai zufolare?», chiese a
Bartolomeo Garelli il giovane Don Bosco, un altro grande maestro di giovani e
di lavoro, al termine di un dialogo profondo con quel ragazzo: «'Quanti anni
hai?', 'Ne ho 16'. 'Sai leggere e scrivere?', 'Non so niente'. 'Sai cantare?',
'No'. 'Sai zufolare?'». Sì, Bartolomeo sapeva 'zufolare' (fischiare), e quindi
poteva fare anche molto altro di buono. Ogni giovane, insegna a tutti il metodo
salesiano,
ha
una via di accesso alla propria eccellenza, E va soltanto messo nelle
condizioni di trovarla, con i giusti ascolti, con le giuste domande, e con
occhi capaci di vedere l’invisibile sotto le apparenze, e farlo emergere, e-ducando (facendo venire fuori
l’eccellenza che è dentro, nascosta).
Baden Powell e Don Bosco (e le tante educatrici e i tanti educatori carismatici
della nostra tradizione e del nostro presente) oggi ci direbbero che non ci può
essere pubblica felicità né gioia civile finché quattro giovani su dieci
disponibili al lavoro non lo trovano e finché tra i sei che lavorano ce ne sono
almeno tre che stanno lavorando in modo precario e sempre più spesso nel posto
sbagliato che non li fa fiorire pienamente. I figli, i giovani, ce lo ricorda
la tradizione biblica, sono anche il paradiso in terra delle famiglie. Ma i
nostri giovani stanno rincominciando a emigrare, perché di nuovo poveri di
lavoro e di speranza. I nonni, emigranti di ieri, stanno rivedendo i loro
nipoti riprendere in mano la valigia. Ieri come oggi in cerca di pane e futuro;
ieri come oggi con le lacrime di chi parte e di chi rimane; ieri come oggi
fuggendo da una terra non genitrice di lavoro, perché gelida, arida, sordida.
Per bagnarla, lavarla, scaldarla non bastano le politiche economiche, ci
servirebbe uno Spirito per dare loro forza, vivificarle, renderle efficaci e
feconde. Per donare un nuovo entusiasmo, voglia di vita e di futuro ai tanti
giovani, e no, che lo stanno perdendo. «Vieni padre dei poveri», vieni padre
dei giovani.
PUBBLICATO DA ANNAMARIA