Il maestro Alberto Manzi, una storia speciale di buone pratiche, una eccellenza
5 ottobre: Giornata dell'insegnante
Una delle professioni più penalizzata fra tante. Eppure quella che costruisce la qualità una società. L'interesse che si muove attorno ai bambini e all'educazione dà la dimensione della saggezza di una società e il valore della sua cultura: la nostra società misura se stessa investendo in altro. E' l'ora della massima lucidità e tenacia per veder riconosciuto l'insegnamento per quel che è "UN MAESTRO VALE UN REGNO" ci viene ricordato...
Pubblico, con il suo consenso, l'intervento conclusivo del prof. De Beni al Convegno Nazionale: dispersione scolastica. Dai dati alle buone pratiche, 3 ottobre, Sala degli Atti Parlamentari, Biblioteca del Senato(vedi post precedente), ricco di convergenze trasversali e di proposte di chiare scelte valoriali e politiche per la scuola.
Ogni fine è un inizio
Alla conclusione di questo incontro rilanciare qualche
spunto unitario non è facile. Ma, come affermava Hanna Arendt, “siamo nati per
incominciare”. Ogni fine è anche un inizio! Da qui la coscienza che non si
cammina bene se non si cammina insieme: come l’etologia insegna, sopravvivono e
si sviluppano le specie che sanno collaborare.
C’è un principio d’unità che lega scuola e società,
istruzione ed educazione, studenti-insegnanti-genitori; e non può esser tradito
da noi adulti per primi. Ciascuno, persona, associazione, partito o movimento,
e noi insieme siamo segni che tracciano un cammino. Perché, come ci ricorda il
fisico Federico Faggin, “noi tutti siamo parte dell’Uno”. Per questo, vogliamo
qui credere che non saremo noi a dichiaraci guerra; e non sarà la scuola tema
di scontro, anche se una grande scossa va data, perché la scuola è volàno
primario di cultura e ascensione sociale.
Certo, il rischio “dispersione” è maggiore e drammatico in
certe aree più deboli della società, ma sono intere generazione giovanili che
stiamo perdendo. Per questo, non possiamo esser altrove, assorbiti da
burocrazie e particolarismi, ma affrontare con maggior determinazione e mezzi
le problematicità che i tanti “in trincea” curano: ferite, povertà, abbandoni,
ansie e sfiducia che attraversano la scuola e il mondo giovanile.
Capitale umano, chi lo alimenta?
Siamo tutti convinti che non c’è cultura senza formazione e
scuola: non c’è futuro! È per questo che all’educazione dobbiamo offrire senza
alcuna riserva il primo posto che le appartiene di diritto, “anche quando si
tratta di effettuare scelte tra altri pur urgenti problemi, come quelli
politici, economico-finanziarie”. Non sono parole mie, ma di Jacques Delors. È
la strada tracciata lungo la storia dai grandi maestri. E l’incontro con un
maestro vero può davvero cambiare la vita. Perchè “l’io nasce da un incontro” e
“un maestro vale un regno”. L’incontro con uno sguardo che oggi i giovani
cercano, ma non trovano.
Se siamo quello che siamo, con i valori in cui crediamo, è
perché c’è chi ha testimoniato con coraggio prima di noi vie di nuova umanità:
Socrate, Gesù, Comenio, Giovanni Bosco, John Dewej, Maria Montessori, Lorenzo
Milani, Bruno Ciari, Danilo Dolci, Luigi Giussani, Mario Lodi, Chiara
Lubich...e tantissimi altri che hanno creduto e oggi credono nell’educazione.
Coerenza tra pensiero e azione, tra parola e vita. Una lezione urgente oggi per
una società adulta “altrove”. Sì, indichiamo con forza la priorità delle
priorità: cercansi maestri.
Da dove ripartire?
Come si è detto -e sembrerebbe ovvio- se un vero maestro
vale un regno bisognerà ben preparare i maestri, una sfida da non improvvisare.
Non ci siamo mai chiesti quanto pesa una bassa qualità dell’istruzione sul
fenomeno della dispersione e della povertà educativa? Certo, non la sola causa,
ma è da qui che si dovrebbe “mordere” di più il problema.
In particolare, la rifondazione:
-della centralità della funzione-docente, della qualità
dell’insegnamento e della dirigenza ai suoi vari livelli
-del diritto-dovere degli studenti ad essere costruttori
d’apprendimento, che è intrinsecamente legato alla qualità delle relazioni
educative e dell’insegnamento.
-del ruolo co-partecipe della comunità e delle famiglie, sostenute a livello sociale
nella loro funzione educativa e, pur nella distinzione di ruoli, nel dialogo
con la scuola.
Ben consapevoli che non si può metter mano a un singolo
pezzo di questo aggrovigliato puzzle e che c'è quasi un sistema che va
riformato, proporrei due strategici punti di riflessione, partendo da una
premessa: uscire dalla perenne logica chirurgica d’emergenza. Urgente è tutto,
ma oggi c’è bisogno di metter mano a un ben delineato Quadro di sistema, non
solo con gli specialisti, ma con la società civile.
Come punti nodali prioritari:
-superamento della logica di precariato, rifondazione della
formazione iniziale e di reclutamento del personale docente e dirigente
(percorsi teorico-pratici, dove il pratico non è relegato o subalterno al
teorico)
- formazione continua degli insegnanti e verifica degli
effetti sulla prassi educativo-didattica e di sistema (è un tema centrale
dell’agenda politica di questi mesi, ma con molte questioni aperte sulle quali
occorre maggiormente coinvolgere l’associazionismo professionale, chi opera
nelle scuole e nelle università).
-garanzia di confronto interno-esterno della qualità
dell’istruzione (forme partecipative, non verticistiche, ben ponderate e
comparabili che mentre tutelano la libertà d’insegnamento garantiscano la
qualità dell’apprendimento e della valutazione degli studenti).
Un punto focale
Centralità della figura e del ruolo dell’insegnante, quindi.
Da troppo tempo la passione, la dignità stessa dell’istruire e dell’educare
sono state mortificate. Da qui un grande bisogno di valorizzazione della
professionalità degli insegnanti, a cui dovrebbe corrispondere un adeguato
riconoscimento economico e sociale, anche se consapevoli che un cambiamento
chiede altri importanti investimenti di sviluppo delle professionalità.
Alla fine di questo dialogo mi sembra che le domande da cui
dovremmo ripartire insieme: “Perché insegno?”, “Perché faccio politica?”,
“Perché vado a scuola?”, “Perché educo?”. In un recente libro è riportata una
disarmante quanto coraggiosa risposta di un insegnante a questa domanda:
“Perché insegno? Perché ci credo”. Pur nei differenti ruoli politici e
associativi, facciamo tra noi un patto: che la scuola e gli insegnanti, le
famiglie, i dirigenti, possano esser messi nella miglior condizione di poter
credere ancora all’educazione.