Nel presepe Gesù Maria e Giuseppe accolgono con amore tutti,
soprattutto i bambini che credono di essere "cattivi"
Una storia amata
di Annamaria Gatti
fonte: Città Nuova
TOBIA
“Tobia, riporta le pecore! Sei sempre con la testa fra le
nuvole, ma a cosa pensi?” grida il vecchio Elia. “Arrivo, nonno. Non si può
proprio vivere in pace!”. Infastidito, Tobia raduna le pecore del gregge del
nonno e si avvia verso il villaggio poco lontano.
A Betlemme è quasi buio e
Tobia rientra a casa, pronto per l’ennesima sgridata quotidiana. “Sei una vera
disperazione. Oggi è venuta Ruth e mi ha detto che le hai rubato un cesto”.
La
mamma di Tobia piange e il bambino la guarda, poi strizza gli occhi, perché
vorrebbe cancellare tutto quel dolore sul volto della sua mamma. E sente un
nodo alla gola. Si siede per terra, in un angolo, dietro la macina. “Vai via!
Meriteresti una bastonata, ma non c’è più tuo padre a darti la giusta lezione.
Io non so più cosa fare!” Il bambino sente che il nodo alla gola si stringe
sempre di più; esce di casa e, sconsolato, va a sedersi vicino al pozzo.
“Tobia” lo chiama Sara, una delle bambine del villaggio, “cosa fai qui?” gli
chiede mentre depone per terra un otre. Poi, raccogliendo con un gesto veloce
l’ampia tunica azzurra, si accovaccia vicino a lui. “Non mi riesce proprio di
far bene niente. Appena progetto una marachella, mi accorgo che l’ho già
combinata, prima di poterci pensare un po’, prima di capire cosa potrebbe
accadere dopo. Mi manca il tempo per riflettere e così tutti quelli del
villaggio mi cacciano, perché pensano che sono un porta guai. “Lo vedi? Tu... tu
sei l’unica che mi si avvicina” sospira Tobia con le lacrime agli occhi.
Sara
sa che un bambino si vergogna nel farsi vedere a piangere, così aggiunge: “Però
qualche volta le combini grosse, sai? Eppure io so che non sei cattivo. Per
esempio oggi hai rubato il cesto di Ruth perché ne aveva bisogno la vecchia
Ester, vero?”
“Come lo sai?”
“Me lo ha detto Ester: stamattina non sapeva
come portare al mercato i pani” Ma poi ha detto che un ragazzetto l’aveva
aiutata, e quello eri tu”. Tobia sorride un po’ e si pulisce il naso
gocciolante con la manica. Poi pensa che davvero in fondo al cuore non sente
cattiveria ma solo, qualche volta, un po’ di paura, un vuoto, un buco nero
nero, che deve riempire subito con qualcosa. Perché? E perché ogni volta che
vede una fonte luminosa, gli sembra che quel buco si dissolva nel nulla?
IL
BAMBINO SUL POGGIO “
"Storie, storie” pensa a voce alta Tobia”. “Quali storie?”,
chiede sorpresa Sara.
“La storia della luce”. “Ah, vero, tu che insegui sempre
una luce. L’altra notte eri tu che camminavi verso la stalla, vero? Ci sei
stato?”
“No, mi sono fermato a metà strada, ad osservare quel rudere, la
stalla, voglio dire. Era una magnificenza, piena di luce!”
“E il Bambino? Non
l’hai visto allora? Oh, che peccato! Il suo nome è Gesù. È così tenero
ed è così bella la sua mamma!” sospira Sara. "Vieni, andiamo a visitarlo. Guarda,
ci sono dei pastori che tornano dalla stalla, sul poggio”. “No, non vengo”.
“Perché no?” chiede incredula Sara. “Il Bambino è buono, il nonno dice che da
grande sarà un re. È il più buono di tutti. Quando mi vede, se non mi caccia
lui, mi cacceranno suo padre o sua madre””.
Sara ha un moto di insofferenza.
“Fai come vuoi, sei il solito testardo e stai diventando insopportabile anche per me”. La bambina ha ormai perso la pazienza, si alza di scatto, getta sui piedi
del pastorello una manciata di terra, si ricopre il capo con il mantellino,
afferra nervosamente l’otre e se ne va. La si sente brontolare ancora quando
Tobia osserva le prime stelle accendersi nel cielo e si augura che Sara torni.
In breve l’imbrunire si trasforma in notte e neppure la mamma lo richiama in
casa. Tobia sa che dovrà riportare il cesto rubato e chiedere perdono, anche
alla mamma. Sta per alzarsi, quando Ruth, la vicina derubata, gli va incontro
con aria minacciosa. Tobia immagina già quel che dirà e quel che farà, perciò
si alza di scatto come una saetta ed è già lontano, perché considera l’idea che
Ruth è troppo pesante e non avrà la forza di inseguirlo.
Il cielo è uno
scintillio e come una morbida coltre ripara il poggio su cui il Bambinello
riposa. “Avrà freddo” commenta a voce alta Tobia. Il nonno aveva raccontato che
un asino e un bue scaldavano la stalla. Più che una stalla era un rifugio. Però
proprio lì, il giorno prima erano arrivate addirittura delle persone
importanti, su cavalcature bardate a festa. “Forse sono principi” aveva detto
il nonno. Tobia li aveva visti e li aveva inseguiti di nascosto, quasi fino al
poggio. Uno era di colore e uno molto vecchio. Aveva anche sentito uno di loro
dire, con uno strano accento straniero: "Gaspare, ecco là, credo proprio che là
sia il Messia che cercavamo”. Chissà cosa voleva dire. Il Messia sì, lo
attendeva anche il nonno, ma Tobia non aveva osato chiedere di più. Erano cose
da grandi!
UNA LUCE PER TOBIA
Tra un pensiero e l’altro Tobia non si accorge di
aver camminato fino alla stalla, dove ora solo una debole fiammella toglie il
luogo dalla morsa del buio. Il pastorello sbircia attraverso un’asse sconnessa.
Accidenti, il bue è proprio lì davanti e Tobia non vede proprio un bel niente!
Si sporge ad una finestrella, poco più di una fessura e vede. Vede quello che
gli riempie il cuore di tenerezza, perché nella penombra della stalla distingue
chiaramente un papà e una mamma, chini su un fagottino bianco, e poi lo sguardo
del Bambino su di lui. È uno sguardo luminoso e intenso.
Vorrebbe scappare ma,
davanti a quegli occhi, le gambe sono pesanti e non si muovono; i piedi
sembrano incollati per terra. Sulle mani sente cadere delle gocce tiepide: sono
lacrime. Tobia sta piangendo.
Si volta anche la mamma del Bambino. “Oh! Come
assomiglia alla mia mamma!” pensa Tobia. Poi guarda il papà e sente per un
attimo mancargli il respiro: se papà fosse lì, potrebbe proteggerlo, aiutarlo,
difenderlo, come fa il papà del Bambino, che ha uno sguardo buono e forte e che
adesso gli fa un cenno, per invitarlo ad avvicinarsi.
Anche la mamma dice:
“Entra, entra Tobia. Gesù ti stava aspettando”. Tobia è un po’ sorpreso. “Io non posso, forse sono un po’ cattivo”. Ma, senza accorgersene, Tobia si ritrova
inginocchiato accanto al Bimbo, mentre la madre asciuga le lacrime del
pastorello.
Qualcuno sta anche accarezzandogli i capelli ricci ed arruffati. È
il papà di Gesù; forse vuole proteggere anche Tobia che intanto si chiede dove
sia finito il suo buco nero, quello che dava tanto dispiacere al suo cuore di
bambino: non c’è più, Tobia sente anche le manine di Gesù sulla fronte, che
forse tracciano un segno. La stanchezza lo prende e dolcemente, sulla paglia,
accanto a Gesù, Tobia trova la sua giusta luce, mentre pensa che, da quel
momento, la mamma non piangerà più per lui.